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Il dono dei campesinos agli ultimi del Bangladesh

La Chiesa di Ibarra in Ecuador sta contribuendo alla costruzione di un ostello per le ragazze dei villaggi più poveri della diocesi bangladese di Sylhet al confine con l’India, grazie all’iniziativa di un missionario italiano, don Francesco Rizzo

Una casa per permettere alle ragazze di studiare, offrendo loro un futuro diverso in una terra dove da generazioni vivono lavorando come braccianti nella raccolta del tè. Sta nascendo nella diocesi di Sylhet, in una zona molto povera del Bangladesh, al confine con l’India. E sta succedendo grazie a un’amicizia missionaria con una diocesi dell’America Latina, quella di Ibarra in Ecuador. Due periferie del mondo in dialogo sul tema della condivisione e della promozione umana, perché nessuno è talmente povero da non poter allungare la mano al proprio fratello. E che riassume in sé la storia di un missionario italiano, don Francesco Rizzo, che in questa piccolissima comunità cattolica dell’Asia in un Paese dove i cristiani sono appena il 2% della popolazione ci è giunto proprio come dono della sua Chiesa di adozione, in America Latina.

«Monsignor Giuseppe Casale mi ha ordinato sacerdote a Foggia, nel 1998, e appena 4 mesi dopo mi ha inviato come fidei donum in Ecuador, dove l’arcidiocesi aveva aperto una missione diocesana – racconta don Francesco -. Là c’era don Walter Maggi, chiamato da tutti don Dario, che alcuni anni prima aveva iniziato la presenza missionaria ed è poi diventato il vescovo di Ibarra. Ed è con lui che è nata l’idea di un’altra partenza: il dono di un sacerdote della Chiesa dell’Ecuador alla piccola comunità cattolica del Bangladesh che monsignor Maggi aveva avuto modo di conoscere attraverso i racconti di monsignor Bejoy Nicephorus D’Cruze, oggi arcivescovo di Dhaka». 

Dal 2017 don Rizzo, dopo 19 anni di America Latina, svolge dunque il suo ministero nella diocesi di Sylhet, dove insegna nel seminario e svolge il ministero pastorale nella missione San Michele Arcangelo di Kamudpur, nel distretto di Moulvibazar. Proprio qui il vescovo locale, Shorot Francis Gomes, aveva espresso la necessità di dare vita a una nuova comunità in un’area troppo estesa per una sola comunità pastorale. Una missione per stare accanto in maniera particolare ai braccianti del tè, presenti nelle campagne dove lavorano e vivono molte famiglie. Con il sostegno della Conferenza episcopale italiana, dell’associazione Aiuto alla Chiesa che soffre e di Missio Aachen, le opere mis­sio­narie della Chiesa tedesca a Kamu­dpur, ha aperto un centro di assistenza sanitaria, accanto alla chiesa di San Michele che è in costruzione. Lo studentato per le ragazze andrà a completare il complesso proprio grazie al contributo dei cattolici di Ibarra. 

«L’Ecuador ha certamente varie problematiche sociali, economiche, spirituali, e c’è ancora un grande lavoro pastorale da fare; ma è un Paese cristiano: i cattolici sono circa il 94% – commenta don Rizzo -. In Bangladesh la popolazione nella sua grande maggioranza è di religione musulmana. Siamo in una condizione di minoranza, una situazione che personalmente non avevo sperimentato prima. Un altro mondo».

«Nella zona di Kamudpur le condizioni economiche e sociali sono di grande povertà – aggiunge ancora il missionario italiano – con situazioni di sfruttamento e discriminazione molto forti. I lavoratori delle piantagioni guadagnano un euro al giorno, non hanno casa propria, vivono in casette minuscole fatte di terra, senza energia elettrica né acqua corrente. In molti casi, per andare a scuola i bambini devono camminare per alcuni chilometri e, per le scuole medie e superiori, la situazione è ancora più difficile».

Per questo il progetto che la diocesi di Ibarra sta contribuendo a realizzare è molto prezioso.  L’ostello ospiterà 30 ragazze che troveranno un luogo adeguato per poter studiare: dalla missione potranno frequentare i vicini istituti scolastici a Komolgonj, che si trova meno di 3 km di distanza. Ma nella struttura potranno ricevere anche una formazione umana e spirituale, con particolare attenzione alle dimensioni dell’affettività e della dignità della donna in aree dove purtroppo è diffusa la piaga dei matrimoni precoci. 

«Dall’Ecuador sono tanti piccoli benefattori a far arrivare la loro offerta per la missione, un frutto molto bello della mia presenza che la comunità di Ibarra ha condiviso con la Chiesa del Bangladesh». Nel frattempo ci sono amici che dall’Italia continuano a sostenere economicamente anche le opere missionarie e sociali della Chiesa di Ibarra, in un triangolo che vede tre continenti uniti in un solo grande progetto di solidarietà.

«Confidiamo nella Divina Prov­videnza e nell’opera di amici, persone che conosciamo direttamente, ma anche di chi, conosciuto in Ecuador o in Italia il nostro sogno, ha scelto di darci una mano», commenta il missionario.

Lo studentato, inoltre, è un segno importante della volontà di un cambiamento reale anche alla  luce della fase delicata che il Bangladesh sta vivendo in questi mesi. Dopo le proteste degli studenti dell’estate scorsa, sfociate nella caduta del governo della premier Sheikh Hasina, è iniziata una fase di transizione affidata al governo provvisorio guidato dal premio Nobel per la pace Mohammad Yunus, che ha promesso di portare il Paese alle elezioni entro la fine dell’anno. Ma restano grossi timori sulla possibilità che forze estremiste colgano l’occasione per prendere le redini del Bangladesh.

«Si vive come in un limbo», racconta don Francesco, condividendo l’opinione preoccupata avvertita per strada, in parrocchia, nelle città dove la polizia, dopo le violenze di quest’estate, sta perdendo autorevolezza giorno dopo giorno. «Lo Stato appare debole, il governo non viene quasi percepito dalla popolazione. La gente comune avverte una instabilità palpabile che mina ogni sicurezza. La stessa prospettiva delle elezioni rischia di aumentare l’incertezza, in un momento in cui ci si aspetterebbero risposte pronte e chiare su stabilità politica ed economica, anziché il protrarsi della mancanza di decisioni». 

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