In occasione dei 150 anni di fondazione, un percorso in immagini per raccontare la storia e i grandi temi che hanno plasmato l’anima della più antica rivista missionaria italiana
Centocinquant’anni in centocinquanta immagini. È in sintesi il senso della mostra che racconta il secolo e mezzo di vita di Mondo e Missione. Una carrellata di tante immagini corredate di testi esplicativi per attraversare non tanto da un punto di vista cronologico, ma dei grandi temi, la storia e le storie che hanno trovato spazio sulla rivista.
Lo spirito è un po’ quello delle origini. Forse un po’ meno ambizioso. Perché il primo direttore di quelle che nell’aprile 1872 uscivano come Le Missioni Cattoliche – e nel 1969 sarebbero diventate Mondo e Missione – aveva grandi progetti e ampie visioni. Scriveva così padre Giacomo Scurati nel suo “Programma”: «Noi vogliamo dare al testo del Bullettino un commentario pittoresco ed istruttivo che gli accresca valore. Non pubblicheremo pertanto che incisioni autentiche e carte rigorosamente esatte, le une e le altre il più spesso inedite».
Incisioni, cartine, ma anche tante fotografie antiche e recenti e, soprattutto, moltissime copertine documentano l’evoluzione di quella che è ritenuta la più antica rivista missionaria italiana, uscita con continuità sin dalla sua fondazione. Una rivista che è cambiata e si è rinnovata nel tempo e che non smette di farlo ancora oggi – anche attraverso nuovi strumenti: il sito, i social, le mostre, gli eventi culturali… – per continuare ad aprire finestre sul mondo e lasciar entrare le storie degli altri nelle nostre vite.
Questa mostra, dunque, ripercorre i 150 anni della rivista con un duplice sguardo. Uno rivolto al passato per non dimenticare la storia su cui si fonda, che è anche la storia del Pime, ma non solo: di tutto il mondo missionario e della Chiesa universale, e anche di tante regioni e popoli della Terra che hanno trovato spazio nelle sue pagine già in tempi in cui viaggi e corrispondenze erano assai più difficili. E uno sguardo rivolto al futuro per continuare a interrogarci sul senso dell’informazione da e sul mondo. E soprattutto sull’importanza della testimonianza. Che continua a fare la differenza.
Perché è stato questo, sin dall’inizio, il punto di forza della rivista: il valore testimoniale delle sue pubblicazioni, che originariamente erano innanzitutto le lettere e le corrispondenze dei missionari che raccontavano da luoghi remoti e in mezzo a popoli sconosciuti le situazioni più diverse, spesso tragiche e altre curiose, talvolta eroiche e altre di vita comune. «Il bene che questo periodico può fare anche tra noi – scriveva il suo primo direttore, padre Giacomo Scurati – ci ha fatto concepire il disegno di offrirlo ai nostri connazionali, lettura istruttiva, piacevole, nutrimento del cuore e della fede, sprone ad opere generose». A quel tempo, si trattava sostanzialmente della traduzione di Les Missions Catholiques di Lione, nate quattro anni prima su iniziativa di Pauline Jaricot, che viene beatificata il 22 maggio 2022. Da subito però vennero aggiunti «notizie e studi di missionari della nostra penisola, a qualsiasi Istituto appartengano», nella consapevolezza – già allora! – della «presente rapidità di comunicazione» e del «vivo bisogno di leggere». E, come si diceva, un apparato iconografico di tutto rilievo.
La gran parte delle xilografie, infatti, furono realizzate da Francesco Canedi, celebre incisore attivo a Milano, a Roma, poi in Francia dove morì nel 1910. Realizzate sulla base di foto o disegni dei missionari di fine Ottocento, rappresentano i luoghi più disparati della Terra, dall’Africa equatoriale all’Australia, dall’Indostan alla Nuova Zelanda, dal Caucaso al Giappone. Ci sono la Costa degli Schiavi accompagnata dalla descrizione di un padre delle Missioni africane di Lione e l’aurora boreale in Alaska. Ma ci sono soprattutto moltissimi ritratti realizzati con straordinaria maestria, che raccontano usi e costumi di popoli sconosciuti.
Sin dal primo numero, inoltre, Le Missioni Cattoliche hanno pubblicato alcune cartine accurate e inedite, come quelle di padre Simone Volonteri, che guidava il primo gruppo di quattro missionari giunti nella Cina continentale nel 1870 e che fu un importante cartografo. Si deve a lui, ad esempio, una delle mappe utilizzate per delimitare i Nuovi Territori di Hong Kong.
Rilevanti furono anche alcuni dei primi direttori, personalità che lasciarono un segno nel mondo missionario italiano. Tra questi il beato Paolo Manna (1872-1952), “anima di fuoco”, come lo definì il suo confratello e successore padre Giovanni Battista Tragella, titolare della prima cattedra di missiologia in Italia, a cui si deve la trasformazione di quello che fino ad allora era stato il Bollettino settimanale dell’Opera della Propagazione della fede di Lione, in Rivista quindicinale illustrata dell’Istituto delle Missioni Estere.
Nel cuore del XX secolo, chi lasciò un’impronta indelebile fu padre Piero Gheddo (1929-2017), che la guidò per 35 anni e le cambiò il nome in Mondo e Missione nel 1969. Viaggiatore e scrittore infaticabile, ha fatto del reportage una delle caratteristiche peculiari della rivista che permangono ancora oggi. La mostra si sofferma in particolare sul “Caso Vietnam” a cui Gheddo dedicò letteralmente migliaia di pagine (e quattro libri) per oltre un decennio.
La «rivista missionaria per eccellenza», la definiva Tragella. E non per vanagloria. E neppure perché vi scrivevano i missionari, ma soprattutto per il fatto che è stata a lungo l’unico periodico a pubblicare anche approfonditi studi missiologici e teologici, sulle Chiese cristiane e sulle religioni non cristiane, con una prospettiva universale, attenta alla Chiesa in tutti i continenti. Un esempio? La “questione armena”: sin dal 1872 è presente sulle pagine della rivista che dedicò nel corso degli anni moltissima attenzione alle persecuzioni di cui gli armeni furono vittime sino al genocidio del 1915. Di qui il continuo interesse per l’ecumenismo, ma anche per il dialogo con le culture e le religioni, le nuove vie dell’evangelizzazione, i temi della giustizia, della pace, della solidarietà, dello sviluppo e così via… Tutti temi che compaiono anche nella mostra.
Raccontare le “imprese” dei missionari, del resto, è stato certamente – e soprattutto agli inizi – lo scopo principale della rivista, ma non l’unico. Nelle lettere e nelle testimonianze – e poi via via in articoli, studi, approfondimenti, servizi speciali, dossier e molto altro – è sempre stata grande l’attenzione per i popoli a cui i missionari erano stati inviati. E, in tempi più recenti, è stato evidente lo sforzo di raccontare genuinamente il mondo a partire dagli ultimi, dai “senza voce”, ma anche da chi spesso opera silenziosamente e infaticabilmente “dal basso”, per costruire percorsi di resistenza, solidarietà e pacificazione in contesti segnati da crisi o violenza. Voci di periferie, geografiche ed esistenziali, che sempre di più sono anche quelle di Chiese giovani e dinamiche, magari originariamente fondate dal Pime e che oggi esprimono nuove interessanti dinamiche. E così nella mostra – che è un po’ lo “specchio” della rivista – si trovano un’umanità grande al servizio del Vangelo e dell’altro e un anelito alla conoscenza e all’incontro che rappresentano ancora oggi una grande testimonianza. Di vita, oltre che di giornalismo.