Gli squadroni della morte di nuovo in azione in Iraq

Gli squadroni della morte di nuovo in azione in Iraq

Mentre non si è ancora spenta l’eco della visita di Papa Francesco, nel Paese la violenza delle milizie torna a mostrare il suo volto più brutale. Nella provincia di Maysan è stato ucciso Hattab Jaseb, il padre dell’avvocato Ali, rapito e sparito nel nulla nell’ottobre 2019. Hattab non si rassegnava e chiedeva pubblicamente giustizia 

 

Nonostante le speranze suscitate in questi giorni dal messaggio portato con la sua visita da papa Francesco restano ancora tante le contraddizioni e gli ostacoli nel cammino verso un futuro di pace per l’Iraq. Proprio per questo è importante oggi non spegnere i riflettori su questa terra e non passare sotto silenzio una notizia particolarmente dolorosa giunta in queste ore da Baghdad: l’assassinio di un padre la cui unica colpa era quella di non darsi pace per la scomparsa di un figlio, un avvocato in prima linea per la difesa dei diritti delle donne, fatto sparire un anno e mezzo fa da una milizia sciita fondamentalista.

La storia, raccontata sui social network proprio dagli stessi giovani iracheni che hanno salutato con entusiasmo la visita del Papa, la riprendiamo dal sito curdo Rudaw: mercoledì 10 marzo, due uomini armati non identificati in sella a una moto hanno sparato a morte contro Hattab Jaseb, il padre dell’attivista e avvocato per i diritti umani Ali Jaseb rapito nell’ottobre del 2019 e scomparso nel nulla. L’omicidio è avvenuto nella provincia di Maysan, nel Sud dell’Iraq, non lontano da Baghdad. L’uomo stava tornando a casa nella città di Amarah, dopo aver partecipato a un memoriale per un altro attivista ucciso lo scorso anno.

In un primo post su Facebook la polizia di Maysan aveva spiegato di aver arrestato cinque sospettati per la morte di Hattab e che le indagini preliminari avevano indicato “un conflitto tribale” come causa della morte. Ma il post – un evidente tentativo di liquidare in fretta il caso della morte di un uomo che per le sue proteste era abbastanza noto nella provincia –  è stato successivamente cancellato. Più tardi è stato annunciato che un sospetto è stato catturato, senza però fornire ulteriori dettagli.

Hattab aveva più volte accusato le milizie di aver rapito suo figlio. Ansarullah al-Awfyya’a – una potente milizia sciita che fa parte delle Forze di Mobilitazione nel Maysan – è sospettata di essere dietro il rapimento di Ali e la morte di suo padre. Ali era un avvocato che spesso rappresentava donne in cerca di separazione da mariti violenti e – prima di essere rapito – stava aiutando la moglie di un miliziano a ottenere il divorzio. L’8 ottobre 2019 riceve una telefonata da parte di una donna per una consulenza legale che gli chiede un incontro quella sera stessa. Oltre alla donna, ad aspettare Ali c’era anche un SUV nero: due uomini l’hanno fatto salire a forza e sono partiti a tutta velocità.

Ali è stato rapito una settimana dopo le storiche proteste scoppiate in tutto l’Iraq il 1° ottobre, che hanno visto decine di migliaia di giovani radunarsi contro la corruzione e la classe dirigente. Come molti altri, le speranze di cambiamento ispirate dal movimento avevano incoraggiato Ali a parlare contro le milizie nella sua città natale. Ma le proteste sono state in gran parte messe a tacere da una combinazione di coronavirus e una violenta repressione da parte delle forze di sicurezza e delle milizie che – secondo l’Alto Commissariato iracheno per i Diritti Umani – hanno ucciso più di 500 persone.

«Il caso di mio figlio è un caso di opinione pubblica, e non ci rinuncerò mai – aveva detto Hattab in un video condiviso da Dijlah TV –. Se è morto, vorrei vedere la sua tomba e visitarla. La mia richiesta è semplice». Hattab aveva anche incontrato il primo ministro iracheno, Mustafa al-Kadhimi, a settembre, il quale gli aveva promesso di lavorare sul caso di Ali. Hattab voleva che le indagini fossero trasferite dal Maysan a Baghdad e richiedere un mandato di arresto contro Haidar al-Gharawi, comandante di Ansarullah al Awfyya’a nel Maysan.

Anche l’analista della sicurezza e consigliere del governo, Husham al-Hashimi, è stato ucciso davanti alla sua casa a luglio. «Sappiamo chi ha ucciso Husham, ma non possiamo perseguirli», ha detto una fonte all’Agence France Presse, riferendosi a potenti gruppi paramilitari. «Se il governo non può rendere giustizia a qualcuno come al-Hashimi, allora chi è Ali Jaseb per loro?», ha detto Hasab Wahab, del gruppo per i diritti dell’associazione al-Amel, all’agenzia AP News.

Nonostante il primo ministro Kadhimi abbia ripetutamente promesso di ritenere gli assassini responsabili, non ci sono stati arresti o processi pubblici. Eccezione è stato l’arresto di quattro membri della “squadra della morte” nella città meridionale di Bassora con il sospetto di essere dietro una serie di assassinii di attivisti e giornalisti nella provincia. Diversi altri attivisti a livello nazionale sono stati assassinati o sono sopravvissuti a tentativi di omicidio. La maggior parte degli attivisti e dei giornalisti uccisi avevano criticato l’influenza dell’Iran in Iraq, compreso il ruolo mortale giocato dalle milizie sostenute da Teheran.