Dai depositi del Museo Popoli e Culture del Pime emerge la storia di alcuni preziosi oggetti donati dalla famiglia del dottor Luigi Barbieri de Introini, che fu medico dell’ultimo sovrano birmano
Esistono fili sottili ma resistenti che attraversano con tenacia i secoli e le vicende storiche per legare Paesi e luoghi anche molto lontani tra loro. Spesso il tempo e la polvere nascondono gli indizi e le connessioni, finché un evento particolare o un lavoro di inventariazione e ricerca riportano alla luce storie ricche di interesse. È quello che è successo con l’attività che stiamo conducendo come Ufficio Beni Culturali del Pime nei depositi del Museo Popoli e Culture: abbiamo seguito e ricostruito il filo di un percorso che unisce l’ultimo re di Birmania al Pime dei nostri giorni, raccontando una storia di generosità e di avventura che inizia un secolo e mezzo fa.
Tra il 1871 e il 1872 viene ratificato un trattato di amicizia, commercio e navigazione tra il Regno d’Italia e la Birmania, un evento che porta all’intensificarsi delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi e alla nascita di una piccola ma vitale comunità italiana. In particolare durante il regno dell’ultimo re di Birmania, il sovrano Thibaw, asceso al trono nel 1878 e desideroso di apportare rinnovamenti e modernità al suo Paese, arrivano nella capitale Mandalay decine di italiani: si tratta di militari impiegati per la riforma dell’esercito e la costruzione di infrastrutture elettriche e telegrafiche; piccoli imprenditori che avviano fabbriche per la produzione di munizioni e tessuti serici; uomini di scienza e cultura che danno il via a esplorazioni geografiche e botaniche e portano nuove idee in campo medico.
In questo contesto si muove Luigi Barbieri de Introini, stimato medico lombardo. Della sua esperienza settennale alla corte reale resta un resoconto di 16 pagine intitolato “Brevi cenni sulla Birmania: nota”, pubblicato sulla rivista del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere nel 1891. In questo scritto il dottor Barbieri de Introini descrive le malattie, le pratiche mediche, il clima, i caratteri fisionomici, gli usi e i riti conosciuti nel Paese asiatico; racconta inoltre di come sia diventato il medico personale del re e della sua famiglia solo dopo essere stato messo alla prova per un intero anno, con visite presso monasteri lontani, lungo sentieri impervi e sotto la pioggia, «avendo – come lui stesso spiega – il Consiglio degli astrologi e dei ministri stabilito che si dovesse prima esperimentare in qual modo il maestro di medicina straniera praticava la propria arte sopra organismi di una minore importanza di quello di un re». Un tirocinio frutto senz’altro della precauzione, ma anche della gelosia e dell’astuzia della corte!
Una vicenda interessante e in parte avventurosa che si lega al Pime grazie a una breve nota trovata nelle schede del Museo Popoli e Culture: poche righe in cui si attesta che alcuni oggetti birmani del XIX secolo sono stati donati dalla signorina Antonia Barbieri, dopo averli ereditati dal nonno, il dottor Luigi Barbieri de Introini, medico personale dell’ultimo re di Birmania. Grazie a un vecchio album che reca sulla copertina l’indicazione manoscritta “Fotografie di Mandalay”, ci è stato possibile scorgere anche il volto del medico lombardo, della moglie e di altri membri della comunità di italiani a Mandalay, ritratti davanti a un tempio o riuniti sotto un grande albero in un vivace picnic. Foto consumate dal tempo ma arricchite da didascalie manoscritte molto preziose per identificare persone e contesto. Purtroppo non restano altre tracce documentarie, ma è possibile ammirare alcuni oggetti della donazione nelle sale espositive del museo, come una statua raffigurante un Buddha in posizione seduta, due contenitori laccati e un kammavaca. Questo è un prezioso testo buddhista dalle caratteristiche molto particolari: è costituito da due copertine di legno decorate che racchiudono foglie di palma dorate e tagliate in forma rettangolare, su cui uno scriba esperto ha tracciato, in rosso cinabro prima e in resina nera poi, il testo in sanscrito e in stile pali, la grafia utilizzata in ambito sacro. Dopo il loro utilizzo nelle cerimonie monastiche, i kammavaca venivano avvolti in una stoffa, legati con una cinghia e riposti in apposite casse per proteggerli e conservarli. Tra gli oggetti della donazione Barbieri vi sono anche un paio di questi contenitori, realizzati su misura per contenere un solo e preciso testo, decorati con lacca incisa e intarsiata con pietre dure e specchietti brillanti.
Oltre a questi preziosi reperti, il lavoro di inventariazione ci ha permesso di prendere in esame tutto il nucleo di materiali provenienti dalla Birmania, oggi Myanmar, conservato dal Museo Popoli e Culture: esso comprende anche un grande numero di oggetti più recenti e di carattere etnografico, come tessuti, ornamenti, articoli d’uso quotidiano e rituale appartenenti a diverse comunità etniche, in particolare shan e karen, presso cui operano i padri del Pime. Molto diversi da quelli della donazione Barbieri ma ugualmente preziosi, raccontano storie di vita, pratiche religiose e tradizioni che hanno saputo trovare un incontro al di là delle differenze e nella pratica quotidiana della cura reciproca.