Nella sua missione in Papua Nuova Guinea, suor Chiara Colombo si sta dedicando a corsi per catechisti e maestre. Poche semplici azioni, ma di grande impatto
Per suor Chiara Colombo, missionaria dell’Immacolata in Papua Nuova Guinea, il 2023 sarà dedicato alla formazione. Trasferitasi un anno fa dall’isola di Kiriwina a Watuluma, nell’isola di Goodenough, nella nuova missione la religiosa ha trovato una realtà fertile: «Da un anno la diocesi sta pensando a una riorganizzazione delle parrocchie, perché il modello utilizzato finora non risponde più alle esigenze della popolazione», racconta. «Nell’ultimo incontro diocesano sono state date linee guida aggiornate su come condurre l’evangelizzazione».
Con l’aiuto di due sacerdoti, padre Dominick e padre Peter, suor Chiara a luglio dell’anno scorso ha dato avvio a un corso di formazione per catechisti. «L’obiettivo è rendere i leader cristiani più autonomi possibile. Così facendo non impartiamo semplici insegnamenti, ma ci chiediamo: come far sì che questi contenuti teorici prendano forma concreta per i papuani?». I concetti della dottrina sociale della Chiesa vengono allora semplificati al massimo: da una parte per essere meglio veicolati, dall’altra per fare in modo che i futuri catechisti possano aggiungere qualcosa della loro esperienza. «Non si tratta – spiega la religiosa – di un passaggio di contenuti come se si trattasse di un esame universitario. L’obiettivo è dare spazio e arricchire la teologia cristiana con le esperienze personali di ciascuno. In questo modo la scoperta del volto di Cristo è reciproca: per noi religiosi è una ri-scoperta, anche io come suora sento così di essere di nuovo evangelizzata».
La missione diventa allora un processo di scambio con i capi cristiani e i fedeli locali, molto faticoso (sarebbe più facile impartire nozioni e basta), ma suor Chiara non si lascia abbattere dalla mole di lavoro. Al contrario, ha deciso di raddoppiare, formando anche un gruppo di giovani maestre – ragazze che hanno studiato ma erano disoccupate – che andranno a lavorare nei primi asili di Watuluma, costruiti nei prossimi mesi in diversi villaggi dell’isola. «Ci siamo resi conto che i bambini papuani, non ricevendo una serie di stimoli mentali da neonati, hanno più difficoltà a stare attenti e concentrarsi per lo studio». Da qui è nata l’idea di chiedere alle comunità locali di selezionare una quindicina di ragazze che hanno ricevuto una formazione di tre mesi e poi hanno fatto un praticantato con i bambini delle famiglie della missione. «Abbiamo chiesto ai villaggi di selezionare le maestre – commenta suor Chiara – perché volevamo responsabilizzare gli abitanti».
Il progetto pilota è stato accolto con grande entusiasmo, al punto che sorgeranno diverse strutture nei villaggi della parrocchia, di cui una più attrezzata nascerà al centro della missione. I trasporti in Papua infatti sono molto complicati e bambini e genitori non possono certo camminare per distanze che arrivano fino a 15 chilometri. La costruzione degli asili rientra quindi anche nel progetto pastorale diocesano di sviluppo delle infrastrutture, spiega la missionaria. «Lo sviluppo deve essere sostenibile, cioè fatto con la comunità e per la comunità. L’idea iniziale può anche partire da un missionario carismatico, ma poi tutto ciò che costruiamo deve essere in grado di continuare anche senza di noi». «La formazione è un compito delicato» riflette la religiosa. E infatti non sono mancate le delusioni: un laboratorio di cucito, per esempio, è stato chiuso dopo che si sono verificati alcuni furti di materiale.
I margini di crescita comunque ci sono: nel 2022 è stato realizzato anche un corso di informatica per una quindicina di giovani. Ottenuto il diploma sono tornati nei villaggi, dove però non hanno la possibilità di usare i computer, per cui quest’anno sono stati invitati a tornare nella sede centrale della parrocchia per fare qualche lavoro con il pc, in modo da non perdere le abilità apprese. Un piccolo passo di un lungo percorso: «A volte noi missionari abbiamo fretta di fare tante cose, ma ogni tanto è necessario rallentare. Io credo sia meglio non realizzare un progetto se non tocca la vita della gente».
Gli asili e i corsi di formazione possono sembrare attività banali, però hanno un impatto reale sulla vita degli abitanti di Watuluma. «In Papua Nuova Guinea non ci sono situazioni disperate come in altri Paesi, però c’è un tessuto sociale fragile, che richiede attenzioni e cure», commenta ancora suor Chiara. «Spesso anche i politici locali, in occasione della giornata dell’indipendenza, che si festeggia il 16 settembre, ricordano che il Paese non è del tutto indipendente, perché ha ancora bisogno di aiuti e finanziamenti dall’estero. La strada per l’autonomia resta lunga«. Ma l’esempio di suor Chiara dimostra che a piccoli passi si può arrivare ovunque.