Da dieci anni curo la mia Aleppo ferita

Da dieci anni curo la mia Aleppo ferita

Allo scoppio della guerra il medico cristiano Nabil Antaki decise di rimanere in Siria e guidare un gruppo di volontari in prima linea tra i più bisognosi. Oggi dice: «Togliete le sanzioni che ci affamano»

 

«Perché non lascio la Siria, anche se potrei? Perché quando i miei pazienti mi incontrano in ospedale o per le strade del mio quartiere ad Aleppo esclamano sollevati: “Ah, dottor Nabil! Non se ne è andato?”. Per loro il fatto stesso che io resti è motivo di speranza, e proprio questa è una parte di ciò che sento come la mia missione». È una missione difficile, quella di Nabil Antaki, medico gastroenterologo che dopo lo scoppio del conflitto siriano, dieci anni fa, decise che avrebbe fatto tutto il possibile per portare un conforto a quei civili che la guerra aveva improvvisamente trasformato in vittime: sfollati, feriti, traumatizzati, rimasti senza cibo né acqua. E si inventò i Maristi blu, un gruppo di volontari che, col tempo, avrebbe preso la forma di una vera e propria macchina della solidarietà, forte di 155 operativi e con all’attivo una quindicina di progetti, dalla prima assistenza alla formazione professionale, dal supporto scolastico alla riabilitazione psicologica.

In realtà già da molti anni il dottor Antaki, cristiano cattolico, a fianco della sua brillante carriera come specialista in malattie del fegato e dello stomaco presso l’ospedale St. Louis di Aleppo, coltivava l’impegno per i più bisognosi: nel 1986, insieme a sua moglie Leyla e a padre Georges Sabé dei Fratelli Maristi di Siria, aveva fondato la ong “L’orecchio di Dio” che si occupava di assistere le famiglie più povere della città.

«La nostra sede era nel quartiere di Jabal al Saida che, quando nel luglio del 2012 i ribelli occuparono Aleppo Est, si riempì di migliaia di persone fuggite da quella parte della città. Molte famiglie si rifugiarono in quattro scuole dell’area: non avevano cibo, elettricità, niente», racconta il medico 71enne che a gennaio, per il suo impegno, ha ricevuto il premio del Volontariato internazionale Focsiv. «Ci attivammo subito per portare i primi aiuti e, per farci riconoscere in mezzo alla folla, cominciammo a indossare tutti una maglietta celeste. Quando ci vedevano, i bambini gridavano: “Sono arrivati i blu!”, così decidemmo di cambiare il nostro nome in Maristi blu. Tutti noi infatti, anche i laici e i musulmani, ci riconosciamo nei valori della famiglia marista: la solidarietà con i più poveri e la promozione dell’umanità e della speranza».

Valori tenuti vivi ogni giorno, concretamente, nei periodi più bui della guerra: «Ogni mese, per sei anni, abbiamo distribuito pacchi di cibo a centinaia di famiglie e, fino a oggi, una bottiglia di latte a migliaia di bambini», racconta il dottor Antaki, che non ha mai smesso di esercitare la sua professione, seppure adattandosi all’emergenza: «In ospedale abbiamo creato un reparto speciale, sotto la mia direzione, nel quale abbiamo curato gratuitamente migliaia di civili rimasti feriti in seguito agli scontri». Un impegno ancora più difficile quando mancavano acqua corrente ed elettricità – «ci arrangiavamo con i pozzi e i generatori» – o quando la città veniva bloccata «e per settimane nessuna merce poteva entrare o uscire».

Oggi in Siria sono rimasti solo alcuni focolai di conflitto, come la provincia di Idlib e la regione nord-orientale, eppure «la pace è ancora lontana e, parados­salmente, la gente sta addirittura peggio di prima a causa di una crisi economica spaventosa», afferma il medico, che insieme a padre Sabé ha raccontato le sofferenze del suo popolo nel libro Lettere da Aleppo, uscito lo scorso novembre per l’Harmattan Italia. Un allarme confermato dai dati del Programma alimentare mondiale, secondo cui, mentre il Paese conta oltre 400 mila morti e 12 milioni di sfollati, quasi la metà all’estero, il 60% di chi è rimasto non è sicuro di riuscire a mangiare tutti i giorni: il doppio rispetto al 2018. Sono quasi un milione e mezzo i siriani che non potrebbero sopravvivere senza l’assistenza alimentare delle organizzazioni umanitarie.

«Un dramma causato dalla distruzione delle infrastrutture e delle fabbriche, ma anche dalla crisi finanziaria nel vicino Libano, per non parlare delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Europa allo scopo di indebolire il governo di Assad e che, impedendo le transazioni finanziarie e le importazioni, causano gravi sofferenze a tutta la popolazione», denuncia Antaki. La gente paga tra l’altro il collasso della moneta locale: «Se prima della guerra un euro valeva sessanta sterline siriane, oggi ne vale più di cinquemila. Un crollo che ha un impatto pesantissimo sull’accesso ai beni di base. E l’arrivo della pandemia di Covid-19, che ha paralizzato le attività, ha assestato l’ennesimo durissimo colpo alla popolazione».

In questo contesto, l’opera instancabile dei Maristi blu rappresenta una piccola luce nel buio quotidiano di tanti siriani. Come gli anziani, che negli ultimi mesi si sono ritrovati ancora più fragili: «Molti sono soli, perché non hanno famiglia o perché i figli sono scappati dalla guerra, e le loro condizioni sono davvero miserevoli. Per questo abbiamo allestito una cucina in cui alcune nostre volontarie preparano ogni giorno un pasto caldo per 190 anziani bisognosi». Poi sono i ragazzi dalla maglietta blu a distribuire il cibo nelle case, portando anche un sorriso, un po’ di calore umano e un supporto a 360°: «Andando a trovare queste persone, infatti, ci siamo accorti che molte hanno bisogno di qualcuno che si occupi della loro igiene personale, di pulire la casa, di comperare le medicine».

Ma la categoria che ha subito le conseguenze più gravi del conflitto è quella dei bambini, molti dei quali nella loro vita non hanno conosciuto altro che la guerra. Per loro alla povertà e alla carenza formativa – ancora oggi due milioni di piccoli sono tagliati fuori dalla scuola – si aggiunge il rischio di abusi, tra cui i matrimoni precoci, oltre a un trauma difficile da rimarginare. «A fianco dell’assistenza materiale, ci concentriamo sui progetti educativi per i bimbi in età prescolare i cui genitori non possono permettersi un asilo privato – racconta ancora il medico siriano – mentre un nostro team di psicologi e volontari opera con i bambini e gli adolescenti che vivono un disagio psicosociale».

Tra questi, se possibile ancora più vulnerabili sono i ragazzi cresciuti nei campi profughi. Quello di Al Shahba, a 40 km da Aleppo, ospita 125 famiglie curde – 750 persone – fuggite da Afrin dopo l’invasione turca del 2018. «I nostri volontari lo visitano due volte alla settimana, portando pacchi di cibo e prodotti sanitari e organizzando giochi e attività educative per i bambini, mentre sul fronte dell’assistenza medica mettiamo a disposizione un pediatra, una ginecologa e un farmacista».

Se da una parte il supporto materiale dei Maristi nei confronti degli abitanti di Aleppo non può cessare – contributi per pagare l’affitto a trecento famiglie, una somma mensile ad altre cinquecento grazie all’aiuto della Caritas polacca, cure mediche gratis per chi ne ha bisogno… – buona parte degli sforzi è orientata a rendere le persone il più possibile indipendenti dal sostegno umanitario, in primo luogo attraverso un lavoro.

«Già da alcuni anni abbiamo avviato un programma per insegnare ai giovani come creare un’impresa propria, finanziando poi i micro-progetti migliori», spiega Nabil Antaki, raccontando come, in questo modo, abbiano già preso vita 188 nuove attività. «Sosteniamo poi un modello di apprendistato che permette ad alcuni giovani di affiancare professionisti da cui imparare un mestiere: falegname o meccanico, elettricista, idraulico, parrucchiere. Alla fine, anche in questo caso sponsorizziamo l’apertura della piccola impresa. Ci sono poi i progetti Cut and Sew, per insegnare a cucire a mamme e ragazze, e Heartmade, una linea di abbigliamento creata riciclando vecchi abiti o scampoli di tessuto. L’obiettivo è sempre quello di consentire ai giovani siriani di vivere del proprio lavoro e di non scegliere l’emigrazione come unica via di salvezza, come hanno già fatto in troppi, soprattutto cristiani. Basti pensare che, se prima della guerra eravamo due milioni, oggi siamo forse 500 mila, e qui ad Aleppo solo 30 mila».

Eppure, per il dottor Antaki la guerra non è riuscita a distruggere un modello di convivenza interconfessionale che in Siria rappresentava la normalità: «I miei pazienti sono sempre stati in maggioranza musulmani, così come lo sono oggi al 70% i beneficiari dei nostri progetti. Qui non facciamo differenza, ci sentiamo tutti siriani e il resto viene in secondo piano. Tra i nostri volontari ci sono diversi musulmani: condividiamo gli stessi valori umani e non abbiamo alcuna difficoltà a lavorare insieme».

L’estremismo, quello che la Siria ha conosciuto in questi anni e che si è portato via anche il fratello maggiore del medico aleppino, ucciso nel 2013 da un gruppo fondamentalista, «è stato importato dall’estero, non fa parte della nostra tradizione. Al contrario, la gente normale ha avuto modo di conoscere e apprezzare l’opera di molte ong e realtà cristiane che durante il conflitto non hanno mai smesso di portare aiuto a tutti». Una testimonianza più che mai evidente nel caso del dottor Nabil, che, con la sua cittadinanza statunitense (grazie a due figli che vivono da tempo negli Usa), avrebbe potuto lasciare la Siria in qualunque momento e invece, nonostante le insistenze dei familiari, insieme alla moglie ha deciso di rimanere. «Dopo che è scoppiata la guerra tutti i siriani benestanti se ne sono andati, così come quasi tutti quelli più istruiti. Noi ci siamo detti: chi si occuperà di chi non può partire? Abbiamo scelto di testimoniare la speranza attraverso la nostra presenza».

Certo anche per i coniugi Antaki, entrambi reduci dal Covid-19, l’esasperazione a tratti prevale: «Dopo dieci anni siamo esausti. Purtroppo siamo nelle mani delle grandi potenze – Stati Uniti, Cina, Russia, e poi Turchia, Israele… – che si contendono le aree di influenza sulla nostra pelle. Chiedia­mo con forza alla comunità internazionale di ascoltare il grido dei siriani, dei bambini che non hanno avuto infanzia, dei giovani che non hanno più sogni. Ci uniamo all’appello delle tante realtà, tra cui le Chiese locali e la Caritas, che premono affinché siano tolte le sanzioni che strangolano il popolo. E poi imploriamo, finalmente, la pace».

 

Box: Da rivolta a guerra per procura 

2011 –  A marzo inizio delle proteste contro il presidente Bashar al-Assad, represse con la violenza. La crisi si trasforma in ribellione armata. I ribelli conquistano Homs.

2012 – A luglio i ribelli del Free Syrian Army lanciano la battaglia di Damasco, ma il regime resiste. I combattimenti si estendono ad Aleppo. Le milizie curde assumono il controllo di Afrin, Kobane e Amuda. Le divisioni interne ostacolano l’iniziativa diplomatica Onu.

2013 – Primi raid dell’esercito sui territori ribelli. Le milizie libanesi Hezbollah e l’Iran sostengono Assad. Centinaia di morti in un attacco chimico contro la Ghouta orientale: il regime nega ogni responsabilità. Accordo Usa-Russia per smantellare l’arsenale chimico di Damasco.

2014 – A giugno un gruppo fuoriuscito da al-Qaeda conquista Raqqa e poi ampie zone di Siria e Iraq, autoproclamandosi “Stato islamico”, Isis. Washington fonda una coalizione anti Isis con le Forze democratiche siriane guidate dalle milizie curde Ypg. Assedio Isis di Kobane, respinto a marzo 2015. Scontri nella Nato fra Turchia e Usa.  L’esercito siriano riprende il controllo di Homs.

2015 – Le milizie islamiche di Al Nusra conquistano Idlib. La Russia scende in campo al fianco di Assad.

2016 – La Turchia lancia un’operazione militare contro i curdi a fianco dei ribelli e conquista porzioni di territorio in Siria. Damasco e gli alleati sconfiggono i ribelli ad Aleppo.

2017 – Israele ammette il lancio di missili su obiettivi di Hezbollah in Siria. Washington attacca una base aerea siriana presso Homs in risposta al presunto uso di gas contro la cittadina ribelle di Khan Sheikhoun. Curdi e statunitensi sconfiggono l’Isis a Raqqa.

2018 – Dopo mesi di assedio, l’esercito sostenuto dai russi riconquista la Ghouta orientale. Attacchi militari di Usa, Gran Bretagna e Francia. Accordo fra Mosca e Ankara su Idlib: spartite le aree di influenza. Centinaia i civili morti. I turchi, con mercenari e movimenti estremisti, riprendono il controllo di Afrin dai curdi.

2019 – Gli Usa riconquistano l’ultima area nelle mani dell’Isis e iniziano il ritiro, pur restando nel Nord-Est ricco di petrolio. Ankara lancia l’operazione “Peace Spring” contro i curdi in territorio siriano.

2020 – A marzo tregua tra Russia e Turchia e stop all’offensiva governativa su Idlib. Nuove sanzioni Usa a Damasco.

2021 – Si combatte ancora a Idlib e nel Nord-Est. Dall’inizio della guerra si contano 12 milioni di sfollati: 5,6 all’estero. Il 60% della popolazione sperimenta insicurezza alimentare. Le vittime sono oltre 400 mila.