Argentina, Ruanda, Belgio e Francia: sono i Paesi che ospitano i nuovi siti Unesco. Li raccontiamo in questo mese di gennaio in cui si ricorda l’Olocausto degli ebrei
«Nunca más! Mai più!». Per anni le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo in Argentina hanno urlato questo slogan. Mai più dittatura, omicidi, torture, violenze, sparizioni. Mai più crudeltà. E mai più silenzi complici. Quel grido è diventato oggi memoria condivisa e patrimonio dell’umanità, grazie all’inclusione dell’ex Scuola di meccanica della Marina (Esma) nell’elenco dei siti Unesco. Quello che fu un centro di tortura durante la dittatura del 1976-1983 e che era già stato trasformato nel 2015 in Museo della Memoria è diventato dallo scorso settembre anche simbolo universale di un passato da conoscere e da non ripetere. Non è il solo. L’Unesco infatti ha ugualmente riconosciuto i siti funerari e di memoria della Prima guerra mondiale (Fronte occidentale) al confine tra Francia e Belgio e quattro luoghi-simbolo del genocidio del Ruanda del 1994.
«I Siti della Memoria sono luoghi in cui si sono verificati eventi che una nazione e la sua popolazione, o alcune comunità, desiderano commemorare. Questi siti – secondo gli auspici dell’Unesco – diventano luoghi di riconciliazione, contemplazione e riflessione pacifica. La loro inclusione nella lista del Patrimonio mondiale li rende parte del nostro patrimonio globale condiviso e riconosce il loro ruolo nel processo di pace».
È quanto avvenuto in Argentina, dove per decenni le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo hanno portato avanti azioni di lotta e di resistenza non violenta contro la dittatura, attraverso la loro presenza costante, tutti i giovedì, sin dal 1977, attorno alla Piramide de Mayo, con i loro fazzoletti bianchi in testa e la loro infaticabile ricerca di figli, nipoti, mariti e familiari scomparsi. «La gioia della gioventù che presenzia questa cerimonia si mescola con la tristezza per i tanti che sono assenti e di cui non si conosce neppure che fine abbiano fatto», ha sottolineato la presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, Estela de Carlotto, in occasione delle celebrazioni che si sono tenute a Buenos Aires per il riconoscimento dell’Unesco. Un riconoscimento che – ha rimarcato la de Carlotto – va più globalmente alle «politiche dei diritti umani ai patti democratici costruiti dal nostro popolo, durante questi quarant’anni di democrazia, il periodo più lungo senza oppressione della nostra storia». Ma è anche un avvertimento affinché quel «Nunca más!» gridato per tanti anni non venga nuovamente disatteso oggi.
Memoria e presente, passato e futuro sono strettamente intrecciati anche in un’altra vicenda che l’Unesco ha riportato all’attenzione a trent’anni di distanza: il genocidio del Ruanda. Una ferita ancora aperta in un Paese che ha fatto molti e importanti passi avanti, ma non necessariamente nella rielaborazione di quella follia organizzata che in poco più di cento giorni, tra aprile e luglio del 1994, portò alla morte oltre 800 mila persone, in gran parte di etnia tutsi.
Sono quattro i siti commemorativi riconosciuti: Murambi, Gisozi, Bisesero e Nyamata. In quest’ultima cittadina, una trentina di chilometri a Sud di Kigali, il memoriale si trova in un’ex chiesa cattolica dove avvenne uno dei peggiori massacri: vi sono conservate le spoglie di circa 50 mila vittime. Altrettante sono sepolte nel complesso commemorativo di Murambi, in un’ex scuola tecnica che fu teatro di una terribile strage, mentre 40 mila si trovano nel centro di Bisesero, dove la gente resistette per due mesi prima di venire sterminata. Infine, sulla collina di Gisozi si trova il memoriale della capitale Kigali, dove sono sepolti i resti di oltre 250 mila persone. «L’iscrizione di questi luoghi nella Lista dell’Unesco ne aumenta la visibilità internazionale e onora la memoria delle vittime – ha dichiarato il ministro Jean Damascène Bizimana, che ha fatto notare come essi rappresentino anche i primi siti della memoria in Africa -. Questo riconoscimento rafforza la lotta contro la negazione del genocidio e servirà a educare le generazioni presenti e future». Il Ruanda ha fatto un grande lavoro per conservare questi siti e rendere accessibile la memoria che custodiscono, non altrettanto nel promuovere la coesione sociale, anche se non mancano esperienze di base che continuano a portare avanti processi di riconciliazione e di convivenza pacifica.
Del resto è una “lezione” che anche i popoli dell’Europa non hanno ancora appreso nonostante secoli di guerre, massacri e violenze, che ancora oggi, tuttavia, si perpetuano in Ucraina o che rischiano di riesplodere al di là dell’Adriatico nei Balcani. A ricordare l’enorme perdita di vite umane durante la Prima guerra mondiale, sono stati inseriti tra i siti patrimonio dell’Unesco anche una serie di luoghi lungo il Fronte occidentale, dove si combatterono le forze tedesche e quelle alleate tra il 1914 e il 1918. Situati tra il Nord del Belgio e l’Est della Francia, comprendono grandi necropoli, con i resti di decine di migliaia di soldati di diverse nazionalità, piccoli camposanti, singoli memoriali, ma anche cimiteri ospedalieri e militari.
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