Un numero tutto dedicato alla Cina quello di febbraio, che ripercorre la storia del Pime nel grande Paese asiatico. Perché il filo del Vangelo non si spezza se ha messo buone radici
“Cina, 150 anni di fili mai spezzati”: il titolo del nostro Primo piano dice il legame che i missionari del Pime hanno mantenuto con le comunità cinesi fondate dai primi padri arrivati nella terra del Dragone nel 1870, capitanati da Simeone Volonteri. Un filo che ha resistito, senza spezzarsi, fino agli anni Ottanta del Novecento, quando i nostri missionari sono riusciti a riallacciare i rapporti con quei cristiani che la rivoluzione culturale di Mao avrebbe voluto disperdere facendo loro dimenticare il volto della Speranza, il volto del Risorto che avevano conosciuto grazie allo zelo di un manipolo di italiani annunciatori del Vangelo. Un filo che più volte è sembrato sul punto di strapparsi sotto il peso degli eventi di un Paese complesso come la Cina, eppure nulla lo ha reciso. Non la furia dell’ateismo di Stato, non la lontananza da coloro che avevano portato il Vangelo in quelle terre, non il tentativo di disperdere i cristiani, non la sciagura del martirio e della persecuzione.
C’è una tenacia non umana che contraddistingue l’epopea del Vangelo, dei suoi annunciatori e di chi vi aderisce, tenacia che va molto oltre la normale resistenza alle sollecitazioni della storia. Il Vangelo è duro, resistente per sua natura, non si spezza, non si piega, non scompare, non è scritto con l’inchiostro simpatico nel cuore di chi lo ha accolto davvero. Il Vangelo resta e mette radici laddove è stato portato e quei fili mai spezzati iniziano a tessere una trama, un tessuto che entra nella storia di nazioni e popoli per portare nuovi colori e nuove fantasie. E se il filo è resistente, il tessuto che è la Chiesa lo sarà ancora di più; per questo essa non muore, nemmeno davanti alla furia della rivoluzione culturale cinese, alla follia dei Khmer rossi o a quella della rivoluzione messicana.
I fili della missione compongono una trama che va dal Giappone dove padre Giuseppe Piazzini, ultraottantenne, con l’allegria di un quindicenne sta tra i malati dell’ospedale di cui è cappellano e arriva fino in Messico dove padre Alessandro Maraschi, uno dei più giovani missionari del Pime, sta studiando lo spagnolo e impara ad amare un Paese e un popolo che fino a pochi mesi fa gli erano sconosciuti. Fili lunghi come la circonferenza del globo terrestre che avvolgono il mondo e creano un tessuto di amore gratuito che ne tiene insieme i pezzi, spesso lacerati da guerre, odio, discriminazione e tutto ciò che vorrebbe dilaniare la comunità degli uomini.
Il Pime quest’anno racconterà la missione in Cina, quella di 150 anni fa e quella di oggi, per ricordarci che, quando un seme di Vangelo viene piantato, fiorisce e non muore più. E non morirà neanche qui in Italia, dove tutti, con sguardo preoccupato, vediamo le comunità cristiane dimagrire velocemente.
La storia della Chiesa in Cina, in Cambogia, in Messico ce lo insegnano e ci fa guardare con speranza al presente e al futuro della Chiesa universale.