Dal Camerun alla Guinea-Bissau fino al Brasile, le storie dei missionari laici dell’Associazione Laici Pime (Alp) e dei progetti che portano avanti per bambini e giovani, persone con disabilità e vittime di dipendenze
Cosa significa essere missionari? Oggi vogliamo chiederlo a quelle persone e famiglie che decidono di lasciare per un periodo la loro vita in Italia per offrire un servizio nelle comunità del Pime nel mondo. I volontari dell’Alp (Associazione Laici Pime) donano il proprio tempo, le proprie competenze e il proprio cuore al servizio della missione. Seguiteci allora in questo viaggio attraverso i continenti per scoprire l’opera di alcuni di loro e i tanti progetti che stanno realizzando.
Partiamo dal Camerun per incontrare Gigi Santambrogio, a Maroua da ormai tre anni. Il progetto che gestisce – K734 – prevede il sostegno delle attività quotidiane del Centro Shalom, una struttura diurna per bambini e giovani con disabilità mentale. «L’intervento è nato con il titolo “Assistenza sanitaria alle persone con disabilità”. Presto, però, ci siamo resi conto che l’espressione “Promozione delle persone con disabilità” risponde meglio al senso di quello che si cerca di realizzare», spiega Gigi. «Siamo nella città di Maroua, capoluogo della provincia dell’Estremo Nord del Paese. Il principio cardine del progetto è quello di migliorare la qualità di vita di bambini e adulti con disabilità sia fisiche sia mentali, interagendo con le loro famiglie per renderle protagoniste nel percorso di riabilitazione e inserimento nella società: nel quartiere o nel villaggio. L’attenzione e la cura nel coinvolgere la famiglia sono essenziali, perché essa rappresenta sia un punto di forza sia a volte l’anello debole nella storia e nella vita delle persone con disabilità».
Rimaniamo sempre in Camerun e ci spostiamo ora a Mouda, dove dal 1997 opera il Centro Betlemme, che propone servizi e attività volti non solo a contrastare le discriminazioni, l’esclusione sociale e l’indifferenza verso giovani e adulti indigenti e con disabilità, ma anche ad accogliere ed educare bambini orfani o abbandonati. Qui da tre anni risiede Silvia Derna, volontaria Alp che ha deciso di intraprendere questo cammino, insieme ai missionari del Pime in loco e allo staff locale. «I beneficiari del progetto K846 di cui sono responsabile – spiega – sono circa 60 bambini della scuola materna e circa 100 alunni della scuola primaria del Centro. L’obiettivo è garantire continuità e sostegno alle attività educative dei due istituti: la scuola elementare inclusiva per allievi con deficit uditivo e normo udenti e la materna per piccoli orfani o che provengono da famiglie in condizioni di fragilità. Un’altra importante attività di progetto è legata alla sensibilizzazione delle famiglie a richiedere il certificato di nascita per i propri figli».
Al Centro Betlemme di Mouda incontriamo anche Francesca Bellotta, che qui gestisce un altro importante intervento, il progetto K814: «Ci rivolgiamo principalmente ai bambini e ragazzi con disabilità ospitati presso il Centro di riabilitazione specializzato della Fondazione Betlemme», racconta Francesca. «L’obiettivo della Fondazione è la promozione umana, con un’attenzione particolare alle persone indigenti e con disabilità e ai bambini orfani o abbandonati».
Rimaniamo in Africa, ma ci spostiamo un po’ più a ovest, in Guinea-Bissau. Qui, a Catió, troviamo Chiara e Filippo Gatti che da quasi due anni, attraverso il progetto K796, puntano a sostenere l’istruzione dei bambini, spesso di bassa qualità e non adeguata a un futuro inserimento nella società e nel mondo del lavoro. «Aiutiamo padre Naresh Gosala a coordinare cinque scuole di autogestione, ovvero che, per funzionare, necessitano della collaborazione di Stato, villaggio e missione», spiegano i giovani coniugi. «Queste scuole, localizzate nei dintorni di Catió, permettono a circa 2.000 bambini di accedere a un’istruzione primaria adeguata e di qualità – in strutture sicure e accoglienti -, che ci auguriamo consentirà a tutti gli studenti di iscriversi al liceo e terminarlo con successo. Il nostro compito è in primo luogo aiutarle e supportare i ragazzi nelle attività quotidiane, cercando di rendere il loro lavoro il più efficace possibile e proponendo formazioni e corsi di aggiornamento».
Attraversiamo ora l’Oceano Atlantico per atterrare in Brasile e raccontarvi il progetto K851. Lo facciamo attraverso le parole di un’altra coppia di volontari: «Siamo Micol Riva e Giovanni Nassi, di professione insegnanti, e da Besana in Brianza con i nostri due figli, Elia di tre anni e Adele di uno e mezzo, a marzo siamo partiti alla volta di Ibiporã, una cittadina del Paraná, nel Sud del Paese, per un’esperienza missionaria triennale», raccontano. «Il nostro progetto prevede diverse attività, dall’impegno presso il Centro di animazione missionaria del Pime fino alla partecipazione alla vita parrocchiale attraverso iniziative educative rivolte ai giovani, passando per la collaborazione con la Fazenda da esperança; in questa struttura orientata al recupero di tossicodipendenti, che a Ibiporã accoglie una quindicina di donne, lavoriamo per favorire il percorso di riabilitazione delle ospiti promuovendo attività formative e di raccolta fondi. Ciò che prevale in noi in questi primi mesi di missione è un profondo sentimento di gratitudine per le persone che stiamo avendo la grazia di incontrare».