Il Pime festeggia i cinquant’anni di presenza nel Paese asiatico, caratterizzati da un grande impegno nell’evangelizzazione, dal dialogo con il buddhismo e dalla testimonianza nelle periferie di Bangkok.
Da cinquant’anni sono presenti nelle pieghe più recondite di una metropoli immensa e tentacolare come Bangkok, ma soprattutto lungo i sentieri di montagna dove vivono le popolazioni tribali del Nord. Mezzo secolo di condivisione di vita con le genti della Thailandia, di annuncio del Vangelo e di dialogo con il buddhismo.
È un anniversario importante per i missionari del Pime, che oggi rileggono e rilanciano il loro impegno in questa nazione asiatica, bellissima e piena di contraddizioni: un paradiso per i turisti – almeno sino alla pandemia di Coronavirus – e un abisso di sofferenza per chi non ha mezzi e prospettive; un Paese in bilico tra tradizioni antichissime, come quella di una monarchia sempre più lontana dalla gente, e le sfide di una megalopoli ultramoderna come Bangkok; una terra segnata da forti tensioni politiche e sociali e da grandi disparità economiche; un grande animo buddhista, ma anche un mosaico di minoranze etniche, culturali e religiose.
I missionari del Pime in Thailandia si sono sempre collocati su molte di queste linee di frattura, ponendosi soprattutto al fianco dei popoli tribali del Nord, ma garantendo anche una presenza autenticamente missionaria nella capitale. Si sono adattati, nel corso dei decenni, alle molte e diverse situazioni che si sono venute a creare, ai tumultuosi cambiamenti che hanno interessato specialmente Bangkok, cresciuta a ritmi forsennati, ma anche all’apparente immobilità della vita tribale nelle regioni confinanti con Myanmar e Laos.
Alcune figure hanno contribuito a fare la storia di questa piccola Chiesa che in realtà ha un’origine antica, risalente al vicariato del Siam creato nel 1669. Lo stesso Papa Francesco ne ha celebrato sul posto i 350 anni nel 2019. Ma è solo negli ultimi decenni che si è costituita e sviluppata una Chiesa thailandese, a cui il Pime ha contribuito significativamente.
I pionieri sono stati i padri Gianni Zimbaldi (1929-2019), Angelo Campagnoli (1936-2012) e Silvano Magistrali (1940-2020), che sono arrivati in Thailandia nel 1972 e che hanno tracciato i tre “solchi” lungo i quali, ancora oggi, si inserisce l’impegno del Pime: quello della prima evangelizzazione fra i tribali, quello del dialogo con il buddhismo e quello pastorale e caritativo nella capitale.
Fu padre Zimbaldi ad avventurarsi per primo nelle montagnose terre di frontiera del Nord. Espulso nel 1966 dall’allora Birmania, dove si era dedicato all’evangelizzazione della tribù lahu, padre Gianni ritrova questo stesso popolo, di cui conosce perfettamente la lingua, al di qua del confine, insieme a un ventaglio di altre etnie: akha, karen, lisu, hmong, yao… Dal villaggio di Fang – dove visse sino alla morte sopraggiunta nel 2019 alla soglia dei novant’anni – sono nate tre missioni-parrocchie con un centinaio di villaggi attorno. Nel 2019, dopo 46 anni, il Pime ha “consegnato” Fang alla diocesi di Chiang Mai, che le ha affidate a sua volta ai Betharramiti. «Il nostro compito è finito – aveva detto per l’occasione padre Maurizio Arioldi, l’allora superiore regionale – noi continuiamo oltre, dove forse è più necessario. Nel desiderio di andare ancora più ad gentes».
Oggi quest’opera di evangelizzazione e di promozione umana – che è stata portata avanti negli anni da molti missionari – si concentra nella nuova diocesi di Chiang Rai (nata nel 2018 e con solo tre preti locali), dove lo scorso novembre è stata inaugurata anche la nuova casa di delegazione, in cui è presente padre Raffaele Pavesi. Lì accanto, un ostello per studenti universitari e l’alloggio della famiglia Zancanato (Alberto, Anna e il piccolo Biagio) dell’Associazione Laici Pime (Alp), arrivata nel settembre 2021.
A una cinquantina di chilometri di distanza verso Sud-Ovest, il lavoro fra i tribali continua con padre Marco Ribolini – che ci accompagna su queste pagine per tutto l’anno con la sua rubrica “Sale della terra” (cfr. p. 10). Padre Marco è parroco a Mae Suay, dove condivide l’impegno pastorale con il confratello indiano Raju Moganati. Il territorio è molto vasto e comprende una trentina di villaggi. in cui sono presenti le indispensabili figure dei catechisti e dei leader di comunità, che accompagnano anche i catecumeni nel cammino di formazione che può durare sino a tre anni. Allo stesso tempo, sta portando avanti un’importante e poderosa opera di traduzione dei testi sacri in lingua akha.
Nella missione ci sono anche tre ostelli con un’ottantina tra bambini e ragazzi, che frequentano le scuole locali. Altri ostelli sono presenti in tutte le missioni del Pime, da quella di Ban Thoet Thai con 24 villaggi attorno, seguiti dai padri Paolo Salamone e Valerio Sala, a quella di Ngao, con 14 villaggi, dove operano i padri Maurizio Arioldi e Joseph Briones, filippino. È un impegno molto grande e importante quello dell’accoglienza negli ostelli, che rappresentano per molti bambini e ragazzi provenienti da villaggi remoti l’unica possibilità di frequentare la scuola e di avere una formazione cristiana. Qui sono al riparo anche da tante derive che si sono “insinuate” persino nelle foreste del Nord con l’arrivo della corrente e soprattutto di Internet. «Lo spaccio e il consumo di droga, in particolare anfetamine, sono una vera emergenza sociale da queste parti – conferma padre Maurizio Arioldi, un “veterano” della missione in Thailandia dove è arrivato nel 1994 -. Come preti e catechisti insistiamo molto nel denunciare questa piaga. A volte il Vangelo dice cose che vanno contro la cultura o le abitudini locali: ma non si può essere seguaci di Gesù e seminare morte. Per i nostri catechisti non è facile assumere queste posizioni. A volte vengono derisi o addirittura minacciati. Ma il loro ruolo è importantissimo: io dico sempre che la loro è la presenza di Gesù nel villaggio. Proprio per questo è fondamentale la formazione che portiamo avanti in tutte le nostre missioni».
Un grande ostello e una grande scuola sono stati realizzati anche nella parrocchia di Phrae, frutto di un altro “solco”, quello tracciato da padre Angelo Campagnoli che in quella città ha dedicato la vita al dialogo con il buddhismo in un contesto quasi esclusivamente thai, anche se attorno ci sono diversi villaggi tribali, di cui tre cattolici. È stato lui a “insegnare” alcune frasi in thailandese a Papa Giovanni Paolo II alla vigilia della sua visita a Bangkok nel 1984. «Ho vissuto tra gente per cui il buddhismo è tutt’uno con cultura, tradizione, stile di vita – ricordava padre Campagnoli -. Eppure ci affidano i figli nelle nostre scuole dove la visione cristiana della vita e del valore dell’uomo è la base esplicita dell’educazione che impartiamo».
Oggi la scuola ha circa 800 alunni ed è gestita dalle suore di San Giuseppe dell’Apparizione, mentre la parrocchia è affidata, dal maggio 2017, a padre Ivo Cavagna, che si occupa anche dell’ostello con una quarantina di ragazzi e ragazze ed è responsabile del centro per disabili St. Joseph. Avviato nel 1995 e inaugurato nel 1998 su iniziativa di Claudio Vezzaro dell’Alp, è stato portato avanti dal 2001 al 2012 da fratel Marco Monti. «Il St. Joseph è un centro di eccellenza – spiega padre Ivo -: attualmente si occupa di una sessantina di bambini e ragazzi disabili, una ventina ospitati direttamente nel centro, una decina che vengono per la fisioterapia e una trentina seguiti a casa. Oltre a cure e trattamenti specifici, si offre anche la possibilità di frequentare la scuola e di apprendere un mestiere. Dopo le primarie, infatti, alcuni vengono mandati in un centro professionale, in modo che diventino il più possibile autonomi. Anche questa attenzione ai disabili, che vengono tradizionamente nascosti o marginalizzati, è un segno importante della presenza del Pime e della Chiesa in Thailandia».