La tratta di esseri umani prende nuove drammatiche forme e interpella sempre più anche la Chiesa. Grazie a Papa Francesco, ma anche a tante religiose che operano con le vittime
La tratta delle persone è un crimine contro l’umanità. Dobbiamo unire le forze per liberare le vittime e per fermare questo crimine sempre più aggressivo». Sin dall’inizio del suo Pontificato, Papa Francesco ha gridato all’umanità lo scandalo di milioni di persone «private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quella della schiavitù». Lo ha ribadito anche nel messaggio per la Giornata della Pace dello scorso primo gennaio, dedicato appunto a questo drammatico e vergognoso fenomeno. E lo rilancerà in occasione della prima Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone che verrà celebrata l’8 febbraio, festa di santa Bakhita, schiava sudanese canonizzata nel Duemila. «Questa prima Giornata sostenuta da Papa Francesco – spiega suor Eugenia Bonetti, coordinatrice dell’Ufficio Tratta donne e minori dell’Usmi e presidente dell’associazione Slaves no More, che ha sollecitato a lungo la realizzazione di questo momento forte per tutta la Chiesa – vede mobilitati tutti insieme il Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti, quello della Giustizia e della Pace, la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica e le Unioni internazionali femminili e maschili dei superiori/e generali (Uisg e Usg). È un bel segno di unità e di collaborazione che speriamo abbia un’eco mondiale. Perché la tratta di esseri umani è un fenomeno che riguarda tutti i Paesi del mondo ed è una delle peggiori schiavitù del ventunesimo secolo».
Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc) circa 21 milioni di persone, spesso povere e vulnerabili, sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale (53%) o lavoro forzato (40%), espianto di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimonio forzato, adozione illegale e altre forme di sfruttamento. Ogni anno, circa 2,5 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù; il 70 per cento sono donne e bambine. Spesso subiscono abusi e violenze inaudite. D’altro canto, per trafficanti e sfruttatori la tratta di esseri umani è una delle attività illegali più lucrative al mondo: rende complessivamente 32 miliardi di dollari l’anno ed è il terzo “business” più redditizio, dopo il traffico di droga e armi.
Secondo Unodc, praticamente nessun Paese è immune da questo fenomeno: sono almeno 152 quelli di origine e 124 quelli di destinazione. «Sfortunatamente – commenta il direttore esecutivo Yury Fedotov – non vi è nessun luogo nel mondo in cui bambini, donne e uomini sono al sicuro dal traffico di persone». In Italia, il fenomeno riguarda dalle 30 alle 50 mila persone solo per lo sfruttamento sessuale, con una forte prevalenza di donne nigeriane (circa la metà).
Suor Monica Chikwe, delle suore ospedaliere della Misericordia, coordina il progetto di rimpatri assistiti di donne nigeriane vittime di tratta dell’associazione Slaves no More. «È un fenomeno che dura da decenni e che non si arresta. Ha origine nelle condizioni di miseria e corruzione presenti nel mio Paese, ma si fonda anche sulla brama di soldi di chi si arricchisce sul traffico e lo sfruttamento di queste donne e sulla continua domanda di sesso a pagamento. Donne che, anche quando decidono liberamente di tornare a casa, sono traumatizzate e hanno grosse difficoltà a reinserirsi e a ricominciare una vita nuova, in libertà e dignità».
Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), negli scorsi mesi si è registrato un numero record di sbarchi di donne nigeriane sulle coste italiane. In ottobre, in particolare, a fronte di un calo degli arrivi in generale, «il numero delle nigeriane è cresciuto del 300% rispetto all’anno precedente». Queste donne, destinate alla prostituzione in Italia o in altri Paesi europei, già «durante il viaggio si ritrovano in una condizione di semi-schiavitù». Lo sostiene Federico Soda, capo missione dell’Oim in Italia. Che precisa: «Vengono spesso violentate e sono obbligate a prostituirsi. Sono costrette di frequente a lavorare in bordelli in Libia e poi inviate in Italia dai loro aguzzini. Molte di loro, prima di partire, devono sottoporsi a una cerimonia voodoo. Purtroppo, a causa di questa manipolazione psicologica, diventa a volte complicato far capire loro come sia possibile liberarsi da questo debito e dagli sfruttatori».
Tra coloro che sbarcano sulle coste italiane, il gruppo più numeroso, dopo quello dei siriani, continua a essere quello degli eritrei. A fine ottobre 2014 ne erano arrivati 33.872.
Anche Alganesh Fessaha, pure lei eritrea e presidente dell’ong Gandhi, lotta in prima linea contro la tratta di esseri umani specialmente nelle regioni del Sinai, in Sudan e in Libia. In quest’ultimo Paese ha conosciuto la violenza sulla propria pelle. Aggredita e picchiata da cinque uomini, che l’accusavano di essere una spia, è dovuta ripartire con il setto nasale, l’omero e sei costole rotti. «Ma non è niente! – dice -. In confronto a quello che vivono gli altri eritrei, è solo una carezza». Alganesh – che ha recentemente pubblicato uno scioccante libro fotografico, Occhi nel deserto. Gandhi nel deserto del Sinai (Ed. Sui) – racconta di ragazze violentate anche dieci volte al giorno, che «si presentavano con una dignità e un coraggio stupefacenti nell’affrontare tutto questo». Racconta di corpi trovati nel deserto, privi di reni, cornee e cuore; mostra con pudore le immagini di giovani uomini e donne con il corpo sfregiato dalle torture. Ma parla anche delle 650 persone che è riuscita a liberare grazie all’aiuto di un leader musulmano, dei 3.000 che ha fatto uscire dalle prigioni egiziane e di molti altri che ha sottratto alle grinfie dei trafficanti. Ma nonostante tutto quello che patiscono, gli eritrei continuano a fuggire dal loro Paese. «Perché l’Eritrea è una prigione a cielo aperto – denuncia Alganesh – perché c’è una dittatura che soffoca ogni libertà, perché il servizio militare è obbligatorio e permanente, perché c’è tanta povertà…». Povertà, miseria, degrado, corruzione. Ma anche guerre, violenze, terrorismo, insicurezza… Sono alcune delle costanti che, in molte parti del mondo, spingono milioni di persone a scappare o semplicemente a cercare altrove condizioni di vita migliori. Finendo quasi inevitabilmente nelle reti di trafficanti.
In India, le suore della Congregazione di Maria Immacolata lavorano coraggiosamente a difesa delle vittime di traffico e sfruttamento. Nel Paese ci sono dai 20 ai 65 milioni di persone costrette al lavoro forzato, soprattutto attraverso il meccanismo della restituzione del debito, che talvolta si tramanda da una generazione all’altra. Inoltre, secondo il governo indiano, sarebbero oltre 3 milioni le donne che lavorano nel mercato del sesso, il 35,47% sotto i 18 anni. Ma Human Rights Watch denuncia la presenza di circa 20 milioni di prostitute, molte delle quali costrette a farlo da trafficanti e sfruttatori. Solo a Mumbai sarebbero oltre 200 mila, molte delle quali minorenni.
«Sfruttamento sessuale, schiavitù domestica, accattonaggio, lavoro forzato nel settore agricolo, in quello edile e manifatturiero, nella realizzazione dei tappeti o nelle miniere. Sono tante le forme di schiavitù – sostiene suor Sharmi Souza – a cui sono sottoposte milioni di persone. Noi suore cerchiamo di accogliere e aiutare tutti quelli che possiamo. Offriamo sostegno e assistenza specialmente alle giovani donne, che poi spesso forniscono informazioni utili alla polizia per fermare i trafficanti. A volte gli agenti si rifiutano di recarsi nei postriboli, perché anch’essi corrotti dai trafficanti. In questi casi ci rivolgiamo direttamente ai loro superiori». Lei, insieme ad altre tre consorelle, si reca di notte nei bordelli di Calcutta, dove molte ragazze sono costrette alla prostituzione o sono ridotte in schiavitù. «In una sola notte – racconta la religiosa – siamo riuscite a liberare 37 ragazze, 10 delle quali minorenni».
Quella dei minori vittime di traffico e riduzione in schiavitù è una piaga che si è allargata al mondo intero e che sta drammaticamente peggiorando. Lo conferma anche l’ultimo rapporto di Unodc dello scorso novembre, secondo il quale il traffico di minori continua ad aumentare un po’ ovunque. Complessivamente, bambini e adolescenti rappresentano il 20 per cento dei casi conosciuti di traffico di esseri umani (il 5% in più rispetto al periodo 2007-2010), ma in Paesi come l’India, appunto, o l’Egitto, l’Angola e il Perù possono arrivare addirittura al 60%. Inoltre, sempre secondo Unodc, certe forme di traffico, come quello per «i bambini soldato o la microcriminalità e l’accattonaggio forzato possono rappresentare un problema significativo in alcuni luoghi».
Ma non sono solo i Paesi poveri a essere interessati dal fenomeno del traffico di esseri umani e della riduzione in schiavitù. Negli Stati Uniti, ad esempio, ogni anno circa 100 mila minori sono vittime di traffico a scopi sessuali. Secondo un rapporto di Ecpat-Usa – organizzazione non profit che lotta contro il traffico di persone – le vittime sono generalmente ragazze e ragazzi minorenni, provenienti da famiglie disgregate, scappati di casa oppure orfani, talvolta “reclutati” negli stessi istituti che dovrebbero proteggerli. E nella sola città di New York, ci sarebbero almeno 30 mila giovani donne messicane, spesso rapite e costrette a prostituirsi con metodi coercitivi molto violenti.
Uno dei problemi più seri, sottolinea Unodc, è quello della giustizia e dell’impunità: il 40% dei Paesi ha riportato pochissime condanne per questo reato, a volte nessuna, e negli ultimi dieci anni nulla è cambiato relativamente alle misure prese per contrastare questo fenomeno criminale. «Il traffico degli esseri umani continua a essere una pratica poco rischiosa e molto lucrativa per le organizzazioni criminali». E, aggiunge l’ex direttore esecutivo Antonio Maria Costa: «In giro per il mondo la giustizia penale trascura, direi banalizza, la serietà del problema della schiavitù odierna, nonostante ci siano solidi accordi internazionali per impedire che la vita umana sia posta in vendita». MM