È in uscita la nuova edizione di “Un inchino alla vita”, il libro che raccoglie le lettere dei missionari del Pime inviate dai quattro angoli del pianeta: un ricco spaccato di vita, annuncio e condivisione
C’è il giovane missionario da poco arrivato in missione che vive lo stupore dell’incontro e della novità. E c’è l’anziano che, dopo una vita in missione, è tornato in Italia, ma non si sente inutile. C’è il brasiliano che, transitato dall’Italia, ha iniziato una nuova esperienza in Guinea Bissau. E l’indiano che, dopo il Brasile, è ora in Italia. Ci sono i missionari laici che con il loro lavoro e la loro dedizione si ritrovano spesso a condividere la vita quotidiana degli ultimi.
C’è uno spaccato di missione vario, curioso, pieno di vissuti, di fatiche e più spesso di gioie, di annuncio e di condivisione, nelle lettere che i missionari del Pime scrivono ai loro cari, agli amici e ai benefattori: una ricchezza che la nostra editrice Pimedit ha voluto raccogliere nella nuova edizione del volume “Un inchino alla vita”. Dove ci sono la missione nelle sue molte forme, con il Vangelo al centro, ma anche la fantasia e la passione dei missionari, capaci di reinventarsi ogni giorno, accanto a chi ne ha più bisogno. E spesso a partire dal nulla: «Siamo una Chiesa scassata, limitata, mezza zoppa. Eh sì, è proprio così, ma è esattamente questo che rende bella l’avventura e la sfida di iniziare ad annunciare il nome di Gesù dove nessuno lo conosce ancora: si parte dagli ultimi tra gli ultimi. Perché funzioni così me lo sono chiesto tante volte, ma non c’è verso: il Vangelo comincia ad attecchire dentro le nostre povertà e miserie, quello è il terreno più fertile». Così si raccontava l’attuale direttore del Centro Pime di Milano, padre Mario Ghezzi, poco prima di lasciare la sua missione in Cambogia.è il giovane missionario da poco arrivato in missione che vive lo stupore dell’incontro e della novità. E c’è l’anziano che, dopo una vita in missione, è tornato in Italia, ma non si sente inutile. C’è il brasiliano che, transitato dall’Italia, ha iniziato una nuova esperienza in Guinea Bissau. E l’indiano che, dopo il Brasile, è ora in Italia. Ci sono i missionari laici che con il loro lavoro e la loro dedizione si ritrovano spesso a condividere la vita quotidiana degli ultimi.
In maniera non molto dissimile si racconta fratel Lucio Beninati, da Dacca, Bangladesh, dove si spende da molti anni per i bambini di strada: «Il filo conduttore che ha guidato questi miei 25 anni di vita missionaria è stato cercare continuamente la prossimità con la gente più semplice: scendere, immergermi, immischiarmi tra loro, nelle loro storie e pene… vivere gomito a gomito con loro, nella quotidianità. E lì, a “colpi d’azione”, cercare di essere segno della bontà e tenerezza di Dio per ciascuno».
Gli anniversari sono spesso occasione di riflessioni e bilanci. Come per padre Maurizio Bezzi, trent’anni di vita missionaria in Camerun, anche lui con i ragazzi di strada: «In questi anni ho visto e imparato molto stando con loro. Ho visto e sperimentato la forza dell’amicizia quando un ragazzo mi ha detto che aveva deciso di non rubare pensando all’amicizia tra di noi. Sono stato testimone del miracolo del perdono quando un giovane è venuto a portarci il machete che aveva acquistato per vendicarsi… “perché ho deciso di perdonare a chi mi ha fatto del male”. Ho imparato a guardare l’uomo a partire dal suo cuore che è assetato di amore, di bellezza, di verità… Pur dentro situazioni disumane viene a galla ciò che veramente è l’uomo, “creato a immagine e somiglianza di Dio”».
C’è molta sincerità in queste lettere, non c’è paura di mostrare anche i propri limiti e il senso di inadeguatezza. Come racconta padre Anaucélison Moreira – per tutti padre Celo – brasiliano trapiantato in Guinea Bissau: «Ricordo che quando sono arrivato in Guinea Bissau tutto era nuovo, tutto era un’avventura. Provavo sentimenti forti per ogni piccola cosa vista, e forte era la commozione per le tantissime situazioni di povertà, di esclusione e di stagnazione che permeano l’intero Paese. Dopo quasi tre anni, mi chiedo dove sono andate a finire tutte quelle emozioni. Qui difficoltà e ingiustizie sono innumerevoli; a volte mi sembra che tutto quello che faccio sia persino meno della famosa goccia nell’oceano. È il momento di affrontare la realtà così com’è, impegnandomi al massimo delle mie possibilità».
Fratel Martin J. Ooralikunnel la sua missione l’ha sempre vissuta accanto ai sofferenti, prima in Brasile e ora nella casa per i padri anziani del Pime a Lecco: «Nell’Amazzonia brasiliana ho lavorato, per quasi dieci anni, in una struttura sanitaria che accoglieva anche malati di Aids; il mio principale impegno è stato la vicinanza ai singoli pazienti, bisognosi di sostegno e incoraggiamento. È questo lo spirito evangelico con cui era nata questa piccola casa di accoglienza: con competenza professionale e molta umanità, intende essere un punto di luce capace di dare speranza a chi, sotto il peso di preconcetti che aggravano la malattia stessa, era condannato a morire isolato e nell’abbandono». Oggi fratel Martin continua a essere una luce per i suoi confratelli anziani e malati.
Padre Giiulio Mariani è uno di loro. Dopo una vita trascorsa nelle Filippine, deve fare i conti con l’età che avanza: «Personal-mente faccio del mio meglio per accettare i limiti della mia età (dopo tutto invecchiare non è una vergogna) e di salute, vivendo ogni giorno come dono con tutto l’entusiasmo possibile. Noi missionari siamo gente molto ordinaria che, dopo una vita intensa, magari anche avventurosa, spesa in missione per costruire il Regno, si ritrova con tutti gli acciacchi dell’età e le malattie che sopravvengono con il passare degli anni, magari anche legate al fatto di avere vissuto in posti difficili e molto poveri. Il fuoco che ci ha portato a partire per la missione è ancora dentro di noi e vorremmo in qualche modo continuare il nostro impegno per il Regno».
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