L’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme all’indomani della presentazione del piano di Trump: «La nostra società è sempre stata culturalmente e religiosamente pluriforme. Eppure oggi assistiamo al rifiuto a riconoscere questa diversità, dove ciascuno ha la sua dignità e i suoi diritti»
In una Gerusalemme che ribolle dopo l’annunciato piano di pace di Donald Trump – visto dai palestinesi come un’adesione senza se e senza ma alle richieste di Israele che ora si prepara ad annetere unilateralmente tutti i suoi insiediamenti in Cisgiordania – l’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, lancia un duro richiamo contro «il rifiuto a riconoscere le diversità» invitando i cristiani a farsi «voce libera per i diritti di coloro i cui i diritti vengono negati».
Lo ha fatto ieri sera durante la celebrazione ecumenica che a Gerusalemme ha conclusto la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Nell’omelia il presule non ha citato espressamente il piano di Trump – sul quale per altro l‘Assemblea degli ordinari cattolici della Terra Santa aveva già espresso in giornata in una nota il suo giudizio negativo – ma nell’ultima parte del suo intervento ha comunque descritto il rifiuto a riconoscere il volto pluriforme della Città Santa come «cronaca di questi giorni».
«In attesa che un giorno potremo spezzare insieme il pane eucaristico – ha detto mons. Pizzaballa – con il segno che compiremo durante questa celebrazione, vogliamo insieme oggi impegnarci come Chiesa di Gerusalemme, come piccola ma significativa comunità cristiana, ad accoglierci l’un l’altro, a condividere per quanto possibile la nostra vita, i nostri problemi, le nostre fatiche. Ma non possiamo guardare solo a noi stessi, come se fossimo gli unici. Dobbiamo invece alzare lo sguardo al mondo nel quale ci troviamo. Vogliamo come comunità cristiana, insieme, esprimere la nostra condivisione delle fatiche e delle sofferenze di tutti, di farci carico delle ingiustizie e delle povertà poste di fronte ai nostri occhi, di farci voce libera per i diritti di coloro i cui i diritti vengono negati».
«La nostra società – ha proseguito – è sempre stata culturalmente e religiosamente pluriforme. Eppure, oggi assistiamo al rifiuto a riconoscere questa diversità, dove ciascuno ha la sua dignità e i suoi diritti. È ormai cronaca di questi giorni. Ebbene, proprio in questo contesto, credo che si possa anche affermare che essere eucaristici cioè condividere la vita e spezzare il pane tra noi, non possa non significare anche assumere e riconoscere questa la ferita profonda di questa Terra. Non possiamo cioè pregare per le divisioni tra noi, senza riconoscere e fare nostra anche la divisione di questa terra, il rifiuto ad accogliersi e riconoscersi l’un l’altro dei popoli che la abitano, con dignità e giustizia».
«Non possiamo tacere – ha concluso -. È nostro dovere dire: no, non è questa la strada da percorrere. Questa via porterà solo violenza e odio. Dal poco pane messo a disposizione, Gesù ha sfamato cinquemila persone. Il Signore Gesù sia allora ancora oggi per la nostra piccola comunità di credenti in Cristo il pane che da forza in questo difficile ma necessario cammino di riconciliazione e possa essere per tutti fonte di luce e speranza».
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