Padre Rey, il prete «Dreamer»

Padre Rey, il prete «Dreamer»

Tra gli ottocentomila a rischio negli Stati Uniti dopo la scelta di Donald Trump di cancellare il programma DACA c’è anche un giovane prete dell’arcidiocesi di Atlanta, figlio di immigrati messicani

 

Si definisce così anche sul suo profilo Twitter: «Dreamer», con la bandiera a stelle e strisce accanto. Dreamer e nello stesso tempo «raggiunto da Dio», al punto di scegliere di donare a Lui tutta la vita. C’è anche la storia di padre Rey Pineda, classe 1988, giovane sacerdote dell’arcidiocesi di Atlanta (svolge il suo ministero presso la cattedrale di Cristo Re), tra le storie degli 800 mila figli di immigrati il cui futuro negli Stati Uniti oggi è in bilico dopo che l’amministrazione Trump ha ufficializzato la scelta di cancellare il DACA, il programma voluto da Barack Obama per offrire un’opportunità almeno ai figli degli immigrati senza documenti ma cresciuti nel Paese. Una cancellazione definita già ieri sera dai vescovi americani «inaccettabile e riprovevole».

La sua storia è stata fatta conoscere nello scorso mese di novembre dal senatore Dick Durbin durante una seduta dedicata appunto alla discussione sul DACA. Nato nello Stato del Guerrero, in Messico, Rey arrivò con i genitori negli Stati Uniti quando aveva due anni. Cresciuto ad Atlanta ha frequentato la scuola con il massimo dei voti e conseguito anche una laurea in filosofia. Ed evidentemente proprio dentro a questa storia Dio ha trovato un terreno fertile per una vocazione al sacerdozio. Solo che – entrato nel seminario dell’Illinois – c’era un problema: senza i documenti in regola non l’avrebbero nemmeno ordinato prete negli Stati Uniti; sarebbe dovuto andare in Messico, Paese dove non è avvenuta la sua formazione come sacerdote e praticamente non ha mai vissuto. A sbloccare la situazione nel 2012 arrivò però proprio il DACA, firmato di Obama. Così tra le migliaia di storie risolte dal decreto ci fu anche quella di padre Rey, che poté accedere al diaconato ed essere ordinato prete ad Atlanta nel 2014.

In quell’occasione – ripercorrendo la sua storia – disse: «Quest’ultimo anno per me è stato uno dei più intensi; per tante ragioni, ma specialmente per come Dio mi ha mostrato ancora una volta che è sempre accanto a me. Dio è fedele, anche quando noi non lo siamo». Quanto al suo ministero ha dichiarato: «Credo che tutta la mia storia mi abbia preparato a condividere le sofferenze delle molte persone che incontro. Guardo al mio ministero come a una chiamata a costruire ponti tra le persone in ogni ambito della vita. La diversità a volte porta delle sfide alle persone. Voglio aiutare a risanare queste differenze».