Tre mesi fa l’Isis ha cercato di ucciderlo a Qamishli in Siria. Domani il siro-ortodosso Efrem II sarà ad Assisi con papa Francesco per pregare per la pace insieme anche a tanti musulmani. Il tutto proprio mentre purtroppo finisce in frantumi la tenue speranza alimentata dal cessate il fuoco in Siria
Domani il Papa sarà ad Assisi per concludere l’incontro Uomini e religioni organizzato dalla comunità di Sant’Egidio a trent’anni dalla prima storica giornata delle religioni per la pace, voluta da Giovanni Paolo II nel 1986. Un gesto che di fronte ai conflitti terribili che insanguinano il mondo di oggi assume un significato ancora più drammatico. Proprio in queste ultime ore – ad esempio – dalla Siria è arrivata l’ufficializzazione della fine del cessate il fuoco che aveva alimentato qualche speranza rispetto a quel terribile conflitto che dura ormai da più di cinque anni. Ed è significativo che papa Francesco ieri all’Angelus abbia invitato tutti ad accompagnare questo momento: «Ognuno si prenda un tempo, quello che può, per pregare per la pace. Tutto il mondo unito», ha raccomandato.
Ma propria a testimoniare quanto Assisi non sia solo teoria, ma un bisogno primario per chi la guerra la vive sulla propria pelle, insieme al Papa domani nella città di san Francesco ci sarà anche un testimone del tutto particolare: il patriarca siro-ortodosso di Antiochia Efrem II. La sua presenza sarà certamente un segno della dimensione ecumenica dell’incontro, che vedrà la presenza anche del patriarca greco-ortodosso Bartolomeo, del primate anglicano Justin Welby e del segretario cenerale del Consiglio ecumenico delle Chiese Olav Tveit. Ma sarà anche la presenza di un uomo che appena tre mesi fa ha rischiato di morire perché finito nel mirino dell’Isis in Siria.
È successo a Qamishli – la città del nord della Siria – il 19 giugno scorso, il giorno in cui le Chiese d’Oriente festeggiavano la Pentecoste. Mentre preseideva la liturgia nella chiesa di San Gabriele nel quartiere di Al Wusta un attentatore suicida si è fatto esplodere, uccidendo quattro persone. Secondo quanto ricostruito da fonti locali a irritare in maniera particolare i fondamentalisti islamici sarebbe stato il fatto che in quella giornata il patriarca avrebbe benedetto un monumento commemorativo del genocidio di inzio Novecento, che oltre agli armeni colpì anche gli assiri. Quella che lo ha toccato così da vicino è però soltanto una delle innumerevoli sofferenze vissute in questi anni dalla Chiesa siro-ortodossa. Tanto per citare un altro esempio: Efraim II è patriarca di una Chiesa che da più di tre anni non ha notizie del suo vescovo di Aleppo, mar Youhanna Ibrahim, rapito il 22 aprile 2013 insieme al vescovo greco-ortodosso di Aleppo Boulos Yazigi, mentre si trovavano al confine con la Turchia, probabilmente nel tentativo di mediare la liberazione di alcune altre persone rapite.
Nel programma della giornata diffuso dalla comunità di Sant’Egidio non sono previste parole del patriarca Efrem II. Ma a dare voce alle sofferenze della Siria sarà Mikalli Tamar, una donna cristiana di Aleppo, che prima della guerra era un’insegnante. Una delle persone giunte in Italia nei mesi scorsi attraverso i Corridoi umanitari promossi dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche e alla Tavola Valdese per dare un’alternativa ai barconi a chi scappa dalla guerra.