Inizia il 23 luglio la Settimana della mondialità organizzata dall’associazione “A gonfie vele” in collaborazione con il Pime. Una palestra di incontro per abbattere i pregiudizi
Lasciarsi alle spalle, per una settimana, i pregiudizi e le fake news e provare a vivere “l’uno per l’altro”. È la sfida della Settimana della mondialità che si terrà a Pontenure in provincia di Piacenza dal 23 al 30 luglio. Organizzata dall’associazione A gonfie vele in collaborazione con il Pime, e quest’anno anche con la Diocesi di Piacenza, è un’esperienza arrivata alla nona edizione. E, ormai, «annovera miracoli», racconta la sua esplosiva organizzatrice, Giuliana Rapacioli, 64 anni, medico e sorella di padre Francesco Rapacioli del Pime.
«L’idea è nata nove anni fa da un gruppo di giovani, fra cui le mie due figlie – racconta Giuliana -. Hanno interpellato noi genitori dicendoci più o meno così: “Vogliamo creare un evento in cui giovani di tutto il mondo possano incontrarsi e vivere insieme, per scoprire che la differenza è una risorsa e non una disgrazia. Da allora il nostro motto è “Accogliere la differenza e temere l’indifferenza”».
Alla Settimana della mondialità partecipano ogni anno un’ottantina di ragazzi fra i 15 e i 19 anni provenienti da diversi Paesi, con background religiosi e culturali differenti. Per quanto riguarda le nazionalità, spiccano israeliani e palestinesi, ugandesi, giapponesi, macedoni e polacchi. «I ragazzi arrivano in Italia per partecipare a questa esperienza di una settimana di convivenza e confronto attraverso dei group leader, che sono i nostri referenti nei loro Paesi di provenienza – spiega Rapacioli -. Di solito si tratta di responsabili di organizzazioni che conosciamo o, nel caso del Pime, di missionari. Dall’Algeria viene ogni anno un gruppo di studenti africani entrati in contatto con padre Piero Masolo del Pime».
Ogni anno i ragazzi si confrontano a partire da un tema. Quest’anno a fare da filo conduttore sarà il Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. Il gruppo dei ragazzi e delle ragazze sarà impegnato attraverso attività laboratoriali e di riflessione a interrogarsi sul tema della responsabilità e corresponsabilità di sé stessi e degli altri. A partire da spunti come il valore del prendersi cura (…addomesticare, diceva il Piccolo principe); il tempo come elemento fondante delle relazioni; la libertà come dono più grande; vedere con il cuore l’essenziale.
«A questa esperienza intensa, che è innanzitutto di conoscenza reciproca, partecipano ragazzi e ragazze cristiani, mussulmani ed ebrei – sottolinea Giuliana Rapacioli -. Come ogni anno condivideremo anche i momenti di preghiera. Il venerdì i ragazzi mussulmani invitano gli altri alla preghiera, il sabato si celebra lo Shabbat con gli ebrei e la domenica c’è la Messa». Mai avuto problemi in questi anni? «Nessuno. Ovviamente ognuno ha la piena libertà di partecipare o meno, ma finora nessuno si è tirato indietro. Nei ragazzi, al contrario, c’è tanta curiosità, tanta voglia di capire».
Di storie da raccontare Giuliana Rapacioli ne ha tantissime. «Mi sorprendono sempre i cambiamenti nei ragazzi alla fine di questa esperienza. Il primo anno mi sono avvicinata a una ragazza dai tratti mediorientali e, incautamente, le ho chiesto se fosse palestinese.Si è aperto il diluvio: “No, io sono ebrea”, mi ha risposto. “E con i palestinesi non ci mangio”. Poi vado da un ragazzo palestinese e mi dice la stessa cosa: “Io con gli ebrei non ci voglio stare”. Cominciano i lavori e sapevo che c’era un laboratorio impegnativo. Una ragazza palestinese ha raccontato di quando la nonna è morta perché l’ambulanza che la trasportava è stata bloccata al check point. Quella ragazza ebrea che avevo incontrato all’inizio è scappata fuori dalla sala in lacrime. Alla fine della settimana ho visto i due ragazzi, l’israeliana e il palestinese, chiacchierare sul bordo di una fontana. Ho chiesto loro se potevo fare una foto al futuro».