Francesco e Kirill si rendono conto che il primo sforzo non possono chiederlo ad altri. Spetta a loro riconciliare cattolici ed ortodossi russi. E il documento di Cuba tradisce la sua natura pastorale dall’appello stesso alle nuove generazioni cristiane, senza più distinzione tra le confessioni storiche tradizionali
Ce ne sono di motivi molto reali per riconoscere nella dichiarazione congiunta di papa Francesco e del patriarca Kirill di Mosca a Cuba un alto profilo politico. Dall’Ucraina, alla Siria, all’Iraq, al Medio Oriente in genere con le sue storiche divisioni e l’ascesa del fondamentalismo islamico di Al Qaida e Daesh, tutto concorre a far credere che il cammino ecumenico tra cattolici ed ortodossi abbia visto un’accelerazione negli ultimi mesi proprio per contribuire a scongiurare “una nuova guerra mondiale” (n. 11) nel documento apertamente paventata.
Ad una più attenta lettura il testo però appare essenzialmente “pastorale”. Interessante e rivoluzionario, anche sul piano teologico, il superamento dell’antico linguaggio. Le “eresie” non sono più menzionate, ma definite ora “differenze nella comprensione delle verità religiose” (n. 13). L’accento sull’unità e l’eredità del primo millennio, persa non per cattiva volontà, ma come “conseguenza della debolezza umana e del peccato” (n. 5), è ribadita più volte e fortemente accentuata. Il secondo millennio, segnato da aperti contrasti, dalle contrapposizioni teologiche (o forse ideologiche) e dallo spargimento del sangue, è quasi messo tra parentesi. Non per dimenticarlo, ma per sottolineare che la strada della divaricazione non porta da nessuna parte. L’incontro di Cuba, per la parte cattolica nel solco del Concilio Vaticano II con l’Unitatis Redintegratio e la Nostra Aetate (1965), apre invece un nuovo periodo di dialogo con gli ortodossi in tempo per realizzare nel 2054, a mille anni dalla divisione, un tappa più significativa di riavvicinamento e riconciliazione. Non solo con gli ortodossi di Mosca, ma anche degli altri capisaldi autocefali di Costantinopoli, Alessandria ed Antiochia.
Si tratterebbe tuttavia ancora di “politica” ecclesiastica se il documento di Cuba non avesse invece messo l’accento proprio sulle motivazioni e gli obiettivi pastorali di tutto lo sforzo. Essi sono di carattere sociale, etico e religioso dove le tre dimensioni si sostengono a vicenda e si radicano nella riconciliazione come premessa ad una condizione di pace stabile. A questo proposito Kirill e Francesco si rendono conto che il primo sforzo non possono chiederlo ad altri. Spetta a loro riconciliare cattolici ed ortodossi russi; soprattutto ortodossi e greco-cattolici (uniati) in Ucraina (n. 25). Quale forma di pace e dialogo interreligioso possono infatti chiedere agli altri i cristiani se l’obiettivo sfugge al loro interno?
E come possono in realtà i cristiani divisi non tanto nella mente (dottrina), ma soprattutto nel cuore (carità) chiedere il riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa (n. 16) e la fedeltà alle medesime? E di conseguenza il riconoscimento del piano di Dio sulla famiglia (n. 19), sulla vita nascente e morente (n. 21), sui poveri e l’accoglienza dei medesimi (nn. 17,18)?
Il documento di Cuba tradisce la sua natura pastorale dall’appello stesso alle nuove generazioni cristiane, senza più distinzione tra le confessioni storiche tradizionali, ad “incarnare nella vostra vita i comandamenti evangelici dell’amore di Dio e del prossimo”. Le divergenze teologiche sul primato petrino o la “processione” dello Spirito Santo solo dal Padre o anche dal figlio (filioque) non saranno forse mai superate del tutto. Ma i cristiani sembrano ormai guardare anzitutto alla presenza del medesimo spirito nel mondo in forme di espressione anche molto diverse tra loro e solo parzialmente condivise. Quando Francesco e Kirill, riferendosi all’America Latina, si rallegrano “che la fede cristiana stia crescendo qui in modo così dinamico” (n. 2) si riferiscono forse ai cattolici o agli ortodossi, entrambi in calo, o non piuttosto ai movimenti evangelici e pentecostali fortemente in crescita? Molto diversi. Ma tutti cristiani.