Ci si indigna (in ritardo) sugli affari del pallone in un Paese che tratta i lavoratori da schiavi e calpesta i diritti. Perché allora stiamo zitti quando a Doha vendiamo un mare di armi? Un “campionato” in cui l’Italia c’è eccome: nel 2021 il Qatar è stato il maggiore importatore di sistemi di Difesa “made in Italy”. Un favore che ricambiamo mandando a Doha per vigilare sull’evento sportivo 560 militari con un ct d’eccezione
Siamo alla vigilia dell’inizio dei Mondiali di calcio in Qatar e finalmente le notizie sulle condizioni disumane di lavoro nei cantieri che hanno visto centinaia di migliaia di lavoratori impegnati nella costruzione degli stadi e di tutte le infrastrutture necessarie per portare il grande circo del pallone in mezzo al deserto, cominciano a bucare gli schermi anche nei nostri notiziari. Le 36 vittime sul lavoro dichiarate ufficialmente da Doha sono un dato che stride con troppe testimonianze che parlano di molti altri decessi camuffati sotto la definizione di morti naturali. Il quotidiano britannico Guardian – in una inchiesta approfondita – ne ha conteggiate ben 6500 dal 2010 (l’anno dell’assegnazione di questi contestati Mondiali) fino ad oggi. Per non parlare degli altri abusi sui lavoratori migranti, come quelli sulle donne, a cui è dedicata in maniera particolare la campagna portata avanti dalla religiosa filippina Mary John Mananzan che abbiamo raccontato qualche giorno fa su AsiaNews in questo articolo.
C’è, però, anche un altro aspetto di questo stravagante Mondiale di calcio fuori stagione che fatica invece ad emergere. Nonostante tutti i dibattiti di questi mesi sul commercio delle armi, dopo che la guerra in Ucraina ci ha messo davanti agli occhi il loro tragico utilizzo, non riusciamo ancora a fare due più due. Non vediamo, cioè, che proprio mentre in maniera discutibile migliaia di “nuovi schiavi” costruivano gli stadi, da Doha partivano un fiume di commesse verso i giganti dell’industria bellica. Perché accanto a quello del pallone in Qatar si sta giocando da tempo un Mondiale delle armi. E in questo campionato parallelo – a differenza di quello che sta per aprirsi sul rettangolo verde – l’Italia c’è eccome.
Va detto che sono partite giocate a luci ancora più spente del solito: Doha diffonde infatti dati col contagocce sull’ammontare delle sue spese per sistemi di difesa. Le cifre relative al 2021 parlano di 11,6 miliardi di dollari complessivi e a partire da questo numero il Sipri di Stoccolma – il più autorevole osservatorio indipendente in materia – ha collocato il Qatar al 22° posto nella classifica globale dei maggiori importatori di armi. Dato non da poco, se si considera che stiamo parlando di un Paese di appena 3 milioni di abitanti. Ma è una posizione che sale ulteriormente se si passa alla graduatoria che raffronta la spesa militare alla ricchezza prodotta nel Paese. Doha – infatti – destina agli armamenti il 4,8% del suo Prodotto interno lordo, collocandosi tra i dieci Paesi al mondo che destinano alle armi la quota più alta del proprio bilancio. Tanto per dare un termine di paragone: la media globale calcolata sui 40 Paesi che spendono di più in armamenti è il 2,2%. Cioè meno della metà.
Esattamente come al Mondiale di calcio sono tanti i Paesi che si contendono questo fiume di denaro investito nell’acquisto di armi. La parte del leone la fanno gli Stati Uniti, molto forti sono anche Francia, Germania e Gran Bretagna. E l’Italia? Resta saldamente nelle prime posizioni della classifica. Sempre secondo il Sipri nell’arco di tempo che va dal 2017 al 2021 siamo stati il terzo Paese esportatore di armi in Qatar. E dalla relazione che per legge il governo italiano ogni anno è tenuto a presentare al Parlamento sulle autorizzazioni alle esportazioni di armi da parte delle imprese italiane, sappiamo – per esempio – che nel 2021 il Qatar è stato il primo compratore di armi italiane con commesse per 958 milioni di euro. Questi stessi dati ufficiali attestano che negli ultimi 6 anni per ben tre volte il Qatar è stato il Paese che ha speso di più in sistemi di difesa italiani. Nel biennio 2017/2018 – in particolare – le autorizzazioni per esportazioni di materiale bellico a Doha hanno raggiunto addirittura il valore di 6,1 miliardi di euro.
Di che armi si tratta? Nel 2020 – ai tempi della liberazione di Silvia Romano, vicenda in cui il Qatar giocò un ruolo importante – lo ricostruì nel dettaglio il sito AfricaExpress, spiegando che la parte del leone l’ha fatta Leonardo (ex Finmeccanica), che è un’azienda che ha come azionista di peso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. “A Doha – scriveva AfricaExpress – Leonardo è di casa da decenni e i suoi manager hanno anche fatto da testa di ponte per la penetrazione nel mercato qatarino di altre importanti aziende produttrici di armi, nazionali e internazionali”. Quindi al Paese sul quale oggi – in occasione dei Mondiali di calcio – solleviamo più di un sopracciglio in tema di lavoro schiavo e rispetto dei diritti umani, in questi anni abbiamo dunque venduto corvette, caccia-bombardieri, elicotteri, sistemi missilistici, persino mini-sommergibili.
Allora va bene oggi indignarsi con un mondo del calcio senza scrupoli che – in nome degli sponsor e degli affari – è disposto a passare sopra a qualsiasi cosa. Magari ricordandosi che la questione riguarda il mondo dello sport nel suo insieme: perché a Doha, tanto per fare due esempi, si sono già svolti i Mondiali di atletica leggera nel 2019, e nel 2024 vi faranno tappa anche quelli di nuoto, per non parlare di Formula 1 e MotoGp. Forse, però, i Mondiali di calcio potrebbero diventare l’occasione per guardare dentro con più attenzione anche all’altro genere di affari, ancora meno limpidi. Perché se è discutibile che un Paese che non rispetta i diritti umani ospiti un grande evento sportivo, ancora di più dovrebbe esserlo vendergli sistemi sofisticati di armamenti.
Su questo però l’Italia – al di là delle diverse composizioni delle maggioranze politiche al governo – non pare affatto avere intenzione di fare dietrofront. Anzi, per cementare ulteriormente la cooperazione militare tra Roma e Doha proprio in queste settimane dei Mondiali di calcio ha inviato in missione in Qatar 560 soldati per l’operazione Orice, a cui è affidata la vigilanza anti-terrorismo in occasione del grande evento sportivo. Con tanto di coordinamento dell’operazione affidato al generale Francesco Paolo Figliuolo (sì, proprio quello della pandemia). E non è difficile immaginare che anche questa generosa collaborazione di oggi aprirà la strada domani a ulteriori nuovi investimenti qatarini nell’industria della difesa italiana.
“È il commercio delle armi ad alimentare le guerre”, continua a ripetere papa Francesco. Ma continuiamo a guardare solo ai posti dove si sta combattendo oggi. Invece sarebbe ora di fare i conti anche con la spregiudicatezza con cui, in nome delle opportunità per le nostre imprese, prepariamo i conflitti di domani. Quelli che poi sembrano scoppiare sempre all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno.
Intanto il mondo da domani a Doha torna a inseguire un pallone. Evitando di ricordare che gli ultimi Mondiali di calcio – quattro anni fa – furono disputati proprio nella Russia di Vladimir Putin. Strani scherzi della storia. O forse no.