Il leader della Lega Nord dice che «darebbe volentieri ai nostri missionari là» i soldi che il governo destina all’accoglienza dei richiedenti asilo. Ma è davvero possibile oggi mettere in contrapposizione le due cose?
«Ma avete visto che Matteo Salvini in televisione ha parlato bene del Pime?».
No, in realtà la puntata del 26 settembre della trasmissione tv Quinta Colonna in cui il segretario della Lega Nord ha citato la quota che la Fondazione Pime Onlus chiede per «aiutare a casa loro» le famiglie in Africa, Asia e America Latina, non l’avevamo proprio vista. Ma l’abbiamo ritrovata in fretta sulla pagina Facebook dello stesso Matteo Salvini sotto il titolo «Bastano 5 minuti dati alla mano per smontare le bugie sull’immigrazione».
A dire il vero, almeno per quel che ci riguarda, le cifre non sono esattamente quelle citate: intanto la quota annuale che chiediamo per il sostegno a distanza con la Fondazione Pime Onlus – e che Salvini contrappone ai mitici «35 euro al giorno» che lo Stato in media spende per ogni richiedente asilo – non è più di 200 euro; da qualche mese l’abbiamo dovuta alzare a 230, perché il costo della vita cresce anche nei Paesi del Sud del mondo. Ma – soprattutto – quella cifra copre il necessario per il sostegno a un singolo bambino e non per una famiglia intera, come invece dice nel video l’onorevole Salvini. Se si fa un paragone, sarebbe serio almeno provare a farlo giusto.
Ma il punto vero non è comunque questo. Certo, aiutare una famiglia in Africa costa molto meno che sostenere una famiglia immigrata in Italia. Lo sappiamo bene. Ma proprio la nostra esperienza là ci dice che è impossibile oggi separare questi due gesti, ponendoli in contrapposizione uno rispetto all’altro. Perché ad esempio anche nel Nord del Camerun a noi capita di prenderci cura delle decine di migliaia di profughi che scappano dalle violenze di Boko Haram e che vivono ormai da due anni accampati alla meglio nei villaggi; oppure dei migranti che vivono sulle barche sul fiume Mekong in Asia (mentre intanto noi in Italia continuiamo a ripeterci che «vengono tutti a casa nostra»).
In missione, però, capitano anche altre esperienze: ad esempio, in Bangladesh, stare accanto alle famiglie che hanno perso un proprio caro nel crollo del Rana Plaza, la fabbrica tessile dove per pochi soldi si producevano i vestiti che troviamo anche qui in Italia in molti negozi alla moda. Oppure in Amazzonia ci si trova a lottare al fianco dei contadini che devono difendere con le unghie e a volte anche a costo della vita la propria terra, minacciata dalle «leggi del mercato» che vorrebbero lì immense piantagioni o profonde miniere. E chi perde la sua terra che cosa fa se non emigrare?
È in questo tipo di situazioni che ti rendi conto che il problema non è decidere se accoglierli qui o aiutarli là; l’unica strada è provare a ragionare – davvero e dappertutto – sul mondo come un’unica famiglia umana.
È pensando a questo che anche noi del Pime, qui in Italia, abbiamo deciso di aprire alcune delle nostre case all’accoglienza proprio di quei richiedenti asilo che a Salvini sembrano uno scandalo così vergognoso. Sì, proprio noi che li «aiutiamo a casa loro», li accogliamo anche qui. Perché sappiamo che le migrazioni sono un volto del mondo di oggi che è illusorio pensare di fermare. Vanno certamente gestite, vanno aiutate a creare circoli virtuosi nei Paesi d’origine (e ci sono esperienze significative in questo senso, con migranti che dopo qualche anno tornano e offrono ad altri l’opportunità di vivere una vita migliore là). Ma tutto questo diventa impossibile se continuiamo a ragionare in termini di «noi» e «loro», di «immigrati» o «clandestini».
Caro Matteo Salvini, tu oggi vorresti dare a noi del Pime i soldi che il governo italiano spende per l’accoglienza ai richiedenti asilo. Dici che così sarebbero spesi molto meglio nei Paesi d’origine dei migranti. Ti ringraziamo per la fiducia. Ma buttata lì così ci sembra tanto una boutade retorica.
Perché già ben prima che ci fosse questo governo li abbiamo visti i tagli apportati ai contributi pubblici per ogni forma di cooperazione allo sviluppo in Africa; abbiamo visto come la classe politica italiana (Lombardia compresa) abbia preferito tenere gli occhi chiusi di fronte all’aumento dei fatturati dell’industria bellica italiana, con vendite anche in Paesi da cui oggi arrivano i migranti; abbiamo sentito parlare più di partnership a occhi bendati che di prese di posizione su violazioni dei diritti umani messe in atto da regimi come quello dell’Eritrea.
Caro Salvini, non saranno i soldi che darai a noi o a qualcun altro, ma il tipo di sguardo che coltiveremo insieme sul mondo a farci affrontare davvero una questione epocale come sono oggi le migrazioni. Il futuro di chi oggi sta in Africa è anche il nostro futuro; vogliamo provare davvero ad affrontarlo insieme?