Bombardare un funerale. L’abisso dello Yemen

Bombardare un funerale. L’abisso dello Yemen

Archiviare in fretta gli orrori è un ingrediente essenziale della globalizzazione dell’indifferenza. Quella che permette di lasciare uccidere migliaia di persone con armi made in Italy (e non solo)

 

La cosa peggiore nei conflitti è abituarsi agli orrori. Al punto da non accorgersi più che si sta superando un’ulteriore soglia nel percorso verso il baratro. È quanto viene alla mente pensando alla notizia giunta sabato dell’ultima strage avvenuta a Sanaa, nella guerra che da ormai un anno e mezzo insanguina lo Yemen e che ha già fatto registrare più di diecimila morti.

La coalizione a guida saudita che dal marzo 2015 combatte contro i ribelli houthi, sostenuti dall’Iran, sabato ha infatti ripetutamente bombardato una sala dove si stavano svolgendo le esequie del padre del ministro degli Interni del governo sostenuto dagli houthi. Sul numero dei morti circolano stime diverse, ma anche la più prudente parla di 140 vittime. In un contesto che lascia ben pochi dubbi sul fatto che si sia trattato di un attacco deliberato.

Siamo arrivati al punto che nelle guerre di oggi non c’è pietà nemmeno per chi piange i propri morti. Dopo scuole, ospedali, mercati, matrimoni, convogli di aiuti, oggi anche un funerale diventa un obiettivo. E basta che la guerra sia lontana e ce la caviamo con qualche parola di circostanza davanti a qualche (raro) servizio di un tg o un titolo di giornale. Già oggi del bombardamento su un funerale non parla più nessuno.

E invece dovremmo parlarne, non fosse altro che per un motivo: le armi che in questo inizio di millennio stanno smantellando pezzo per pezzo tutto il diritto internazionale umanitario partono anche da casa nostra. È di questi giorni la notizia dell’apertura di un’inchiesta da parte della procura di Brescia sui ripetuti carichi di bombe made in Italy partiti negli scorsi mesi dalla Sardegna per l’Arabia Saudita, in palese violazione della legge del 1990 secondo cui l’Italia vieta la vendità di materiale bellico ai Paesi in conflitto. Solo Avvenire domenica ha avuto il coraggio di dare il giusto rilievo a questa notizia aprendoci il giornale. Perché il resto dell’informazione di questo Paese tace?

Probabilmente per la logica stupida del «tanto non siamo i soli a farlo». Ed è vero: in questi anni tutti hanno continuato armi all’Arabia Saudita come se niente fosse. La Francia, La Gran Bretagna… gli Stati Uniti sono arrivati addirittura alla follia di aumentare le forniture a Riyad per cercare di frenare le reazioni politiche degli al Saud all’accordo sul nucleare iraniano. Ed è successo proprio tra il 2015 e il 2016, mentre la guerra nello Yemen c’era già e i bombardamenti mietevano migliaia di vittime. Lo stesso periodo in cui anche il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi è stato in visita in Arabia Saudita (e i nostri giornali allora si indignarono per i Rolex, ma tacevano sulla mancanza di trasparenza sulle forniture militari). E il ministro della Difesa Roberta Pinotti appena pochi giorni fa era a Riyad. Di che cosa ha parlato con i vertici dell’esercito saudita? E che cosa sta facendo l’Italia per evitare di rendere ancora più sanguinosa la guerra nello Yemen?

Sono le nostre armi a finire sganciate sui funerali. Ed è il nostro silenzio a rendere possibile che questa catena non si spezzi. Non è mai troppo tardi per accorgercene. E chiederne conto a chi ci governa.