Suor Donatella Lessio, dell’Istituto delle Francescane Elisabettiane di Padova, dal 2004 lavora al Caritas Baby Hospital di Betlemme, un centro che presta cure anche ai bambini vittime degli orrori del conflitto che da sessant’anni insanguina questa parte di Medio Oriente. Dai suoi ricordi emergono spaccati di vita dolorosi purtroppo ordinari nella terra di Gesù
Non ha nome, soltanto il volto acerbo di chi ha sogni e gioca con la vita. Tre anni o poco più e lo spirito di emulazione verso ragazzini più grandi che scherzano e lanciano sassi sul muro di separazione. Troppo piccolo, troppo ingenuo per comprendere quell’inferno quotidiano, al quale il mondo sembra essersi rassegnato. Senza nome, senza identità, una visione dolorosa per chi impotente opera in quella zona, e lì vive, soffre, si dispera, urla e cerca di cambiare una striscia di mondo. Il piccolino senza nome, con le mani ‘in pasta’, sporche di terra e di gioco, viene avvolto dai gas lacrimogeni dei soldati, preso e portato via da chi combatte una guerra e forse ne ha dimenticato le motivazioni, troppo piccolo e troppo lento per unirsi alla fuga dei compagni di avventura.
Un altro fra tanti, invece, ha 17 anni ma d’improvviso è diventato come un bambino. Chiuso in se stesso, senza più scuola, incapace di riconoscere lo stimolo di urinare. È così da quando sette anni prima i soldati sono piombati in casa sua nella notte e hanno puntato il mitra in faccia a quello che era solo un bambino. È il suo papà a raccontarlo, tassista nell’inferno della ‘Terra Santa’, con le lacrime agli occhi e la voce che implora una preghiera.
«Sister» Donatella: dal Veneto alla Palestina
Dal cassetto dei ricordi e delle esperienze di Suor Donatella Lessio emergono storie e spaccati di vita dolorosi che arrivano dalla terra di Gesù. Sister, come viene chiamata qui affettuosamente dalla gente, è dal 2004 anima del Caritas Baby Hospital di Betlemme, dove si è occupata del Centro di Formazione continua dell’ospedale. Un ruolo finalizzato alla ricerca di canali nazionali ed internazionali per reclutare medici che vadano a Betlemme a tenere conferenze o che accolgano nei loro ospedali il personale del Caritas Baby Hospital per periodi di training. Una scelta di vita, quella della religiosa veneta, che la proietta nella cronaca e nell’attualità della Palestina.
«Qui è come ricevere continuamente un pugno nello stomaco, viene voglia di urlare con tutta la forza delle corde vocali e poi ti rendi conto che puoi soltanto pregare, supplicare il Padre di fermare queste atrocità. Come cresceranno giovani e bambini di questa Terra con le anime intrise dell’orrore della guerra e negli occhi scene che si ripetono all’infinito di violenza, morte e distruzione? Quale sarà il risultato del loro futuro? Ammesso che ne abbiamo uno», sono alcune delle riflessioni che suor Donatella Lessio affida a Mondo e Missione.
Dopo tanti anni vissuti come spettatrice del conflitto tra Palestina e Israele, suor Donatella non è stanca né rassegnata e continua a infondere speranza ad una umanità tanto ferita. «Penso e ripenso a quel piccolino che giocava a lanciare sassi. Gli adulti raccomandano sempre di non giocare in quel modo. Vero. Ma in fondo che male fa un sasso gettato contro un muro di cemento armato alto otto metri? I bambini, i ragazzi sono il futuro del paese ed è proprio lì che si vuole colpire, per spezzare quella possibilità di vita, di continuità. Se non c’è futuro crolla tutto, non soltanto la speranza ma anche la vita stessa, che sembra non avere più valore e da qui, si corre il rischio di arrivare ad una drammatica conclusione: se la vita non ha più valore allora tanto vale morire. Ecco cosa pensano molti giovani. Un circolo vizioso che sprofonda in un baratro senza ritorno. Guardo fuori e il sole illumina il deserto rivestito di verde per la pioggia abbondante di questi giorni. Un incanto che questa terra mi dona. Mi piacerebbe che la mia mente, il mio cuore e non solo i miei occhi, riposassero su questo panorama».
«Rimaniamo umani», suor Donatella cita le parole del cooperante Vittorio Arrigoni, barbaramente ucciso a Gaza, per parlare con noi di una umanità tradita e violentata, soprattutto quella che si appresta a germogliare. «Quando vedo o sento che qualcosa viene fatto a un piccolo o adolescente, o anche adulto, cerco nella mia mente un luogo dove trovare una risposta, una ragione che possa giustificare tanta violenza e disumanità ma non esiste questo luogo in nessuna mente umana, perché è impossibile giustificare certi comportamenti proprio nei luoghi in cui Dio ha scelto di farsi bambino. E, bambini che fanno esperienze del genere non si recuperano più, si toglie loro l’essenza propria della gioia, della spensieratezza, della vitalità. I loro occhi parlano di morte, la paura abita la loro mente e la rabbia cresce nel cuore».
Da Fellette, frazione di Romano d’Ezzelino, in provincia di Vicenza, Suor Donatella ci confida di aver scoperto a 17 anni la vocazione, che l’ha portata ad entrare nell’Istituto delle Francescane Elisabettiane di Padova, dopo aver visto il film di Zeffirelli ‘Fratello Sole e sorella Luna’. «Come Francesco anche io ho capito che sarei stata felice di mettermi a disposizione del Regno di Dio». Amata per amare, ricevere per donare. Come religiosa – infermiera, sister Donatella ha svolto il suo apostolato speciale in varie parti di Italia fino ad approdare nel 2004 in Palestina, al Caritas Baby Hospital di Betlemme. Fedele al motto «Non parlare di Dio a chi non te lo chiede, ma vivi in modo tale che gli venga in mente di chiedertelo», suor Donatella Lessio, come donna e come religiosa si è immersa in una realtà complicata, dove terra, principio e religione fanno esplodere una umanità sconfitta ogni giorno.
Il Caritas Baby Hospital
La struttura ospedaliera del Caritas è aperta a tutti, senza distinzione di credo religioso, etnia ed estrazione sociale. Porte aperte per bambini malati e per le loro madri dal 1952, da quando la notte di Natale di quell’anno il prete svizzero Ernst Schnydrig, mentre si recava alla messa, incontrò un uomo, proveniente da un campo profughi palestinese, intento a seppellire il proprio figlio, morto per mancanza di cure mediche di base. Da quell’incontro drammatico nacque il Caritas Baby Hospital. Inizialmente erano due semplici stanze che il prete svizzero aveva preso in affitto ; oggi il Caritas Baby Hospital è diventato un’oasi di tranquillità e di pace per i piccoli e per le loro famiglie che vivono tra Betlemme ed Hebron.
In quest’area abitano circa 300mila bambini, privi di una reale possibilità di assistenza sanitaria. Nella regione, l’ospedale rappresenta una struttura insostituibile, l’unico che coinvolge le madri nella cura dei figlioletti malati. Ogni anno passano dal poliambulatorio, appena restaurato, migliaia di bambini: nel 2014, sono stati visitati oltre 38mila piccoli. Negli 82 letti dei reparti vengono accolti più di 4mila degenti. Cuore pulsante della struttura è il poliambulatorio, con la sua offerta sanitaria generale e con quella specifica, diretta, ad esempio, ai pazienti che soffrono di malattie dell’apparato respiratorio, disturbi dello sviluppo e malattie del ricambio. L’ambulatorio è ben conosciuto anche oltre i confini di Betlemme per il suo eccellente servizio Ecografie e Cardioecografie. I reparti del Caritas Baby Hospital possono ospitare fino a 82 bambini in regime di degenza. Recentemente è stata creata l’Unità di Terapia Intensiva pediatrica e neonatale. L’ospedale è ben attrezzato anche per la gestione delle emergenze e il trattamento di piccoli pazienti in condizioni critiche.
Un’oasi di pace e serenità
Ma il Caritas Baby Hospital è molto di più di un ospedale pediatrico. In una terra sempre più spesso segnata da conflitti e tensioni, è luogo di cura e di tranquillità. Papa Benedetto XVI, quando lo visitò nella sua visita pastorale lo definì “Oasi di pace e di serenità”. Al Caritas lavorano oltre 200 persone, tra medici, infermieri e personale non sanitario. In maggioranza si tratta di palestinesi, sia cristiani che musulmani, che vivono e lavorano in armonia. Assieme a loro sono presenti in ospedale e coordinano le attività quattro Suore Elisabettine di Padova (3 italiane e 1 tedesca). Il Caritas non gode di alcun sostegno pubblico. L’ospedale realizza le proprie attività e i propri progetti esclusivamente grazie a donazioni di privati, parrocchie e associazioni. In Italia, si occupa di promuoverne le attività e la raccolta fondi l’associazione Aiuto Bambini Betlemme, con sede a Verona.
L’associazione partecipa, inoltre, alla realizzazione di progetti a favore dei bambini malati e socialmente svantaggiati, per le madri e le loro famiglie in Terra Santa. Il nostro impegno è quello di costruire ponti di solidarietà e di comprensione reciproca tra palestinesi ed ebrei. La onlus è stata fondata nel 2005 a Verona dall’allora vescovo della città padre Flavio Roberto Carraro, dalla Caritas diocesana veronese e da alcuni volontari che si occupavano già da anni di sostenere il Caritas. È la costola italiana dell’associazione internazionale Kinderhilfe Bethlehem che ha la sede centrale in Svizzera e ramificazioni in Germania, Austria, Italia e Inghilterra.