Il vescovo Giuliano Frigeni, da vent’anni alla guida della diocesi in Amazzonia: «È il tempo dei frutti. E di valorizzare le risorse che qui ci sono. Perché quanto seminato possa crescere anche altrove»
L’ospedale si chiama “Padre Ferruccio Colombo”, l’azienda sanitaria “Fratel Francesco Galliani”, il centro per le malattie tropicali “Padre Vittorio Giuriu”, la scuola tecnica “Padre Francesco Luppino”, quella per i sordomuti “Padre Paolo Manna”. Per non parlare delle strade. Basta fare un giro per la città per capire che ogni angolo di Parintins parla del Pime. La seconda città dello Stato dell’Amazonas sorge a 450 chilometri a est di Manaus; ma le unità di misura che contano sono quelle del grande fiume. Come le 20 ore di navigazione sul barco, il traghetto su cui si sposta la gente comune, ciascuno con la propria amaca da stendere per riposare almeno un po’ durante il lungo viaggio.
Erano appena due o tremila gli abitanti di questo porto sul Rio delle Amazzoni, quando i primi missionari dell’Istituto arrivarono qui nel 1955. Ponendo le basi per quella che è oggi la diocesi di Parintins, la Chiesa che si addentra tra i mille rivoli del fiume per condividere la vita delle sue comunità. È la storia di una vera e propria epopea missionaria quella della presenza del Pime in questo angolo dell’Amazzonia. Dove si arrivava a dare la vita per la missione non per una morte violenta, ma per gli stenti di una vita poverissima trascorsa facendo avanti e indietro sul fiume in un ambiente fisicamente difficile, come capitò nel 1961 a soli 37 anni a padre Giorgio Frezzini. Ed è stata soprattutto l’avventura di un gruppo di missionari vulcanici che hanno accompagnato la crescita di una città che oggi conta 70 mila abitanti ed è il punto di riferimento per le comunità di ribeirinhos che vivono sul fiume.
«Qui ho visto davvero come evangelizzazione e promozione umana siano due dimensioni tra loro inseparabili», racconta il vescovo di Parintins, monsignor Giuliano Frigeni, missionario del Pime come tutti i suoi predecessori. Radici bergamasche, settantaduenne, padre Giuliano ha festeggiato proprio quest’anno i vent’anni di episcopato in questa comunità. Nell’Amazzonia brasiliana, però, vive ormai da quaranta; da quando la sua prima missione, insieme a padre Massimo Cenci, era stata la parrocchia di Nossa Senhora de Nazaré, con 30 comunità lungo le due strade, all’estrema periferia di Manaus, là dove il governo brasiliano aveva appena aperto le due direttrici che si addentrano nella foresta in direzione nord. Seguivano le comunità insediatesi là, in situazioni umanamente difficilissime. Poi nel 1999 arrivò la nomina a vescovo di Parintins, chiamato a raccogliere l’eredità di monsignor Gino Malvestio, trevigiano, morto a soli 59 anni dopo averne trascorsi appena tre alla guida di questa diocesi.
Ha una parola e una battuta per tutti a Parintins padre Giuliano. Sale sulla barca come tutti gli altri con al collo la sua croce semplice, fatta con una corda intrecciata, come usano gli indios. «Me l’ha donata sul Rio Negro un amico prete salesiano che oggi non c’è più», ricorda. Gli chiedi di questi vent’anni alla guida di una diocesi in cui 200 mila persone vivono su un territorio grande come un quarto dell’Italia e lui risponde: «Ho solo proseguito l’opera su un solco tracciato sapientemente da dom Arcangelo e da tanti grandi missionari passati da qui».
Il riferimento è a padre Arcangelo Cerqua, campano di Giugliano, tra i primi missionari del Pime ad arrivare in Brasile nel 1948; fu con lui che Giovanni XXIII decise di creare l’embrione di una diocesi qui, nominandolo vescovo. «Un napoletano geniale – racconta monsignor Frigeni -. Aveva con sé un gruppo di missionari al cento per cento dedicati a questa realtà. Parintins è cresciuta con la loro enorme creatività, ma lui ha sempre accompagnato l’evangelizzazione soprattutto con le scuole: annuncio del Vangelo e promozione umana, valorizzando i laici appartenenti alla congregazione mariana e altri movimenti ricchi di spiritualità, creando varie comunità rurali nella foresta, le famose agroville».
A Parintins del vescovo Cerqua resta soprattutto la cattedrale di Nostra Signora del Carmine, la chiesa più grande del Nord del Brasile. Quando nel 1960 fu posta la prima pietra erano in tanti a chiedersi: perché una cattedrale così grande? «Io ero in seminario – racconta padre Giuliano – e ci dicevano: “C’è un pazzo laggiù in Amazzonia che sta costruendo un monumento nel deserto…”. Invece, considerando la Parintins di oggi, era lui che aveva visto più avanti di tutti. E non solo sulle dimensioni della chiesa. Per fare la cattedrale servivano 70 mila mattoni e lui faceva partire la fabbrica per realizzarli. Per il giornale ha messo su la tipografia…». E poi le comunità agricole per cui tanto si spese anche padre Augusto Gianola: sul fiume si costruiva una cappella e poi da quel centro si divideva a spicchi il terreno tra le famiglie, in una specie di cooperativa. Altri missionari visitavano le comunità dei caboclos sul fiume, altri ancora i villaggi degli indios. E poi Radio Alvorada, la radio diocesana nata 50 anni fa per raggiungere i villaggi più lontani e che da qualche anno ormai è diventata anche la televisione locale.
Persino il festival del Boi Bumba, la kermesse folkloristica che si tiene in giugno nel grande Bumbodromo e oggi richiama a Parintins visitatori da tutto il Brasile, è cresciuto all’ombra del Pime. «Stanno là cinque ore per seguire lo spettacolo – si infervora Frigeni -. In città tutto ruota intorno a questa disfida fatta di tamburi, costumi, danze tra le due fazioni del Garantido e del Caprichoso. Perché è così importante? Perché dentro c’è la vita di ciascuno e io credo anche un desiderio di salvezza. Quando nella foresta o sul fiume passi le tue giornate vivendo la dimensione del silenzio e della solitudine, la domenica al contrario diventa la festa senza fine…». Le sfide restano comunque grandi a Parintins. Per esempio l’emergenza educativa tra i ragazzi che non è affatto diversa qui rispetto a Manaus. Basta attraversare il quartiere di Itaúna – case di fortuna tirate su in fretta, attorno a un paio di strade sterrate -: accanto alla chiesa c’è il Centro Nostra Signora delle Grazie con le attività per i ragazzi e gli adolescenti a rischio in realtà povere dove la colla da sniffare o la prostituzione sono spettri drammaticamente concreti. La stessa sfida della Casa di accoglienza Santa Rita, fondata più di vent’anni fa da padre Benito Di Pietro, sulle arti figurative, la musica, lo sport per strappare i più giovani dalla strada.
In questo contesto non facile Parintins oggi può contare però su una ricchezza non scontata in Amazzonia: un clero locale che sta crescendo. «Il primo sacerdote diocesano l’ho ordinato nel 2000, oggi sono una quindicina – spiega Frigeni -. E con pazienza siamo riusciti a far partire il diaconato permanente per uomini sposati». Esempi di una Chiesa realmente dal volto amazzonico, come auspica Papa Francesco, e protagonisti che oggi gradualmente stanno prendendo il posto dei missionari del Pime nella guida delle comunità. Un messaggio anche questo per il Sinodo a cui monsignor Frigeni si prepara a partecipare in ottobre a Roma. «È la prima volta che si prova a guardare all’Amazzonia non solo per dire: poverini, mandiamogli un po’ di soldi – commenta -. No, la logica che il Papa ha voluto è partire dalle risorse umane che ci sono, valorizzare davvero quelle, con nuovi cammini e anche il coraggio di osare nella difesa dell’ambiente con un’ecologia integrale come risposta a progetti criminali che parlano di sviluppo ma in realtà cercano solo proventi miliardari distruggendo l’ecosistema». In quest’ottica il vescovo di Parintins invita a leggere anche le discussioni su possibili nuove forme di ministero ordinato per la Chiesa dell’Amazzonia, proprio per le distanze e la difficoltà a raggiungere tutti. «Penso a gente che sia cristiana nella vita, nella famiglia, nel lavoro – spiega -. Ho in mente per esempio i genitori di un prete che ho ordinato l’anno scorso: quando vado ad amministrare le cresime nella zona dove vivono loro è uno spettacolo vedere come preparano le persone adulte e i giovani. A gente così, con una famiglia sulle spalle, non puoi dire: vai a studiare alcuni anni in seminario e poi ti ordino prete. Non faranno i parroci, ma perché non pensare a un ministero speciale, originale ed eccezionale, che garantisca l’eucaristia a questa gente?».
E il Pime? Con pochi missionari rimasti in diocesi che cosa può ancora dare a Parintins? «Ci sentiamo un po’ come i nonni che aiutano i nipoti diventati grandi – risponde monsignor Frigeni -. Presto arriverà anche per me il momento di passare il testimone e penso sia maturo il tempo per un vescovo brasiliano. “È bene che io diminuisca e che Lui cresca”, diceva Giovanni il Battista riferendosi a Gesù. Penso che qui oggi questo discorso valga per il Pime. Dobbiamo fare la fatica di spogliarci di tutto e ritirarci con la gioia nel cuore. Non è una fuga; con timore e tremore crediamo nei preti che sono cresciuti con noi e ci hanno seguito nella stessa missione». Con la consapevolezza, però, che la storia continua. E un sogno: «Mi piacerebbe che Parintins diventasse una diocesi tutta missionaria – conclude il vescovo -, che non si dimentica del resto dell’Amazzonia. E quanto abbiamo seminato qui possa crescere anche altrove, oltre i confini del Brasile».