Tra l’emergenza Coronavirus e l’ultima guerra del petrolio, il principe ereditario fa arrestare parenti e centinaia di funzionari. Obiettivo: pieni poteri entro il G20 di novembre a Riyadh
Mentre l’opinione pubblica globale è concentrata sull’emergenza Coronavirus, sempre più trasversale e allarmante, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ne approfitta per compiere l’ennesimo giro di vite con l’obiettivo di eliminare tutti i possibili concorrenti a una sua definitiva scalata al potere.
Nei giorni scorsi lo spregiudicato 33enne ha fatto arrestare vari principi e membri del clan degli al Saud, tra cui lo zio Ahmed bin Abdulaziz e il cugino Mohammed bin Nayef. Entrambi, accusati di progettare un colpo di Stato, costituivano una minaccia particolare per le mire di MbS: lo zio, amato fratello del re Salman e unico altro discendente diretto del fondatore del regno Abdulaziz al Saud, era notoriamente critico verso le politiche del rampante nipote, un mix di modernizzazione di facciata e pressante autoritarismo, mentre il cugino, già “zar” dell’antiterrorismo sponsorizzato dagli Usa, era a sua volta principe ereditario prima di essere esautorato con la forza nel 2017. Nello stesso anno, dozzine di altri membri della famiglia reale, ex esponenti dell’apparato statale e influenti businessmen erano stati arrestati (in un’inedita detenzione all’hotel Ritz-Carlton di Riyadh) in quella che era stata propagandata da MbS come una colossale campagna anti corruzione.
Evidentemente non era bastata a togliere di mezzo tutte le voci critiche e i concorrenti – sul fronte politico e in quello degli affari – del giovane principe, che qualche giorno fa ha bissato ordinando l’arresto di 298 funzionari governativi, tra cui militari e ufficiali della sicurezza, accusati di corruzione e abuso d’ufficio.
Appare abbastanza evidente che il principe ereditario, impantanato nel conflitto yemenita e protagonista in questi giorni di una “guerra petrolifera” contro la Russia, sta puntando a fare piazza pulita di qualunque ostacolo rimasto alla sua definitiva scalata al trono dell’85enne padre, malato di demenza senile. E a farla il più presto possibile. L’obiettivo è infatti avere pieni poteri prima del summit del G20 che si terrà a novembre a Riyadh.
L’Arabia Saudita ha assunto per quest’anno la presidenza del gruppo delle grandi potenze mondiali, che hanno rapidamente archiviato l’indignazione suscitata nell’ottobre del 2018 dall’assassinio nel consolato saudita a Istanbul del giornalista Jamal Khashoggi, intellettuale molto critico verso i vertici del suo Paese e verso l’intervento militare in Yemen. Il presidente statunitense Trump si è sempre opposto a possibili indagini da parte dell’Fbi o delle Nazioni Unite per accertare le responsabilità, in quel grave episodio, dello stesso Mohamed bin Salman.
E proprio questo “patto di ferro” con il presidente Usa rappresenta, secondo alcuni osservatori, l’altra ragione della fretta con cui il pragmatico principe ereditario vorrebbe ufficializzare la sua successione al padre. L’incertezza di un secondo mandato di Trump alla Casa Bianca, infatti, rende consigliabile approfittare dell’attuale compiacenza americana, considerato che tutti i candidati democratici in lizza per le presidenziali di novembre hanno espresso apertamente, al contrario, la loro opposizione ai metodi autoritari di MbS.
Senza contare il difficile scenario interno, con il fallimento delle misure economiche promosse dal giovane bin Salman, i dubbi sulla sua capacità di garantire la sicurezza (in particolare dopo il grave attacco alle infrastrutture petrolifere subito l’anno scorso) e l’incancrenirsi del conflitto yemenita, oltre alle attuali tensioni legate alle risorse energetiche, in particolare nei confronti della Russia, dopo la decisione saudita di incrementare la produzione di greggio e far crollare così i prezzi del petrolio.
Un quadro complicato ora dall’emergenza Coronavirus, che ha investito anche il regno degli al Saud. I santuari della Mecca e di Medina sono stati ufficialmente chiusi ai pellegrini, per cercare di contrastare il diffondersi della pandemia. Ma la sfida, impari, va ben oltre i confini della monarchia del Golfo. Perché proprio sulla gestione della più grave crisi sanitaria globale dell’ultimo secolo, a dover dire una parola decisiva al summit del G20 sarà Mohamed bis Salman, chiamato a coordinare le politiche delle grandi potenze mondiali. E, vista la sua scarsa propensione alla trasparenza ma anche la ridda di interessi (spesso illeciti) e lotte intestine alla corte degli al Saud, si tratta di una scommessa pericolosa per tutti.