Si chiama l’Albero della Macedonia ed è una piccola comunità composta da due famiglie, una italiana e cattolica, l’altra marocchina e musulmana. Che oltre ai loro sei figli naturali hanno preso in affido altri cinque bambini
L ’ultima arrivata ha solo sei anni, caschetto nero, occhi scintillanti e un sorriso che chiede attenzione. «Perché non mi hanno portata subito nella famiglia numero quattro?», si chiede con la disarmante innocenza di chi, pur così piccola, ha già vissuto l’esperienza di più affidi. La famiglia numero quattro è quella dell’Albero della Macedonia di Zinasco (Pavia), che, in realtà, è una famiglia di famiglie, in cui si intrecciano le storie di Margherita e Beppe Casolo e di Fatima e Mustapha Hanich, dei loro sei figli naturali, dei cinque in affido, dei tre nipoti e delle tante persone che vi gravitano attorno. Vite che si mescolano e che affrontano ogni giorno la bellezza, ma anche le fatiche, del vivere insieme, declinando in una dimensione concreta, quotidiana e, appunto, familiare, le sfide del dialogo interculturale e interreligioso.
Beppe e Margherita, infatti, sono italiani e cristiani, milanesi trasferiti in campagna; Mustapha e Fatima sono marocchini e musulmani, arrivati rispettivamente nel 1988 e nel 1996 nel nostro Paese dove sono nati i loro figli. E le distinzioni potrebbero continuare a lungo: usi, costumi, tradizioni, cibo, stili di vita e di educazione… Poi però ci sono le cose che accomunano e che sono, forse, più profonde e importanti: il senso della famiglia e dell’accoglienza, la capacità di mettersi in discussione e di mettersi in gioco, una profonda amicizia. E la voglia, anche, di fare festa. Le occasioni, peraltro, non mancano, non solo, ad esempio, per i numerosissimi compleanni, ma anche per le tante ricorrenze religiose dell’una e dell’altra famiglia, che vengono condivise nel rispetto di tutti.
Tutto è iniziato circa quindici anni fa. «L’iniziativa – racconta Margherita – è nata da un progetto della Cooperativa Comin, che si occupa di accoglienza e affidi. Quando nel 2008 è stata rilanciata, ci siamo ritrovati io e Beppe con Fatima e Mustapha. Ci eravamo conosciuti poco prima…». «Al consolato marocchino – interviene Fatima – ho visto un volantino che parlava della Casa di Amina. Io ero lì per registrare mia figlia che avevo chiamato proprio con quel nome. Non ho resistito: ho contattato la Cooperativa Comin che cercava delle famiglie disponibili ad avviare un percorso di accoglienza di bambini e ragazzi e mi sono presentata a una riunione. Eravamo una cinquantina di persone. Mia figlia è andata spontaneamente in braccio a Margherita e da lì è partito tutto».
Anche se non tutto è stato facile e non lo è neppure oggi. «All’origine – spiega Margherita – c’era il grande desiderio di intraprendere un’esperienza nuova e pionieristica che rispondeva molto ai principi e ai dettami delle nostre fedi. La convivenza è stata sempre molto normale, nel rispetto delle differenze religiose e delle modalità di ciascuno di agire e di muoversi. L’essenziale è esserne consapevoli, conoscerle. Non sono mai state dei veri ostacoli. E poi ci sono molta condivisione e confronto, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti educativi che affrontiamo anche con un’équipe di educatori e psicologi».
Nel giugno 2010, sono arrivati anche quattro fratellini in affido, di età compresa tra i 6 e i 9 anni, ufficialmente due a carico di una famiglia, due dell’altra, ma con percorsi condivisi che continuano ancora oggi visto che, nonostante siano ormai grandi e alcuni maggiorenni, sono ancora tutti lì, nella grande cascina di Zinasco, dove si sono trasferiti nel 2016, dopo che è stata costituita l’associazione L’Albero della Macedonia. Qui ci sono spazi privati per ciascuna famiglia e spazi comuni, che si animano della presenza vociante di tanti ragazzi e ragazze.
«La nostra è un’esperienza comunitaria – tiene a sottolineare Beppe -. Le due famiglie vivono sostanzialmente insieme, condividendo un progetto educativo che riguarda sia i figli naturali che quelli in affido. Ci organizziamo sulla base delle esigenze di tutti e ci supportiamo reciprocamente, mettendo insieme le nostre ricchezze e le nostre differenze, per porle a servizio di un progetto, che ha necessariamente anche un risvolto interculturale e interreligioso».
Vivere tutto tutti è in qualche modo lo stile di questa comunità, dove anche l’appartenenza religiosa non ha mai rappresentato un ostacolo, anche perché è stata garantita a tutti – figli compresi – una grande libertà.
«Valorizziamo moltissimo il confronto – dice Margherita -, anche perché siamo consapevoli che le nostre due famiglie hanno fatto una scelta molto impegnativa, ma si sono sempre mostrate disponibili a confrontarsi su qualsiasi tipo di problema così come su tutti gli aspetti positivi. E poi, quando abbiamo avuto delle difficoltà, ci siamo fatti aiutare. Abbiamo avuto la forza e il coraggio di chiedere aiuto. Il confronto con altri e lo sguardo esterno hanno portato qualcosa di nuovo e interessante alla nostra esperienza, ci hanno dato la possibilità di raccontarci e di essere apprezzati, ma anche di ricevere critiche costruttive. Tutto questo ci ha aiutato anche a trovare nuovi stimoli ed energie».
«Come in tutte le famiglie – interviene Mustapha – ci sono gioie e dolori. C’è tanta fatica ma anche tanta soddisfazione. Certamente dobbiamo affrontare un grande impegno, ma è anche bello vedere i nostri ragazzi che crescono e diventano progressivamente autonomi, cercando ciascuno di intraprendere la propria strada».
L’esperienza dell’Albero della Macedonia ha arricchito anche il percorso di riflessione e dialogo tra fedi promosso dal Forum delle Religioni di Milano. Forum che, ogni anno dal 2001 (con l’eccezione del periodo del Covid-19), realizza quella che viene chiamata la “Tenda del Silenzio”, uno spazio allestito alle Colonne di San Lorenzo, dove per due giorni chiunque può fermarsi a dare testimonianza della propria volontà di pace. Un silenzio che ciascuno può vivere come meglio crede, linguaggio universale o spazio comune, che può diventare anche luogo di incontro, ascolto e confronto.
Anche le due famiglie dell’Albero della Macedonia hanno partecipato più volte a questa iniziativa facendola vibrare, in realtà, delle molte voci dei tanti bambini e ragazzi, figli naturali e in affido – e, adesso, anche dei nipotini – che rendono particolarmente vivaci le giornate di questa grande famiglia. Non solo, però. Con la loro esperienza testimoniano che – contrariamente a quanto sostengono molti – è possibile vivere insieme nonostante le differenze.
Le potenzialità di questa comunità e il messaggio positivo che ne emerge erano stati ben intuiti già dall’allora vescovo di Pavia, Giovanni Giudici, che aveva benedetto la comunità nel 2010: l’Albero della Macedonia – aveva detto – è «un’esperienza preziosa per un futuro positivo da indicare a questa nostra società che vive l’avvicinamento delle culture e delle religioni differenti con una certa fatica. Esempi come questi, così impegnativi e generosi, sono un incoraggiamento forte a proseguire in tale opera di avvicinamento». Un esempio di grande attualità ancora oggi.