Dal Bangladesh alla periferia di Pioltello, suor Parboti vive la sua missione nell’hinterland milanese, dove sono presenti 70 nazionalità e diverse religioni
Quando le Missionarie dell’Immacolata sono arrivate nel quartiere Satellite di Pioltello nel 2018 si sono trovate di fronte a un mondo: persone di una settantina di nazionalità diverse ammassate in palazzine parecchio degradate, che oggi sono finalmente in via di ristrutturazione. Anche le religiose – un’italiana, un’indiana e una bangladese – si sono inserite come presenza internazionale in questa “periferia” dell’hinterland milanese, andando ad abitare in un appartamento come molti altri. Suor Parboti, in particolare, originaria del Bangladesh, è lì sin dall’inizio di questo progetto pionieristico e autenticamente missionario. Con lei oggi ci sono suor Rosella (nella foto a destra) che, dopo aver dato vita a questa esperienza, vi è tornata nel dicembre del 2022, e suor Padma, che viene dall’India. Attualmente è presente anche una novizia, Maggie, originaria della Papua Nuova Guinea, che resterà temporaneamente.
Mentre suor Rosella si affaccenda in casa, suor Parboti racconta delle persone che abitano nel quartiere, una realtà multietnica fatta principalmente di algerini, tunisini, marocchini, egiziani, bangladesi, pachistani, indiani… «Anche se non parlano la stessa lingua, riescono a comprendersi – spiega la religiosa -. Molti vengono da noi anche solo per scambiare qualche parola. Ascoltarli è già importante, ma aiutarli a integrarsi è uno dei nostri obiettivi».
È proprio questo infatti lo scopo della loro missione: testimoniare il Vangelo nelle periferie, stando vicine ai migranti. «Questo vale sia per i cristiani che per i non cristiani. Ci sentiamo chiamate a dare la nostra testimonianza a tutti».
Del resto, lei stessa è abituata al dialogo, venendo da un Paese come il Bangladesh a maggioranza musulmana, dove i cristiani sono una piccolissima minoranza «Sono nata nella diocesi di Rajshahi e mi sono avvicinata alla fede fin da bambina, anche se nella mia parrocchia era raro vedere preti e suore: i sacerdoti venivano saltuariamente per celebrare l’Eucarestia. La mia famiglia è cristiana e ho sempre ricevuto l’insegnamento del catechismo in casa, dove eravamo fedeli nella preghiera e nella lettura della Parola», spiega.
Suor Parboti è sempre stata molto colpita, in particolare, dalla testimonianza delle religiose incontrate nella sua infanzia: «Da bambina giocavo a travestirmi da suora, mettendo un pezzo di stoffa in testa!». Poi il suo sogno ha preso una forma sempre più concreta: da adolescente seguiva le suore che visitavano i villaggi vicini: «Insegnavamo la preghiera ai bambini, cosa che mi è sempre piaciuto fare», spiega la religiosa, che ha chiesto di entrare nelle Missionarie dell’Immacolata subito dopo la maturità.
«Il mio parroco mi ha mostrato una lista di congregazioni, con i loro rispettivi carismi. Da subito mi ha colpito quello delle Missionarie dell’Immacolata, che ha come obiettivo l’annuncio del Vangelo». Sembrava fare proprio al caso suo. La famiglia, però, inizialmente ha cercato di farle cambiare idea. «Mi dicevano: “Cosa mangerai quando sarai all’estero?”», ricorda con un sorriso. In effetti, il cibo bangladese le è un po’ mancato, ma solo all’inizio. «Non ho mai avuto alcun dubbio, almeno finché non è morta mia madre». In quel periodo, non era certa di voler lasciare la famiglia, ma alla fine è stato suo padre a convincerla a seguire la sua strada.
Così nel 2013 è arrivata in Italia e ha trascorso alcuni anni nel convento di Monza. «Era molto diverso dal Bangladesh, dove stavo sempre in mezzo alle persone, insegnavo religione nelle scuole e incontravo spesso i giovani – racconta -. A Monza, mi sentivo un po’ sola. Ma poi è arrivato il Satellite». Vedendo il quartiere per la prima volta, nel 2018, è stato per lei come tornare a Dhaka. «Non è stato semplice ambientarmi in una comunità così piccola, chiusa in un appartamento. E poi non è stato facile neppure inserirsi in questo contesto. Ci sono voluti almeno due anni per sentire di farne davvero parte – spiega -. Per me è stato comunque un cambiamento importante, che mi ha donato la gioia di conoscere le persone che vivono qui». Con il passare del tempo è stata la gente stessa del Satellite ad avvicinarsi a loro. Infatti, «se qualcuno oggi passa di qui e chiede dove abitano le suore, quasi tutti sanno indicare il nostro appartamento!».
Attualmente, la comunità offre un aiuto importante alla scuola di italiano per donne straniere, alla Caritas cittadina, dove si occupano della distribuzione di cibo, e al centro d’ascolto. Le suore svolgono anche attività con i ragazzi della pastorale giovanile e fanno parte del consiglio pastorale e della diaconia. Durante la pandemia, hanno dato un grande supporto alle persone del loro quartiere. Tante famiglie avevano paura a uscire di casa e anche solo scambiare qualche parola al telefono con le missionarie è stato significativo per loro. «È emerso un clima di grande solidarietà: spesso erano anche gli altri inquilini a chiederci se avessimo bisogno di qualcosa – ricorda suor Parboti -. Non importano le differenze religiose: nel quartiere ci sono indù e buddhisti, ortodossi e fedeli della Chiesa evangelica, musulmani e cattolici. In qualche modo, si è tutti vicini e il dialogo tra di noi non manca mai».1