In Italia, il numero delle donne straniere ha superato quello degli uomini. Vengono non solo per ragioni di famiglia, ma anche per lavoro. E sono sempre più impegnate nell’associazionismo, nell’imprenditoria e nelle istituzioni civili. Così come le italiane che sono emigrate all’estero e che crescono i loro figli in un orizzonte globale
Rabia viene dalla Siria, dove sono stati uccisi due suoi fratelli e un nipote. Sua mamma è ancora lì: ha finalmente ottenuto un visto per l’Arabia, ma non riesce ad andarsene perché non ci sono voli. Rabia racconta con grande compostezza la sua storia familiare. Riesce persino a scherzarci sopra. Talvolta nella casa di riposo dove lavora vicino a Vicenza, qualche anziano l’apostrofa, dicendole di tornare a casa sua: «Magari potessi farlo!», replica con un sorriso. Poi torna seria e tira fuori tutta la sua caparbietà e determinazione di donna immigrata, madre di tre figli, operatore socio sanitario e saltuariamente mediatrice religiosa e culturale nelle scuole. Da ottobre, è anche consigliera comunale nel comune in cui vive. Ma fa parte pure dell’Associazione donne musulmane in Italia (Admi) e dell’Associazione Per la Siria libera, che aiuta gli sfollati all’interno del suo Paesi e nei campi profughi in Libano e Turchia. Organizza eventi e cene di beneficenza per raccogliere fondi ma anche cineforum e corsi di cucina etnica per promuovere l’integrazione nel territorio in cui vive.
Quella di essere multitasking non è una prerogativa delle italiane. Anzi, per le donne immigrate coniugare vita familiare e lavoro è spesso già molto complicato. Eppure, sono sempre più numerose quelle impegnate nell’associazionismo e nel volontariato, in gruppi e organizzazioni spesso multi-etniche, che rappresentano straordinari ponti di integrazione.
E proprio “Il volto femminile dell’integrazione” è stato il tema al centro dell’incontro promosso a Bassano del Grappa in vista dell’8 marzo dal Centro missionario Scalabrini e dall’Ufficio Migrantes di Vicenza, in collaborazione con le comunità migranti locali.
Oggi in Italia, le donne immigrate sono il 53 per cento del totale degli stranieri. Molte continuano a venire nel nostro Paese per motivi familiari, soprattutto quelle provenienti dall’Africa. Ma sempre di più la migrazione femminile è legate a ragioni lavorative. La migrazione per lavoro viene indicata dal 70,5% degli uomini e dal 45,1% delle donne. Questo è evidente soprattutto tra le donne provenienti dall’Est Europa o da Paesi come le Filippine e il Perù. Le ucraine, ad esempio, rappresentano il 79,8% del totale dei loro connazionali, le filippine (75,6%), le moldave (71,9%) e le romene (59,5%).
Ormai, queste donne rappresentano una forza lavoro imprescindibile per l’Italia, soprattutto nei servizi sociali e nei servizi alla persona. Più di un milione e mezzo di donne straniere svolgono la professione di colf o badanti presso famiglia italiane, offrendo un aiuto prezioso alle donne italiane, loro stesse penalizzate da un welfare che non le supporta adeguatamente sia nella cura dei bambini che degli anziani.
Molte donne straniere, tuttavia, mostrano anche un grande spirito imprenditoriale, cinesi in testa, che rappresentano il 15,8% delle imprenditrici straniere, seguite da rumene (7,6%) e marocchine (6.7%), quasi tutte sotto i cinquant’anni
Come Lys, nata in Venezuela da genitori italiani, laureata in lingue, e tornata in Italia per seguire il marito Michele. Una migrante di ritorno che ora si dedica al commercio di abbigliamento. «L’Italia – dice Lys – mi ha offerto la possibilità di scoprire me stessa, guardando il mondo con occhi diversi, e di capire che questo è un dono preziosissimo che va condiviso con altri». Da qui, il suo impegno anche nell’Associazione Venezuela-Italia-Mondo, che promuove l’integrazione culturale specialmente dei popoli latinoamericani, ma anche la conoscenza dei loro Paesi d’origine. Come il Venezuela, appunto, di cui nessuno parla. «Mio fratello – racconta – era direttore di un giornale indipendente: insieme ad altri 21 giornalisti è stato arrestato con regime di presentazione ogni otto giorni e gli è stata proibita l’uscita del Paese». Per questo Lys ha promosso un ponte di conoscenza e aiuto per trovare una via di uscita dalla grave crisi che attraversa il Paese e dalle pesanti violazione dei diritti umani, in questa terra generosa che ha accolto tantissimi italiani nel dopoguerra.
Prisca, invece, viene dal Nord dell’Uganda, da cui è stata costretta a fuggire a causa della guerra. Ma ha sempre mantenuto un forte legame di solidarietà con il suo Paese, dedicandosi ad attività di volontariato, vivissime ancora oggi, e a campagne pluriennali di denuncia, attraverso media, incontri e conferenze, del triste fenomeno dei bambini-soldato e delle sofferenze patite dal suo popolo. «Ora però – afferma con grande passione – è tempo di guardare al loro futuro, cercando di promuovere sviluppo sociale ed economico nelle famiglie e nelle comunità, attraverso il supporto alla piccola imprenditoria femminile». Per questo Prisca ha lanciato nel 2014 il progetto Donne per le Donne, un ponte tra le donne di Kampala e quelle di Bassano del Grappa, dove ha costituito anche l’associazione Mar Lawoti (“Amiamoci gli uni gli altri”), la cui principale missione è la protezione e il riscatto delle donne e dei minori a rischio sociale nel nord dell’Uganda.
Yamina e Ewa, invece, hanno un’attenzione particolare per l’educazione. La prima è originaria dell’Algeria, dove di è laureata in matematica e ha insegnato sei anni in una scuola media. In Italia collabora con una cooperativa facendo come mediatrice linguistica e culturale in scuole, ospedali, distretti e consultori… «Un lavoro che mi appassiona e che permette ad altre donne immigrate di progredire loro stesse nell’apprendimento dell’italiano, affinché possano sentirsi più autonome e a loro agio in questo Paese».
Ewa è nata in Polonia, cresciuta in Ghana, ha studiato negli Stati Uniti ed è residente in Italia da quarant’anni. Medico e fondatore dell’Associazione italo-polacca di Padova, aiuta in particolare le coppie con bambini adottati all’estero, che spesso incontrano difficoltà nell’inserimento scolastico: «Io sono cresciuta parlando tre lingue e ritengo che questo sia un aspetto che andrebbe maggiormente valorizzato anche nelle scuole».
Infine, Azzurra, con la sua storia di emigrazione dall’Italia al Perù, ancora bambina, insieme ai genitori cooperanti. E poi lei stessa studiosa e cooperante in Amazzonia, Italia e Spagna, dove si è dedicata in particolare alla promozione dei diritti delle donne indigene. Oggi vive a Boston, negli Stati Uniti, dove insegna lingue e culture iberoamericane presso l’università di Harvard, con il marito originario dell’Iraq e il suo bambino, che è un piccolo figlio del mondo.