Gesuita per amore dell’istruzione

Damó Chour è il primo cambogiano a unirsi alla Compagnia di Gesù dopo essersi per anni preso cura degli alunni lasciati indietro dal sistema scolastico nazionale
Avrebbe potuto continuare a studiare in Francia dopo la laurea in Cambogia, invece Damó Chour ha scelto di intraprendere la strada del sacerdozio, diventando nel 2023 il primo gesuita cambogiano della storia. «Sono cresciuto in una famiglia buddhista, ma ho ricevuto il battesimo nel 2000, all’età di 16 anni», racconta oggi il sacerdote della Compagnia di Gesù. Durante gli studi alla prestigiosa Royal University of Law and Economics di Phnom Penh, che offre la possibilità di seguire i corsi in khmer e francese, Damó lavorava come volontario a Prey Veng, insieme a padre Alberto Caccaro, missionario del Pime in Cambogia.
Damó si è sempre occupato di istruzione. In sella a una motocicletta, cercava di avvicinare i giovani attraverso “biblioteche mobili”: «Davamo lezioni ambulanti leggendo loro dei libri oppure li mettevamo in contatto con le scuole pubbliche locali», spiega il gesuita, che ai tempi percorreva anche 50 chilometri di strada sterrata pur di raggiungere i villaggi nelle aree rurali. Nel 2006, dopo la laurea, decise di impegnarsi a tempo pieno, con grande sorpresa del missionario del Pime, che era convinto che il giovane cambogiano avrebbe proseguito i propri studi all’estero. Damó, invece, era stupito di vedere «quanti giovani alunni avessero così tanto bisogno dell’aiuto di altri cambogiani».
Il sistema scolastico in Cambogia è strutturato in sei anni di scuola elementare, tre di medie e tre di superiori, ma tutti i livelli presentano enormi problemi di gestione: «Le lezioni dovrebbero durare dalle 7 alle 11 del mattino. Però capita che gli insegnanti si presentino anche non prima delle 8.30 e alle 10 se ne vanno. Così, chi davvero vuole ricevere un’istruzione deve pagare sessioni di ripetizioni al pomeriggio», dando vita a un sistema profondamente iniquo.
E reso ancora più complicato dalle difficoltà date dalla burocrazia. «Chiedere l’approvazione del governo per la creazione di una nuova scuola è stato estremamente stressante», racconta Damó, facendo riferimento alla prima scuola costruita insieme a padre Alberto a Prey Veng. «Ricordo che ero sul punto di mollare. Bastava anche un piccolo errore grammaticale sui documenti per bloccare tutto. Era chiaro che era un modo per chiedere tangenti: se avessi pagato, sarebbe filato tutto liscio».
«Quando ho presentato i documenti al ministero dell’Educazione – prosegue il gesuita – mi dissero che dovevo fornire le foto e i dettagli del nuovo edificio. Così sono andato al ministero del Territorio e dell’Urbanizzazione per richiedere il permesso di costruzione, ma lì mi dissero che non potevano approvare nulla senza l’ok del ministero dell’Educazione. Sembrava un sistema progettato per renderci vulnerabili».
Grazie al sostegno di padre Alberto, Damó ha deciso che avrebbe comunque proseguito la sua missione: «Stavo tornando al villaggio e mi sono ritrovato a fissare i campi di riso mentre la pioggia cadeva e il sole, allo stesso tempo, brillava. In quel momento ho sentito una voce interiore che mi diceva: “Va tutto bene, non preoccuparti”. È stato un momento di grazia, in cui mi sono sentito profondamente incoraggiato a continuare».
Fu una prima chiamata vocazionale per Damó, che aveva in mente un tipo di scuola per le aree rurali diverso dal resto della Cambogia: «Per noi era necessario offrire attenzione e supporto ai bambini. Volevamo rispettare i tempi dell’insegnamento senza dipendere da lezioni extra a pagamento. L’obiettivo era creare un ambiente che stimolasse i bambini». Ma per farlo era necessario prima creare una relazione tra «i tre pilastri fondamentali del sistema educativo: la scuola, i bambini e la famiglia». Damó si accorse che mancava il coinvolgimento dei genitori. «Ricordo che alcuni bambini non venivano a scuola durante la stagione del raccolto. Dovetti andare nei loro villaggi per capire cosa stesse succedendo. Scoprii che molti erano impegnati nei campi. I genitori, spesso contadini, dipendevano dall’aiuto dei figli. Solo allora capii la loro realtà e cercai di adottare un approccio compassionevole».
Fu poi proprio una giovanissima alunna a spingere Damó verso il sacerdozio: «Mi stavo recando in una scuola rurale in motorino. Mi spostavo per visitare le famiglie degli studenti e informarle sui progressi dei figli», commenta il gesuita. «Una mattina incrociai una bambina, forse di prima o seconda elementare. Era spaventata perché sapeva che ero un insegnante. Mi fermai, spensi il motorino e le chiesi dove stesse andando, dato che avrebbe dovuto essere a scuola. Lei mi rispose che l’insegnante non era venuto. Il momento in cui i suoi occhi incrociarono i miei fu estremamente significativo. Avevo percepito la presenza di Cristo, come se mi stesse chiedendo: “Puoi fare qualcosa per me, per l’umanità?”».
«Quel momento mi toccò profondamente. Mi sono a lungo interrogato su cosa ci fosse di così speciale negli occhi di quella bambina: erano puri, innocenti, pieni di amore. Mi sono chiesto quanti altri bambini si trovassero in situazioni simili, bisognosi di amore, attenzione e cura. Quell’esperienza ha risvegliato in me ricordi della mia infanzia, cresciuto poco dopo la guerra civile in Cambogia, in un periodo di distruzione e povertà. L’educazione era estremamente carente, e molti bambini, come me, non ricevevano l’attenzione e l’affetto di cui avevano bisogno».
Ancora oggi quel ricordo aiuta Damó a superare le difficoltà: «Fu un risveglio, un invito a partecipare alla costruzione del Suo regno. Quando mi sento scoraggiato o in difficoltà con la mia fede e vocazione, torno sempre a quell’esperienza. Mi ricorda il motivo per cui ho scelto questo cammino e mi dà la forza di andare avanti».
Quando Damó era studente le cose non erano molto diverse: «Ci capitava di rimanere in classe fino alle 8.30 senza nessun insegnante. La nostra aula non aveva muri e il pavimento era di terra battuta. Quando arrivava la pioggia, dovevamo spostarci perché l’acqua entrava ovunque».
Oggi le cose sono cambiate, ammette, ma restano dei problemi, come la carenza di personale docente qualificato: «Spesso si costruiscono scuole, ma mancano gli insegnanti». Fortunatamente, diversi ex alunni delle scuole realizzate da Damó e padre Alberto Caccaro hanno poi sfornato ottimi insegnanti. «Mi consola vedere gli ex studenti contribuire al cambiamento. Hanno dimostrato quanto si sentano fortunati per ciò che hanno ricevuto».
u chiaramente la passione per l’educazione ad avvicinarlo ai gesuiti, presenti in Cambogia fin dai primi Anni 90 e perlopiù impegnati nel Jesuits Refugee Service e a servizio della prefettura apostolica di Battambang. Dopo dieci anni di studio all’Ateneo Teologico di Manila, nelle Filippine, Damó è stato ordinato il 23 settembre 2023. «Oggi mi occupo della promozione delle vocazioni, aiutando i giovani che sentono la chiamata a diventare sacerdoti o religiosi. E sono responsabile della pastorale giovanile».
FAnche questo compito non è privo di sfide: «Molti giovani in Cambogia hanno vissuto vari tipi di traumi, soprattutto abusi sessuali, e non hanno mai avuto la possibilità di parlarne con qualcuno. Alcuni di loro si sono aperti con me, condividendo il loro dolore. Ho cercato di ascoltarli e, quando possibile, di trovare persone o organizzazioni che potessero prendersi cura della loro salute mentale».
Una mancanza di amore e cura che Damó aveva già notato mentre lavorava con i giovani studenti. «Molti bambini crescono separati dai genitori, che spesso lavorano in Thailandia, e sono lasciati ai nonni o altri parenti. Questa distanza emotiva crea un vuoto profondo, una mancanza di calore e attenzione che influisce sulla loro crescita. La mia missione è sempre stata di aiutarli ad affrontare queste sfide interiori, a riconoscerle e a trovare un modo per superarle».
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