Il vescovo Bizzeti: «Per spegnere l’odio montante ci vogliono la preghiera e il digiuno»

Il vescovo Bizzeti: «Per spegnere l’odio montante ci vogliono la preghiera e il digiuno»

Per il vicario d’Anatolia bisogna rispondere alle questioni “profonde” del conflitto, partendo da uno Stato palestinese. Le grandi potenze si devono «fare da parte» e favorire un processo «autonomo e lungo» ma che porterà la pace nella regione. Oggi Giornata di preghiera e digiuno indetta da Papa Francesco per «spegnere l’odio montante»

(AsiaNews) – In questa fase drammatica di guerra a Gaza, in Turchia vi è un sentimento diffuso di «vicinanza ai nostri fratelli ebrei e palestinesi» e un rinnovato invito «alla pace e alla preghiera», oltre a una «invocazione» alle parti in causa «a non risolvere una situazione terribile versando altro sangue». È quanto sottolinea ad AsiaNews mons. Paolo Bizzeti, vicario d’Anatolia, che guarda con preoccupazione ai venti di guerra che sono tornati a levarsi dalla Terra Santa, innescati dall’attacco terrorista di Hamas del 7 ottobre cui Israele ha risposto con bombardamenti massicci a Gaza. Finora l’offensiva non ha fatto distinzioni fra guerriglieri e civili, fra obiettivi militari e moschee, chiese e ospedali, finendo per alimentare un’escalation che può incendiare l’intera regione. «Il rischio è reale – aggiunge – perché vi sono situazioni irrisolte».

«Per prima cosa, è necessario affermare con forza – avverte mons. Bizzeti – che sangue su sangue non ha mai portato alla pace. Inoltre, qui [in Turchia] sono ben presenti le cause remote che hanno portato a questo terrorismo, che vanno risolte. È impossibile che un popolo come quello palestinese non abbia una sua indipendenza, una sua realtà, una sua libertà di potersi esprimere. Non si può pensare di risolvere i problemi ignorandone le cause. Questo è il sentimento comune, anche fra i cristiani, senza voler necessariamente prendere le parti di qualcuno, ma consapevoli che bisogna affrontare le motivazioni profonde».

A livello di opinione pubblica turca vi sono giudizi di condanna sia per l’attacco di Hamas contro Israele, con la strage di civili uccisi o rapiti, che per la risposta militare israeliana nella Striscia che più dei combattenti e terroristi ha finito per colpire donne, anziani, bambini. «Qui è incomprensibile – spiega il vicario d’Anatolia – che si bombardino chiese, moschee, ospedali: questo non è fare giustizia. Nessun atto di terrorismo può giustificare, in risposta, atti che sono altrettanto violenti».

Sul piano diplomatico, da Ankara si sta cercando di tessere una tela di relazioni e contatti che possano contribuire ad allentare la morsa su Gaza e favorire l’ingresso di aiuti, oltre a sbloccare possibili canali di dialogo fra le parti. In questo quadro si inserisce la telefonata fra Papa Francesco e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan «richiesta da quest’ultimo» come spiega una nota della Sala Stampa vaticana. Un confronto incentrato «sulla situazione drammatica in Terra Santa. Il Papa – prosegue la nota – ha espresso il suo dolore per quanto avviene e ha ricordato la posizione della Santa Sede, auspicando che si possa arrivare alla soluzione dei due Stati e di uno statuto speciale per la città di Gerusalemme».

Il colloquio col Pontefice conferma, una volta di più, il tentativo di Ankara e del presidente Erdogan da Gaza a Mosca, da Kiev al fronte iraniano, di porsi come mediatore dei conflitti nella regione, e oltre. «Il governo turco in questi ultimi anni – ricorda mons. Bizzeti – ha ristabilito piene relazioni con Israele, quindi non c’è una preclusione a priori o una volontà di non riconoscimento. Inoltre, il governo sottolinea giustamente che non si può identificare Hamas con tutto il popolo palestinese. E anche come opinione pubblica vi è una forte presa di posizione della gente contro questa reazione, che butta benzina sul fuoco». La Turchia, prosegue, «si pone in una posizione di non schieramento degli uni contro gli altri e questo approccio mi sembra molto saggio perché evita la logica di soppressione di una delle due parti in causa».

Vi è poi un elemento confessionale da considerare, in particolare in una nazione come quella turca in cui la religione musulmana è un elemento preponderante che, anche negli ultimi anni, ne ha determinato l’indirizzo. E vi è una “piazza musulmana” che segue con attenzione le vicende di un conflitto che è di natura politica, anche se qualcuno cerca di ammantarlo di una componente religiosa che «non esiste, ma vi sono rischi reali di una deriva: le cause sono chiare – afferma – ed è necessario prima di tutto rispondere alla domanda di un popolo [palestinese] che non ha una sua autonomia». «Proprio perché la piazza non abbia reazioni emotive o incontrollate – prosegue il vicario d’Anatolia – e perché non si scavino di nuovo dei solchi è importante che vi sia un impegno da entrambe le parti per il cessate il fuoco». Inoltre, vi è il rischio che il conflitto si vada allargando per problemi «sospesi da tempo: l’Iraq, l’Iran, i rapporti con Stati Uniti ed Europa che non sono limpidi e lineari. Bisogna poi considerare – avverte – la situazione che si è venuta a formare dopo le due guerre del Golfo e che può esplodere. Il Medio oriente è destabilizzato da decenni, ma è giunto il tempo che le grandi potenze si facciano da parte e permettano a questi popoli una reale autonomia che sarà complicata, lunga, difficile, perché anche in Europa sono serviti secoli per arrivare a una convivenza più pacifica. Questi popoli devono compiere il loro cammino, le ingerenze esterne non aiutano. Tanto più quando si inviano armi, che non hanno mai servito la causa della pace».

In queste settimane migliaia di ebrei si sono rifugiati in Turchia per sfuggire alle violenze del conflitto, mentre a Gaza è forte il timore di un esodo massiccio che potrebbe innescare una nuova emergenza migrazioni che rischia di esasperare il dramma umanitario. Di fronte a questa deriva di guerra e sangue è ancora più importante, sottolinea mons. Bizzeti, seguire le indicazioni di Papa Francesco perché sono «indicazioni sagge: per spegnere l’odio montante ci vogliono la preghiera e il digiuno, per questo ogni parrocchia sta organizzando con celebrazioni e iniziative».