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Maria Ressa: «mai più manipolati dagli algoritmi»

La giornalista filippina premio Nobel per la pace 2021 racconta la sua battaglia contro i signori della rete che utilizzano i nostri dati per interessi politici. E la risposta dal basso che sta costruendo a partire dal Sud del mondo

«Il mio governo mi ha bersagliato con una media di 90 messaggi di odio all’ora. L’hashtag #ArrestMariaRessa era una tendenza sui social media già due anni prima del mio arresto. Poi il giorno di San Valentino del 2019 mi hanno fermato. E ancora oggi – nonostante 8 delle 10 accuse penali avanzate nei miei confronti siano cadute nel nulla – devo chiedere un permesso alla Corte Suprema per uscire dal mio Paese».

Davanti ai giornalisti di tutto il mondo riuniti a Roma per il Giubileo della comunicazione, qualche settimana fa, l’ha raccontata così la sua storia Maria Ressa, la giornalista filippina insignita del premio Nobel per la pace 2021 insieme al collega russo Dmitrij Muratov per il loro impegno per la difesa della libertà di informazione. Sessantun anni, già reporter televisiva di inchiesta per la Cnn dal Sud-est asiatico, dal 2011 è l’anima di Rappler, un portale di informazione filippino che è diventato il simbolo di una stampa libera in un Paese dove le dinastie familiari e i loro interessi dominano da sempre la politica. E che – come Maria Ressa non smette di ricordare – negli ultimi anni è stato un caso di scuola sull’uso organizzato dei social network per diffondere notizie false e attaccare gli avversari. Trasformando la violenza dei social anche in violenza fisica.

«Era ancora il 2016 – ci racconta – quando su Rappler abbiamo pubblicato i risultati di un’inchiesta in cui mostravamo l’esistenza di 26 account Facebook falsi in grado di influenzare da soli 3 milioni di profili. Avevano iniziato ad attaccare giornalisti, attivisti, politici dell’opposizione. E attraverso il meccanismo dei social queste notizie false arrivavano ovunque. Due anni dopo anche il Mit di Boston lo ha certificato con un suo studio: le notizie false viaggiano in rete in maniera sei volte più veloce delle altre».

Di lì alla violenza il passo era breve: «I social non funzionano sulla razionalità ma sulle emozioni – continua -. Quando ho iniziato a lavorare come reporter televisiva, 39 anni fa, mi insegnavano che i primi 10 secondi del mio servizio sarebbero stati cruciali per catturare l’attenzione delle persone. Oggi ci sono studi che dicono che il pubblico a cui ci rivolgiamo ha una soglia di attenzione simile a quella di un pesce rosso: meno di 3 secondi». Ed è in questo contesto che avere a disposizione tutti i dati per raggiungerci può diventare un’arma spaventosa nelle mani dei potenti.

«Ogni volta che su Rappler pubblicavamo un’inchiesta la risposta era attaccami sul mio eczema, una mia debolezza fisica – racconta -. Hanno cominciato a far circolare meme in cui mi raffiguravano come Scroto Face. Un insulto sessista, per screditarmi e ancora di più per disumanizzarmi, la premessa che apre la strada a ogni violenza. Le inchieste giudiziarie e i mandati di arresto sono arrivati solo alla fine di questo percorso. E succede ancora più spesso se sei una donna o se appartieni a una minoranza: un’indagine dell’Unesco ha rilevato che il 73% delle giornaliste ha sperimentato forme di abuso on line».

Dopo il premio Nobel per la pace Maria Ressa ha pubblicato un bestseller internazionale, intitolato “Come resistere a un dittatore”, dove il riferimento è a Rodrigo Duterte, presidente a Manila dal 2016 al 2022, l’uomo degli squadroni della morte nella lotta alla droga. Ma la sua battaglia non è affatto solo per le Filippine. Fin dal discorso pronunciato a Oslo, alla cerimonia per la consegna dei Nobel, ha spiegato senza mezzi termini che il problema non sono i dittatori di turno, ma i signori degli algoritmi, le grandi società che avendo accesso a tutti i nostri dati mettono nelle loro mani armi potenti quanto l’atomica di Hiroshima. «Il libro è uscito nel novembre 2022, la stessa settimana in cui è stato lanciato ChatGpt – ricorda -. È stato tradotto in 25 lingue, ed è interessante vedere come cambia anche il suo titolo nelle diverse versioni. In giapponese, per esempio, l’hanno incentrato molto di più sul potere dei social media, che è il tema che ci riguarda tutti. Recentemente è uscito anche in Georgia e per me è stato toccante vedere la gente che lì protesta nelle piazze da settimane contro i brogli nelle elezioni portarlo con sé nelle manifestazioni».

«Quanto è capitato a noi sta accadendo ancora più rapidamente in altre parti del mondo – continua Maria Ressa -. L’anno scorso abbiamo avuto elezioni in 74 Paesi, ma che elezioni sono state? Il 2025 sarà l’anno in cui ne vedremo gli effetti. La guerra dell’informazione, i giochi di potere geopolitici, stanno sfruttando in maniera sempre più spudorata i meccanismi delle piattaforme. Il loro obiettivo non è farci credere in qualche cosa, ma farci dubitare di tutto. È il modo più efficace per paralizzare le persone e andare avanti perseguendo i propri interessi».

Se lo scenario oggi è questo, per Maria Ressa non è però vero che non si possa fare nulla per fermarlo. Incontrandola è proprio la determinazione ad andare avanti nella battaglia per la verità nell’informazione ciò che colpisce di più.

Rappler nelle Filippine oggi è un’impresa nella quale lavorano 120 persone. Ma pensa molto più in grande: «In 14 anni di menzogne e disinformazione contro di noi abbiamo capito che se li lasci fare distruggeranno la speranza – spiega la sua fondatrice -. Ma abbiamo capito anche che l’alternativa esiste: dobbiamo organizzarci, costruire piattaforme dove le persone reali possano tornare ad avere conversazioni reali tra loro, senza essere manipolate per il potere e il denaro. A Rappler abbiamo iniziato a farlo: l’anno scorso abbiamo lanciato un’app che ha al suo interno uno spazio per le conversazioni e i commenti in chat dove garantiamo che i propri dati non saranno manipolati dall’algoritmo e venduti. Quello che stiamo vedendo è che investire su uno strumento del genere migliora la comunicazione: sono rarissimi i casi di persone che abbiamo dovuto bloccare per commenti offensivi nei confronti degli altri. Vogliamo dare vita a una federazione di organizzazioni giornalistiche internazionali che collaborino in questo sforzo, partendo dal Sud globale. Stiamo già lavorando con dei partner in Indonesia, in Sudafrica e in Brasile; nei prossimi mesi dovrebbero iniziare a utilizzare anche loro la nostra app».

Collaborare. È la parola chiave che Maria Ressa ha ripetuto nelle giornate che ha trascorso a Roma invitata da Papa Francesco in occasione del Giubileo della comunicazione. Mettersi insieme tra giornalisti, per riaffermare il proprio ruolo nella società. Ma da solo questo impegno non basta. «Noi non abbiamo più il controllo sulla distribuzione come era all’epoca dei media tradizionali- osserva la premio Nobel -. Proprio per questo collaborare vuol dire anche ricreare reti nella società».

«Uno dei punti di forza di Rappler, ad esempio, è il fact-checking cioè la verifica delle notizie che vengono fatte circolare in rete. Abbiamo 16 persone che fanno questo. Ma sarebbe inutile se non ci fosse sopra di loro un altro livello, costituito da 116 tra associazioni, realtà della società civile, gruppi religiosi che i risultati di questo fact-checking li diffondono nelle proprie comunità, da persona a persona, dando vita a campagne di informazione. E poi 8 centri universitari che producono analisi sulle modalità attraverso cui si diffondono le menzogne. E anche 6 studi legali per difendersi dagli attacchi di chi non vuole tutto questo… ».

«Senza fatti, non si può avere la verità – ha detto Maria Ressa nel suo discorso al Giubileo dei giornalisti -. Senza verità, non si può avere fiducia. E senza queste tre cose, non abbiamo una realtà condivisa, né tanto meno possiamo risolvere i problemi che ci affliggono». Perché a questo, alla fine, servono l’informazione e la democrazia.

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