Il gregge di Abramo

Il gregge di Abramo

Un gruppo di volontari dell’associazione “I care”, che si ispira a don Lorenzo Milani, ha accompagnato un immigrato del Marocco a ricominciare la sua vita in patria, dopo anni di precarietà in Italia

 

Abramo accomuna in un’unica radice tutte e tre le principali religioni monoteiste. è colui che riconduce l’uomo nell’alleanza con Dio grazie a una fede granitica. Abramo non tentenna, non fa calcoli. Spera contro ogni speranza. Abramo, anzitutto, è un pastore. Come lo sono stati i suoi avi. E come loro, anche Abderraihm Abramo, dopo anni di precarietà in Italia, vuole vivere di pastorizia.

Ci sono storie che ne evocano altre, accadute decine e decine di secoli prima. E ci sono progetti, piccoli e mirati, che hanno un impatto reale sulla vita delle persone. Questa è innanzitutto la storia di un’amicizia fraterna, nata in Italia e proseguita in Marocco. Il protagonista principale è Abramo, all’anagrafe Abderraihm Khiyati, 47 anni. Come il patriarca biblico dovette andare in Egitto a causa di una carestia, anche lui, 28 anni fa, venne in Italia per cercare lavoro, lasciando la sua casa e la sua famiglia d’origine a Ouled Chacha, un piccolo centro a sud di Casablanca, verso l’interno del Marocco.

«Ci siamo conosciuti tanti anni fa quando era da poco tempo in Italia, perché ogni settimana passava da casa mia, a Travedona, in provincia di Varese, per vendere la sua merce. Allora la gente chiamava gli immigrati come lui “vu cumprà”». Fausto Verti, 48 anni, è il secondo protagonista di questa storia. Fa l’agricoltore e vive ancora a Travedona, è sposato e ha due figli. «Con Abramo sono nati prima un rapporto di reciproco rispetto e poi un’amicizia – racconta Fausto –. Per alcuni anni ha lavorato in una fabbrica e non ci siamo più visti. Ci siamo incontrati di nuovo in un momento molto difficile per lui: a causa della crisi, la sua ditta aveva chiuso e la moglie se ne era andata con un altro, lasciandogli i due figli nati dal loro matrimonio. Aveva ricominciato a fare il venditore ambulante con la partita Iva, ma con quello che guadagnava faceva persino fatica a pagarsi i contributi dell’Inps».

La situazione per Abramo comincia a diventare insostenibile: è costretto a riportare i figli in Marocco, affidandoli ai suoi genitori, e al rientro in Italia condivide un appartamento con altre persone. «In quel periodo ci siamo confrontati molto – continua Fausto -. Sono andato a vedere dove abitava e gli ho detto che non poteva più continuare in quel modo. Per un periodo l’ho ospitato a casa mia, ma mi rendevo conto che era necessario trovare una soluzione». A Travedona, Fausto fa parte di “I care”, un’associazione di volontariato nata nel 2011 che si ispira all’insegnamento di don Lorenzo Milani. Parla con gli altri soci della situazione di Abramo. Nel frattempo anche Abramo si dà da fare: in lui comincia a farsi strada la possibilità di tornare in patria, anche per ricongiungersi con i suoi due figli e la sua famiglia. Fra una tazza di caffè e una di tè alla menta, i due amici ipotizzano diverse soluzioni. Alla fine, quella più praticabile e che Abramo si sente in grado di intraprendere è ricominciare a fare il lavoro di suo padre: il pastore. «I suoi genitori avevano ancora qualche pecora, e lui stesso aveva fatto quel lavoro da ragazzo – spiega ancora Fausto -. Ma c’erano diversi problemi da affrontare. Innanzitutto i costi per acquistare il bestiame e mettere insieme almeno un piccolo gregge, poi la mancanza d’acqua».

Proprio come accaduto all’Abramo della Bibbia, il paese d’origine di Abderraihm in Marocco in questi anni è stato colpito dalla siccità. La sua casa è una costruzione molto modesta vicina a quella del padre e del fratello, circondata da campi un po’ brulli e qualche campo coltivato. C’è la corrente elettrica ma non ancora l’acqua, perciò ogni giorno qualcuno della famiglia deve andare in paese a comprarla col carro. Allacciarsi alla rete idrica costa molto di più che portare la corrente, e scavare un pozzo è ancora più costoso.

La svolta arriva quando l’associazione “I care”, di cui Fausto fa parte, decide di aiutare Abramo a ricominciare la sua vita in patria. «Ci siamo chiesti se avesse senso attivare un progetto a sostegno di un’unica persona – sottolinea Fausto -. Ma poi abbiamo deciso di abbandonare i dubbi dicendoci che questa era l’occasione per aiutare un fratello che aveva bussato alla nostra porta». I volontari di “I care” scelgono di andare contro corrente, quella migratoria ma soprattutto quella che soffia verso l’egoismo, l’individualismo, l’indifferenza e la paura.

A maggio del 2015 Abramo rientra definitivamente in Marocco e si dà subito da fare. Con un duro lavoro durante i caldi mesi estivi sistema la casa e costruisce l’ovile. Con i soldi ricevuti dagli amici e da “I care”, circa 7.500 euro in totale, riesce ad acquistare le prime pecore e soprattutto a realizzare un pozzo che serve la sua famiglia, quelle dei suoi tre fratelli e quella di suo padre. «Quando sono andato a trovarlo la prima volta, nel febbraio dello scorso anno, ho potuto constatare che le quindici pecore con cui era partito erano già raddoppiate – racconta Fausto – . Arrivava da un inverno fra i più secchi in Marocco ed era molto preoccupato perché non crescevano l’erba e l’orzo da dare alle pecore. Con il suo pozzo un po’ poteva irrigare, ma su una superficie limitata, inoltre doveva stare attento a non esaurire le riserve d’acqua». A causa della siccità prolungata, alla fine dello scorso anno i prezzi dell’orzo e del fieno sono saliti alle stelle: sono gli effetti dei cambiamenti climatici sulle popolazioni rurali dei paesi vicino al deserto.

«Con la vendita delle pecore, Abramo è riuscito a stare a galla ed è comunque contento anche se ha lavorato tanto e ha guadagnato solo il sufficiente per vivere. Se piove andrà sicuramente meglio, perché le spese diminuiranno molto». Come il suo omonimo della Bibbia, Abramo è pieno di speranza. Suo fratello, che viveva più a sud vicino al deserto ma non riusciva più a mantenere la famiglia, ha deciso di tornare e di aiutare nel lavoro di pastorizia. I volontari di “I care” hanno constatato che la scelta di investire su di lui ha portato benefici già a una ventina di persone, grazie al nuovo pozzo e alla nuova attività economica che coinvolge tutta la famiglia. «Da parte mia posso dire di aver incontrato un Abramo molto più sereno di quello che avevo lasciato – afferma Fausto -. Ha scommesso tutto sulla sua nuova vita, è commosso per l’aiuto ricevuto e va avanti, sostenuto da una fede incrollabile».