Padre Piero Masolo ci racconta la quotidianità di Algeri. E pensa ai giovani cristiani, alle loro difficoltà e ai loro sogni
Questo weekend siamo a Ben Smen. Con gli universitari ci prendiamo un tempo di ritiro, e lo facciamo nella casa dei gesuiti di Algeri, che è fatta apposta per questo. Siamo una quarantina, in buona parte studenti cattolici africani (e qualche protestante) insieme a qualche cristiano algerino. Di solito ci ritroviamo per la Messa alla Maison Diocésaine il venerdì mattina, cioè la “nostra domenica”, visto che il fine settimana cade di venerdì e sabato, e domenica è giorno feriale e lavorativo. Poi camminiamo verso Casa Pime a El Biar, per mangiare insieme (montagne di riso con il pollo!) e condividere, raccontarci, ascoltare, ridere, scherzare e anche ballare! Non questa volta: fare un ritiro significa anche cambiare luogo, andare in un posto diverso dal solito, dove protagonista è il silenzio che invita alla preghiera. Christophe e Abdou introducono il tema, poi i giovani si disperdono in cappella o in giardino, dove un sole invernale riesce comunque a scaldarci.
Vado a sedermi per terra, tra gli ulivi e le palme, e penso a questi giovani combattenti: essere neri e cristiani in Algeria non è una passeggiata! Significa far fronte al razzismo di molti (tra arabi e africani subsahariani storicamente non corre buon sangue) e sentirsi chiedere da non pochi compagni di corso algerini: «Ma perché non diventi musulmano? Se ti converti vai in Paradiso!». Eppure fanno del loro meglio e spesso stringono amicizie con algerini: i più svegli (e fortunati) riescono anche a continuare gli studi con un master in Francia. Sono a migliaia di chilometri dalle loro famiglie, che spesso non rivedono se non dopo quattro o cinque anni. Cosa Ti chiedono, o Signore? Cosa desidera nel profondo Elvira? Cosa sogna veramente Orphé? E Christelle, Trésor, Valdo, Rachel, Grâce, Mouté, Claude…? E tu, che mi leggi, cosa chiedi veramente al Signore?