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Servi della gleba

Sono i nuovi schiavi dell’agricoltura del XXI secolo: uomini e donne gravemente sfruttati in un settore in cui crescono reati e illeciti. Ascolta questo articolo anche in PODCAST

è diventato un caso, un simbolo e, si sperava, uno spartiacque. La vicenda di Satnam Singh, il bracciante indiano morto il 19 giugno 2024 dopo essere stato abbandonato dai suoi datori di lavoro vicino a casa con un arto tranciato su una cassetta degli ortaggi, ha riacceso i riflettori sulla piaga del grave sfruttamento lavorativo e del caporalato in ambito agricolo. Peggio, sulla vera e propria riduzione in schiavitù di persone, in gran parte migranti, deprivate della loro dignità e talvolta anche della loro libertà. «Mai più!», si era detto dopo la sconcertante morte per dissanguamento del trentunenne, che come molti suoi connazionali lavorava nelle campagne di Latina. Pochi mesi dopo, però, nel settembre 2024, Flai Cgil denunciava un nuovo caso di tratta e schiavitù di due ragazzi indiani, sfruttati per mesi senza stipendio, sistemati in un container senz’acqua, servizi igienici e letti, con il cancello dell’area che la sera veniva chiuso con un lucchetto.

Ma allora non è cambiato nulla? «Non proprio», sostiene Laura Hardeep Kaur, segretaria generale della Flai Cgil di Latina e Frosinone, italiana di origini indiane, che ha raccolto la telefonata disperata di un amico di Satnam, che chiedeva aiuto. È stata lei a chiamare il 118, ma anche a denunciare l’accaduto. Per una volta la drammaticità e la disumanità del caso hanno infranto la barriera del silenzio. Silenzio che insieme alla paura sono parte integrante di un sistema consolidato di sfruttamento, caporalato e illegalità diffuso non solo nell’Agro Pontino, ma anche in molte altre regioni d’Italia. «Oggi però c’è più consapevolezza innanzitutto tra i migranti rispetto agli abusi che subiscono e relativamente ai loro diritti – sostiene la sindacalista -. Inoltre, anche da parte delle istituzioni sono stati effettuati molti più controlli, specialmente nei mesi successivi alla morte di Satnam. I risultati sono sconcertanti: nel 100% delle ispezioni sono state riscontrate delle irregolarità».

Anche il VII Rapporto Agromafie e caporalato, realizzato dall’Osservatorio Placido Rizzotto di Flai Cgil e presentato lo scorso dicembre, mette in evidenza come siano in crescita i reati e gli illeciti nell’agroalimentare. Un settore in cui circa 200 mila lavoratori sono irregolari. «Anche a questo proposito – continua la sindacalista – pensiamo che la vicenda tragica di Satnam abbia portato a un cambiamento, almeno nell’immediato. I dati del centro dell’impiego mostrano come nei mesi successivi, e in particolare in agosto, il numero delle persone impiegate in agricoltura nella provincia di Latina è più che raddoppiato: 7.000 lavoratori assunti regolarmente contro i 3.000 circa del 2023. Questo significa che prima tutto veniva raccolto in nero».

Non solo però. Oggi la vera piaga in costante crescita è quella del lavoro “grigio” e del lavoro povero. In un settore che vale 73,5 milioni di euro, la retribuzione mediana lorda annuale dei dipendenti agricoli in Italia è di 6 mila euro. «Questo perché molte persone vengono assunte con contratti di 5/6 giornate lavorative al mese, 12 per i più fortunati – continua Laura Hardeep Kaur -. Oppure con contratti di uno o due mesi in modo che i datori di lavoro non debbano versare i contributi nel trimestre successivo. Molti lavoratori migranti spesso non hanno consapevolezza di tutto questo. Alcuni non sanno neppure se stanno lavorando in modo regolare oppure no».

Tutto ciò può avere ripercussioni anche sul rinnovo dei permessi di soggiorno per cui è richiesto un reddito minimo. Moltissime persone vivono così una doppia irregolarità: lavorativa e in termini di documenti. Il che le rende ancora più vulnerabili e a rischio sfruttamento.

Ma un dramma nel dramma – e un’ingiustizia colossale – riguarda moltissime donne (non solo straniere). A questo proposito, il Rapporto Agromafie e caporalato mette in evidenza la particolare vulnerabilità delle lavoratrici agricole e il legame tra sfruttamento e violenza di genere. «La situazione varia da territorio a territorio e da comunità e comunità – precisa Laura -. Da anni, ad esempio, viene denunciato il caso delle lavoratrici romene doppiamente sfruttate nelle serre del Ragusano. Nella zona dell’Agro Pontino è diverso. Ma il tema di genere esiste. Tra i lavoratori sfruttati, le donne sono ancora meno pagate. Talvolta subiscono aggressioni o ricatti sessuali. Spesso hanno difficoltà di orari o problemi di salute per le tante ore lavorate. In questo territorio, anche molte italiane stanno tornando all’agricoltura, magari perché hanno perso il lavoro. A volte finiscono con l’accettare condizioni di sfruttamento, perché si ritrovano dentro un sistema di parentele, conoscenze o “favori” che non permette loro di denunciare».
Questo significa che la legge 199 del 2016 contro il caporalato non funziona? «Noi continuiamo a pensare che sia stata una conquista, ottenuta con una lunga battaglia dopo la morte di Paola Clemente, la bracciante pugliese uccisa dalla fatica nel luglio 2015. Però questa legge resta tuttora poco applicata. Ma è uno strumento utile e non solo per l’ambito agricolo».

Il tema di fondo però riguarda anche la prevenzione, perché il fenomeno del grave sfruttamento lavorativo e dei tanti, troppi interessi di gruppi criminali nel settore agricolo, non può essere affrontato solo in termini di repressione. «Purtroppo – conclude la sindacalista – non abbiamo un sistema efficace di prevenzione e gli interventi avvengono soprattutto a posteriori quando il reato è già stato commesso. Non c’è ad esempio un controllo rispetto agli indici di congruità: se ho tre ettari di terra e un solo assunto, per fare un esempio, come faccio a garantire una certa produzione? Ma anche il decreto flussi non funziona: più dell’80% degli immigrati, che arrivano regolarmente in Italia, poi si ritrovano nell’irregolarità con grandi difficoltà a ottenere i documenti e a lavorare regolarmente. L’impressione è che, da un lato, non si voglia dare una risposta concreta al bisogno di manodopera e, dall’altro, non ci sia interesse alla regolarizzazione dei migranti».

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