Un’etica per gli algoritmi

Un’etica per gli algoritmi

L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha promosso con alcuni colossi dell’hi-tech e con la Fao la “Rome Call for Ai Ethics”. Una carta di autoregolamentazione per un uso dell’intelligenza artificiale a servizio dell’uomo

Un dispositivo che decida automaticamente e in maniera immediata se concedere o no a un richiedente asilo lo status di rifugiato. La vita di una persona affidata a un calcolo matematico. «Non è una prospettiva lontana, ma un utilizzo oggi tecnicamente possibile dell’intelligenza artificiale. Ma è un orizzonte inaccettabile, che ci pone con urgenza la domanda: come salvare l’umano in questi processi?».
Riflette ad alta voce l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. E lo fa su un tema che negli ultimi anni ha visto questo organismo vaticano lavorare fianco a fianco con i giganti dell’hi-tech sulle sfide poste dalle nuove frontiere della tecnologia. Un dialogo che si è concretizzato in un documento – la “Rome Call for AI Ethics” – che è oggi il punto di riferimento per l’algoretica, cioè la definizione degli argini da porre perché questi strumenti matematici non vadano a schiacciare la dignità della persona, ma si pongano al servizio del bene comune e l’uguaglianza tra i popoli.
«Nel 2019 il presidente di Microsoft, Brad Smith, mi chiese un incontro in Vaticano – racconta monsignor Paglia -. Avevamo appena dedicato l’assemblea della nostra Accademia alle implicazioni etiche dello sviluppo della robotica. Mi disse: “Nel nostro centro in California siamo 50 mila ingegneri; per stare sul mercato ogni settimana creiamo qualcosa di nuovo sull’intelligenza artificiale. Abbiamo enormi potenzialità per creare cose buone, ma possiamo realizzarne anche di terribili, straripare nel disumano”. Erano le settimane delle manifestazioni a Hong Kong: mi citò l’esempio di quanto con il riconoscimento facciale il governo cinese avrebbe fatto per stroncare le proteste, perché oggi chi ha in mano i dati ha il potere. Mi disse: “La Chiesa ha valori alti e stabili, ci aiuti mettendoci in guardia dagli errori”».
Che cosa è successo dopo?
«C’era chi ci diceva: è venuto in Vaticano solo per ottenere un bollino. Noi, invece, abbiamo raccolto l’invito, iniziando a discutere con i loro tecnici, a cui se ne sono aggiunti altri di aziende ugualmente interessate. Abbiamo capito che non era solo una riflessione sull’utilizzo di questi strumenti; qui la dimensione etica entra in gioco già prima, nel momento in cui si realizza l’algoritmo, quando si scelgono quali variabili contano. E abbiamo voluto coinvolgere anche la Fao, per ricordare le potenzialità dell’intelligenza artificiale e la necessità di utilizzarla per il bene di tutti. Così nel febbraio 2020 si è arrivati alla “Rome Call for AI Ethics”, un documento che non è del Vaticano, ma un codice di autoregolamentazione per enti e aziende. Chi lo firma si impegna a rispettare una serie di principi».
Quali?
«Ne abbiamo indicati sei: trasparenza (i sistemi di intelligenza artificiale devo1no essere sempre comprensibili), inclusione (devono tenere in considerazione le esigenze di tutti gli esseri umani e non solo di alcuni gruppi o nazioni), responsabilità, imparzialità (non creare o agire sulla base di pregiudizi, ma salvaguardando l’equità e la dignità umana), affidabilità, rispetto della sicurezza e della privacy degli utenti».
Ma basta un codice di autoregolamentazione?
«No. Più lavoriamo su questo tema e più ci accorgiamo della necessità di un’autorità terza che si ponga come garanzia. Con la guerra in Ucraina il tema sta diventando dirompente: gli eserciti di robot oggi non ci sono solo perché costano troppo… Ecco perché servono accordi politici tra i governi che mettano al bando alcuni utilizzi. Intanto, però, noi cerchiamo di far crescere una coscienza ampia su questo tema. Ad esempio, la nostra Carta è stata firmata da 25 università che formano tecnici per lo sviluppo di questi sistemi. Non siamo ingenui, non ci proponiamo di bloccare questa frontiera. Ma serve una creatività che rimetta al centro l’uomo».
Per arrivare dove?
«Non c’è solo il lato negativo. Vogliamo che una macchina minacci la nostra dignità di persone libere e consapevoli? Vogliamo essere profilati senza accorgercene o che un algoritmo prenda decisioni basate sull’etnia, sul genere, sull’età? Ovviamente no. Ma possiamo optare per un’intelligenza artificiale che sia utile nel governare la complessità e la gestione delle risorse; che sia uno strumento per la medicina e nello svolgimento di lavori pesanti o pericolosi per l’essere umano. Stiamo cercando di riunire le voci disposte ad abbracciare la propria parte di responsabilità».
Nel gennaio scorso in Vaticano la “Rome Call for AI Ethics” è stata firmata anche da una grande istituzione musulmana come l’Abu Dhabi Forum for Peace e dal Rabbinato di Israele.
«Ci è sembrato importante far sì che le religioni abramitiche si assumessero insieme la responsabilità di offrire ai propri fedeli i contenuti di questa Carta perché l’orizzonte etico, pedagogico e giuridico che presenta sia condiviso il più largamente possibile».
Ci saranno ulteriori momenti con altre religioni?
«Stiamo programmando per il 2024 – probabilmente proprio il 6 agosto a Hiroshima, la città giapponese colpita dalla bomba atomica nel 1945 – la firma con tutte le altre grandi religioni mondiali. Alla simbolicità del luogo vogliamo associare l’importanza di far comprendere a tutto il mondo religioso l’urgenza dell’adozione di criteri adeguati, perché l’intelligenza artificiale sia davvero al servizio dell’umanità».