Nell’anniversario del martirio l’associazione intitolata al fidei domun romano ha incontrato la piccola comunità cristiana della chiesa di Santa Maria, dove fu ucciso. L’appello del vicario apostolico d’Anatolia, Paolo Bizzeti, agli ordini religiosi: «C’è tanto lavoro da fare qui. Non possiamo lasciarli soli proprio adesso»
In occasione dell’anniversario dell’uccisione di don Andrea Santoro – sacerdote fidei donum della diocesi di Roma, avvenuta a Trabzon (Turchia) il 5 febbraio 2006 – una piccola delegazione dell’associazione romana a lui intitolata, si è recata dal 3 al 6 febbraio nella città sulle rive del Mar Nero.
La memoria di don Andrea, così come quella di mons. Padovese, appare ancora molto viva. «Sono fatti ancora recenti per una chiesa così piccola – spiega il vicario di Anatolia, mons. Paolo Bizzeti – per queste morti violente avvenute in così poco tempo. Fatti che segnano pesantemente la vita di una comunità, non solo perché si sono perse due persone molto valide, che a fatica si è trovato il modo di sostituirle, ma anche perché questi avvenimenti hanno gettato un’ombra di timore nelle comunità».
Mons. Bizzeti ha accolto la piccola delegazione insieme al parroco, padre Patrice Jullienne de Pommerol, da sei anni pastore, dopo don Santoro, della chiesa di Santa Maria, l’unica cristiana rimasta a Trabzon. Il gesuita francese, che ha vissuto tanti anni ad Ankara, guida una piccola ma significativa comunità di cristiani, composta da persone del luogo, ma anche stranieri, soprattutto georgiani e studenti africani, in Turchia per lavoro o studio.
Nonostante la situazione a Trabzon non sia facile, la comunità è molto unita e nel giorno in cui si celebrava il ricordo del martirio di don Andrea Santoro, due giovani turchi hanno iniziato il loro percorso di catecumenato, ricevendo il mandato direttamente dal vescovo, mons. Paolo Bizzeti.
Anche se il cristianesimo non è facilmente accettato, si respira una fede viva, da prime comunità apostoliche. «Sono tante le persone che ogni settimana bussano alla porta della parrocchia di Santa Maria – ci racconta il vescovo – non solo per pregare, ma anche per chiedere informazioni sul cristianesimo o semplicemente un consiglio. Non c’è persecuzione ma in quanto minoranza la nostra piccolissima comunità, come ovunque, viene vista con un po’ di sospetto».
LA SITUAZIONE IN ANATOLIA
Non è semplice la situazione per il cristianesimo nella grande diocesi dell’Anatolia, la più grande della Turchia, che si estende su una superficie di oltre 4 mila kmq e comprende dal Mar Nero fino ai confini con Iraq, Siria e Iran. Alla scarsa presenza di pastori e alle poche chiese rimaste, si sommano le grandi distanze. Tra una parrocchia e l’altra si arriva a toccare fino a 400-500 chilometri e la presenza di una comunità è fondamentale per la sua sopravvivenza. Per questo è difficile anche fare stime sul numero dei fedeli in tutta la diocesi: alcune migliaia sono quelli che frequentano le comunità, mentre ci sono persone che vivendo in luoghi isolati non riescono a partecipare alle celebrazioni.
«Sei anni senza vescovo sono stati un grosso problema – prosegue Bizzeti – sia dal punto di vista delle persone che delle risorse: si è molto immiserita la diocesi. Dunque adesso si tratta di rilanciarla e lo stiamo già facendo. Abbiamo trovato anche degli aiuti, è un piccolo cantiere, ma sei anni pesano».
L’APPELLO
«C’è tanto lavoro da fare – continua mons. Bizzeti – partendo proprio da Trabzon, perché se è vero che la piccola comunità è viva, ha comunque bisogno di aiuti. Da tempo come diocesi stiamo cercando delle suore che possano affiancarsi al parroco, per realizzare una presenza umile di lavoro e preghiera. E naturalmente, in prospettiva, bisogna pensare anche a qualcuno che dia un avvicendamento al parroco».
Oltre a Trabzon c’è anche la necessità di una presenza monastica, ricercata da mons. Bizzeti per la regione della Cappadocia. Per oltre vent’anni, nella città di Uçhisar, vivevano tre missionari della Fraternità di San Valentino provenienti dall’arcidiocesi di Trento, che per nove mesi all’anno assicuravano la loro presenza. Oggi, però, a causa del diminuito numero delle vocazioni, la Fraternità non assicura più questa presenza. Un problema sollevato da tempo, su cui però mons. Bizzeti non ha ricevuto ancora nessuna risposta. «In particolare – spiega – un ordine di suore di vita contemplativa sarebbero gradite in una terra come la Turchia, che ha visto nascere e svilupparsi la tradizione del monachesimo. Per questo motivo monaci e monache sono sempre stati accolti bene, rispettati e stimati dalla gente».
LA QUESTIONE DEI RIFUGIATI
Al fianco di queste piccole comunità ad aumentare oggi il numero dei cristiani in Turchia è l’ormai massiccia presenza di rifugiati provenienti dalla Siria. «Purtroppo non ci sono né luoghi né persone che possono garantire un’assistenza religiosa a questi fedeli – prosegue Bizzeti -. La difficoltà più grande è quella della ricerca di pastori che possano stare al loro fianco e che conoscano le loro liturgie e l’arabo». Una ricerca difficile che prosegue per mons Bizzeti anche per i tanti cristiani che fuggono dalle zone di guerra: «Ci sarebbe veramente una grande necessità di sacerdoti, che almeno in alcuni periodi dell’anno, passano garantire ai rifugiati una cura pastorale».
Un momento reso ancora più difficile dai recenti attentati terroristici che hanno colpito la Turchia e si sommano all’islamizzazione crescente del Paese. Mons. Bizzeti sottolinea come sia necessario proprio adesso non abbandonare questo Paese e porre maggiore interesse da parte di tutto il mondo per la Chiesa di questa terra «dove ci sono le nostre radici cristiane, dove ci sono delle comunità e persone interessate a conoscere il cristianesimo; è una parte di mondo in cui bisognerebbe investire anche più energie dal punto di vista ecclesiale».
DIALOGO CON LE ALTRE RELIGIONI
Un Paese, la Turchia, che appare in movimento, oltre che in fermento e che in questi ultimi anni sta subendo una progressiva chiusura. L’islamizzazione rosicchia ciò che resta di una presenza cristiana, trasformando in moschee quelle che un tempo erano chiese divenute poi musei. Come successo alla bella Ayasofya, situata in uno punti panoramici di Trabzon, di cui è possibile scorgere solo in parte i meravigliosi affreschi, che narrano scene evangeliche e di resurrezione.
«La gente è semplice e il rapporto con le istituzioni appare tranquillo, ma di fatto il problema è operativo, perché la Chiesa in Turchia non ha la possibilità di fatto di fare nulla – ribadisce mons. Bizzeti -. Compreso sistemare una chiesa o aprire un locale per i giovani, attività che altrove sono normali».
Mons. Bizzeti ricordo però che è sempre necessario fare dei distinguo quando si parla del dialogo con le altre religioni, considerato che sono almeno sette quelle “riconosciute” in Turchia. «A livello di base la gente è molto aperta, disponibile, si parla di tutto, c’è molta tolleranza. Non è un paese monolitico e lo stesso Islam in Turchia è variegato e dialoga. Il problema – conclude – è che non ci si consoce davvero. Per questo è necessario moltiplicare le occasioni di incontro, anche nella vita reale non soltanto nei convegni».