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L’acqua è vita!

Un progetto di Fondazione Pime finanziato con l’8Xmille dello Stato ha portato pozzi, orti e formazione nell’arida regione dell’Estremo Nord del Camerun. Un’iniziativa condivisa con padre Danilo Fenaroli e con la gente dei villaggi. Ascoltalo anche in PODCAST

«L’acqua è vita!», dice un anziano del villaggio. E quella che sembrerebbe la più ovvia delle affermazioni assume un significato letteralmente “esistenziale” nella savana dell’Estremo Nord del Camerun. Lo sa bene quest’uomo che porta sulla pelle arsa e rugosa i segni di un tempo inclemente, di fatiche e di resilienza, di precarietà e di tenacia. Spesso proprio per avere un po’ d’acqua. E dunque per poter sopravvivere. È la condizione di tutte le famiglie che abitano in quella che è una delle regioni più povere e arretrate del Camerun, dove circa il 74% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Lo Stato e le sue istituzioni sono lontani non solo dal punto di vista chilometrico. La distanza la si misura soprattutto in mancanza di strutture e infrastrutture: per l’agricoltura e l’allevamento (che sono le due attività che garantiscono la sopravvivenza della popolazione), ma anche in termini di accesso all’istruzione e alla sanità.

Lo sa bene anche padre Danilo Fenaroli, missionario del Pime che vive qui da quasi 35 anni. Il suo impegno abbraccia molti ambiti e soprattutto quello delle persone con disabilità fisica e mentale, che sono al cuore anche della Fondazione Betlemme, creata nel 1997 con lo scopo di contrastare la grave emarginazione sociale che subiscono in particolare queste persone, ma anche di accrescere la speranza di vita di bambini orfani e di garantire educazione e formazione a quelli in maggiore difficoltà e ai giovani descolarizzati.

All’interno dell’impegno della Fondazione Betlemme e di padre Danilo si inserisce anche il progetto che è stato promosso e portato avanti in quest’ultimo anno dalla Fondazione Pime di Milano grazie ai fondi dell’8Xmille dello Stato italiano – Presidenza del Consiglio dei ministri. Un progetto finalizzato al contrasto della malnutrizione infantile e al supporto all’autosufficienza idrica e alimentare, accompagnato da momenti di formazione della popolazione e in particolare delle donne, in tre villaggi del dipartimento di Mayo Kani: Damaj, Majelgama e Mouda.

«Il nostro obiettivo è che il processo avviato con questo progetto non termini con la fine del progetto stesso – spiega padre Danilo da Mouda -. Non abbiamo realizzato pozzi con pompe, cisterne e pannelli solari perché restino dei monumenti da guardare. Certo, avere acqua sempre e per tutti qui non è mai scontato. Ma ha senso soprattutto in una prospettiva di futuro. Per questo abbiamo scelto alcuni villaggi in cui ci sono persone di fiducia, su cui possiamo contare affinché questo progetto abbia continuità e contribuisca concretamente a migliorare la vita della gente e in particolare dei bambini più piccoli che in questa regione sono spesso afflitti dalla malnutrizione acuta».

E così, dopo che negli scorsi mesi sono state completate le strutture dei pozzi e fornite tutte le attrezzature e i kit igienico-sanitari alle famiglie, in questo mese di gennaio sono continuati i lavori per la realizzazione di nuovi orti. «L’idea di fondo – continua padre Danilo – è che la gente possa accedere all’acqua non solo per bere, cucinare e per l’igiene, ma che possa coltivare gli orti anche nella stagione secca, in modo da avere sempre qualcosa da mangiare e una dieta più variegata e nutriente».

Insieme a Francesca Bellotta, responsabile amministrativa del progetto – che per otto anni ha vissuto a Mouda come volontaria dell’Associazione Laici Pime (Alp) e conosce bene la regione e le sue fragilità – padre Danilo continua a visitare i villaggi per aiutare le persone a farsi carico di un’attività che non necessariamente rientra nel loro modo tradizionale di praticare l’agricoltura, che resta legato alla stagione delle piogge. «Il problema – fa notare Francesca – è che anche qui le precipitazioni sono sempre più irregolari e imprevedibili e gli eventi climatici estremi, con lunghe siccità o piogge devastanti e conseguenti alluvioni, stanno diventando sempre più frequenti. Nel 2024 poi abbiamo avuto un caldo record con le temperature che sono salite oltre i 50 gradi». E allora il tema della sicurezza alimentare – che per tanti neonati e bambini significa letteralmente essere ridotti alla fame – si impone come un’urgenza da affrontare innanzitutto attraverso la formazione.

«Abbiamo lavorato direttamente e indirettamente con gli abitanti dei villaggi, che sono piuttosto piccoli, tra i mille e i duemila abitanti ciascuno – spiega Bellotta -. Il coinvolgimento della popolazione è fondamentale, in particolare delle donne sia per l’agricoltura che per la sicurezza alimentare. Non è facile, perché il loro livello di istruzione è generalmente molto basso. Purtroppo, ancora oggi, molte ragazze e donne non hanno accesso all’istruzione o a una scuola di qualità e sono praticamente analfabete. Ma comprendono perfettamente la necessità di migliorare la qualità della nutrizione dei loro figli, anche semplicemente arricchendo la bouillie, la tradizionale pappa che è il piatto base di questa regione. Così come, avendo a disposizione l’acqua, si rendono conto immediatamente dell’importanza di curare maggiormente l’igiene personale e la pulizia della casa o delle pentole che usano per cucinare. La speranza è che possano continuare a farlo anche in futuro. Ma siamo convinti che se riescono a coltivare quel poco che serve per preparare una bouillie arricchita si faranno passi avanti notevoli nella prevenzione della malnutrizione che oggi è ancora molto seria».

Per aiutare in questo processo sono state organizzate diverse sessioni di formazione nella sede della Fondazione Betlemme a Mouda, dove è stato realizzato anche un orto dimostrativo. Dopodiché le 15 persone formate in campo agricolo e le 15 animatrici in campo alimentare hanno portato avanti, a loro volta, un’opera di sensibilizzazione nei loro villaggi.

«Dopo la formazione – dice una donna coinvolta nel progetto – abbiamo imparato come affrontare il problema della malnutrizione dei nostri figli anche a casa, senza doverli portare nelle strutture sanitarie che spesso sono difficilmente raggiungibili. Inoltre, diverse famiglie hanno realizzato dei bagni, cosa che prima non facevano, e curano di più l’igiene. Nella pratica, si sono rese conto che tutto questo aiuta davvero». Intanto, gruppi di uomini e donne hanno creato dei comitati di gestione dell’acqua che dovranno occuparsi anche del corretto funzionamento dei pozzi e della loro manutenzione.

«Si tratta di un progetto-pilota che per noi di Fondazione Pime di Milano è molto importante per capire anche come rendere più incisivo il nostro intervento in contesti così difficili e vulnerabili come quello dell’Estremo Nord del Camerun», commenta Francesca Bertinotti, responsabile progetti internazionali, che è stata sul posto lo scorso novembre per una valutazione finale del progetto. «Siamo molto soddisfatti del coinvolgimento e della partecipazione della gente dei villaggi. Questo ci incoraggia non solo rispetto all’impatto presente e futuro delle nostre iniziative, ma anche per la possibilità di essere più efficaci in termini di prevenzione e riduzione dei casi di malnutrizione infantile».

«Quello che avete fatto è davvero importante – insiste l’anziano signore dalla pelle increspata -. E la gente è molto contenta. Ci organizzeremo perché tutto questo possa continuare. È il nostro desiderio, con l’aiuto di Dio».

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