Durante il viaggio del Papa, prevista una visita al grande Ayatollah al Sistani, leader sciita. «Evento storico» dice l’esperto padre Amir Jajé
L’incontro di Papa Francesco con il grande Ayatollah al Sistani, nella città santa sciita di Najaf, costituirà «un evento storico e un fatto importantissimo per sostenere chi crede alla possibilità di costruire un nuovo Iraq, all’insegna del pluralismo e della convivenza».
Il domenicano iracheno padre Amir Jajé parla con il tono di chi si sente coinvolto in prima persona: grande esperto di islam sciita, confessione a cui fa riferimento la maggior parte dei suoi connazionali musulmani, da anni è impegnato nel promuovere la reciproca conoscenza tra le differenti tradizioni religiose che da secoli convivono nel Paese ma spesso, purtroppo, all’insegna di incomprensioni e pregiudizi sfociati anche nella violenza.
Ecco perché padre Amir, cofondatore dell’Iraqi Council for Interreligious Dialogue, è molto contento di veder diventare realtà un incontro a lungo sognato e anche incoraggiato in qualità di membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso: quello di un Papa con la guida suprema degli sciiti iracheni, che rappresenta «un’autorità spirituale molto importante anche al di fuori dell’Iraq». Un evento che segnerebbe, come molti osservatori hanno sottolineato, l’apertura di un canale pubblico di dialogo con l’altra metà del mondo musulmano, dopo la tappa fondamentale, due anni fa ad Abu Dhabi, della firma del documento sulla Fratellanza umana insieme al grande imam di Al Azhar, riferimento dell’universo sunnita.
E se è vero che quella al novantenne al Sistani sarà una visita privata, né è confermato che il grande Ayatollah sottoscriverà a sua volta il documento di Abu Dhabi, resta dirompente il messaggio che potrebbe emergere da questo incontro previsto sabato 6 marzo, durante il quale, come ha dichiarato il patriarca caldeo di Baghdad, cardinale Louis Raphael Sako, i due leader avranno l’occasione di lanciare una condanna comune contro «tutti coloro che attaccano la vita». Padre Jajé ne è convinto: «Francesco e al Sistani hanno molti tratti simili, dalla profonda spiritualità alle prese di posizione in favore del pluralismo, del dialogo, del diritto di cittadinanza e contro l’intolleranza», afferma. Senza contare «l’autorevolezza a livello dell’opinione pubblica e anche della politica». Non si può dimenticare, in effetti, l’influenza del chierico di Najaf sulla piega presa dagli eventi iracheni in varie occasioni negli ultimi decenni, dal sostegno alle prime elezioni dopo la cacciata di Saddam Hussein, alla chiamata alla mobilitazione contro l’Isis nel 2017 fino al supporto alle proteste di piazza dell’ottobre 2019 che portarono alla caduta del governo.
«E proprio le rivendicazioni dei giovani per un Iraq finalmente libero dai settarismi e dall’influenza dell’islam politico sono a mio avviso tra le priorità che il Papa cercherà di mettere al centro della sua visita, per la quale molti miei amici musulmani, sciiti e sunniti, mi hanno espresso la loro gioia», racconta il domenicano originario di Qaraqosh.
Parlando di “islam politico”, padre Amir fa riferimento a «una delle grandi questioni che agitano il mondo sciita iracheno: oggi questa comunità, che costituisce circa il 60% dei musulmani del Paese, è infatti divisa al suo interno», spiega. «Assistiamo a un’ascesa dell’ala che fa riferimento al modello teocratico iraniano, a cui appartengono le milizie di Hashd al-Shaabi, le Unità di mobilitazione popolare, che dettano legge in varie zone dell’Iraq e sfidano il governo servendo gli interessi dell’Iran, mentre lo sciismo tradizionale iracheno è favorevole alla separazione tra Stato e religione e vuole sottrarsi all’influenza “khomeinista” di Teheran».
Alla luce di questo scontro per la supremazia nell’area tra la scuola teologica iraniana di Qom e quella appunto di Najaf, è evidente l’importanza della visita del Pontefice nella città santa, 160 chilometri a sud di Baghdad, che ospita la tomba dell’imam Ali, il cugino e genero del profeta Muhammad, la devozione verso il quale è all’origine della nascita della stessa corrente sciita.
Un mondo che, secondo padre Amir, i cristiani iracheni dovrebbero conoscere di più. «Per noi è in un certo senso più facile entrare in relazione con i fedeli sciiti rispetto ai sunniti, grazie ad alcune somiglianze che ci avvicinano, per esempio l’esistenza di una gerarchia religiosa – mentre per i sunniti l’autorità deriva direttamente dal Corano -, la possibilità per il clero di interpretare i Testi sacri, ma anche un’importante tradizione di pietà popolare». Ciò non vuol dire che non sussistano anche «importanti differenze. Ma queste non rappresentano un ostacolo al dialogo se lo si ricerca con sincerità, così come stiamo facendo da anni insieme a un gruppo di esponenti di diverse fedi, tra cui alcuni chierici sciiti. E il supporto del Papa a questi sforzi, anche attraverso l’incontro con al Sistani, ne rafforzerà l’impatto sulla società irachena».