Parla padre Dino Dussin, che ha vissuto gli anni più tragici della guerra civile scoppiata nel 2002. E che ora teme un nuovo conflitto
La casa regionale del Pime di Bouaké, nel Centro-nord della Costa d’Avorio, è incredibilmente intatta. Ma tutt’intorno le altre dimore del quartiere portano ancora i segni evidenti della guerra che si è abbattuta su questa città più che su qualsiasi altra del Paese. Fori di proiettile, devastazioni, saccheggi… Alcune sono rimaste inabitate e giacciono in stato di abbandono, anche se oggi la città conosce una grande espansione. Ma con l’avvicinarsi delle elezioni di ottobre soffiano di nuovo venti di guerra.
«Una storia già vista e che non vorremmo più rivedere», commenta padre Dino Dussin, 63 anni di Mirano (Ve), in Costa d’Avorio dal 1981. Oggi è lui la memoria storica del Pime in questo Paese, ma anche di molti sconvolgimenti che hanno destabilizzato quella che un tempo veniva chiamata la “Svizzera dell’Africa”. Un Paese che oggi vive sull’orlo del baratro, appeso al filo di una politica divisa su basi etnico-religiose, ma soprattutto aggrappata a interessi e giochi di potere a cui nessuno vuole rinunciare. In campo, anche se su piani diversi, ci sono i tre “grandi vecchi”: Alassane Ouattara, 78 anni, l’attuale presidente che vorrebbe cambiare la Costituzione per potersi ricandidare; Henri Konan Bédié, 85 anni, ex capo di Stato deposto da un golpe nel 1999 e che oggi sogna una rivincita; e Laurent Gbagbo, 74 anni, pure lui ex presidente, assolto dalla Corte penale internazionale dall’accusa di crimini di guerra, ma che resta confinato all’Aia da dove scalpita. E, in più, Guillaume Soro, 48 anni, ex leader ribelle ed ex primo ministro – nonché candidato alle presidenziali – che è stato colpito lo scorso dicembre da un mandato d’arresto che lo ha bloccato fuori dal Paese. Soro era alla guida dei ribelli nordisti che hanno cercato di spodestare Gbagbo nel 2002, provocando un conflitto che ha visto prima Bouaké e poi Abidjan al centro degli scontri più feroci.
Padre Dussin ricorda come se fosse ieri di quando ha accolto centinaia di rifugiati nella missione di Prikro, dove è stato dal 1984 al 2005: «Le missioni cattoliche erano diventate punti di accoglienza per migliaia di sfollati. Per fortuna avevamo un po’ di riso e arachidi per dare qualcosa da mangiare a gente senza niente». Anche padre Gabriel Costa, 59 anni del Bangladesh, ha vissuto la stessa emergenza poco distante, nella missione di M’Bahiakro, dove la crisi si è prolungata per molto tempo.
Poi, come spesso succede in questi contesti, capitano anche piccoli miracoli. «Come quando don Flavio Zanetti, fidei donum di Gorizia, è riuscito a farci arrivare un camion di viveri da Yamoussoukro – ricorda padre Gabriel, che dopo sei anni di servizio nella Direzione generale si appresta a tornare in Costa d’Avorio in settembre. «O come quando padre Michielan ha comprato gasolio in nero per far fuggire gli sfollati di Bouaké», rievoca padre Dino. Ma l’episodio che ricorda più volentieri è quello riguardante un commerciante libanese musulmano di Abidjan. «Sapendo che eravamo in difficoltà – racconta – ha nascosto 3 milioni di franchi Cfa (più di 4.500 euro – ndr) sotto il sedile dell’auto di Valeria Carbone, volontaria dell’Associazione Laici Pime, senza dirle niente, altrimenti sarebbe stata in ansia dovendo attraversare diversi posti di blocco. Lo abbiamo scoperto solo quando è giunta a destinazione. Abbiamo ricevuto molti gesti di solidarietà trasversali che ci hanno permesso di andare avanti in tempi difficili e di aiutare moltissime persone».
Nel 2004, la situazione è precipitata di nuovo anche in seguito al bombardamento di un campo militare francese a Bouaké da parte di un aereo ivoriano pilotato da mercenari bielorussi. «Nelle nostre missioni arrivavano moltissimi sfollati dai villaggi – ricorda padre Dino -, ma anche gente del posto che cercava un luogo sicuro. Vicino a Bouaké sono state ritrovate fosse comuni con moltissime persone trucidate».
In quel periodo, padre Dussin comincia a interessarsi anche ai ragazzini arruolati a forza dai ribelli e costretti a combattere e alle ragazzine ridotte a schiave sessuali: «Con un sacerdote vincenziano francese e in collaborazione con le suore della Dottrina cristiana abbiamo cominciato a occuparci di questi ragazzi che ci raccontavano storie terrificanti. Anche a casa nostra ne abbiamo ospitati alcuni per circa un anno e mezzo. Le suore della Provvidenza di San Gaetano, invece, hanno iniziato ad accogliere le ragazze, molte delle quali erano costrette a prostituirsi. Ragazzi e ragazze vivevano in contesti di degrado e malvagità».
Suor Ema, delle suore della Provvidenza, ricorda con dolore quegli anni terribili. «Le mie consorelle andavano a cercare le ragazze per sottrarle ai miliziani, ma a volte i ribelli venivano a riprenderle. La maggior parte aveva tra i 13 e i 17 anni, ma alcune erano più giovani». Come quelle che ancora oggi frequentano il centro diurno della parrocchia di Nimbo, che è stata fondata dal Pime: «Hanno storie pesanti di violenze, alcool, droga e prostituzione – continua suor Ema -. Ne abbiamo due di 12 anni che sono state recluse in casa come serve, con pochissimo cibo e gravi abusi».
Oggi Bouaké sembra una città in grande fermento. «Attualmente – precisa padre Dino – si stima che la popolazione sia addirittura di 1,6 milioni, mentre al tempo della guerra si era ridotta a circa 250 mila abitanti. È come se la situazione fosse in qualche modo “sedata”, ma molti temono che il fuoco covi sotto la cenere».