A Trentola Ducenta il convegno promosso dal Pime nel 150° anniversario della nascita del fondatore del seminario locale che ha donato al mondo centinaia di missionari. «Padre Manna ci ricorda che tutta la Chiesa è chiamata ad essere protagonista per tutto il mondo, e che c’è una missionarietà diffusa nel popolo di Dio da riconoscere e favorire»
Ardito, temerario, … sorprendente. Tale è la figura di padre Paolo Manna emersa durante il convegno tenuto a Trentola Ducenta (CE) il 10 giugno, in occasione del 150° anniversario dalla sua nascita e nel centenario della fondazione del Seminario missionario da lui iniziato.
Ardito, perché ha portato avanti, con coraggio non comune, idee e progetti che anche oggi risuonano di grande novità. Uno fra questi l’ideazione di un centro di formazione missionaria in una zona d’Italia apparentemente marginale e poco promettente, ma che invece, come ha evidenziato il professor Carmine Di Giuseppe, ha saputo donare al mondo centinaia di missionari (tra cui quattro martiri) e migliaia di ex alunni e giovani che sono stati vero lievito missionario nelle loro comunità cristiane. Oggi si parla molto di sinodalità, la nascita del seminario di Ducenta è stata veramente sinodale: ha coinvolto tutti, dal popolo umile di Aversa che ha sostenuto con generosità le iniziative di animazione missionaria dei sacerdoti diocesani raccolti attorno a don Grassia, al cardinale olandese Van Rossum, “capo” delle missioni cattoliche nel mondo, passando per mons. Caracciolo, che prima di diventare vescovo di Aversa aveva lavorato nel Collegio dei Cinesi, istituzione nata a Napoli e unica nel suo genere in Italia. La grande storia è intrecciata con volti e eventi laddove meno te lo aspetti.
Temerarie, così sono state giudicate a suo tempo le osservazioni raccolte da padre Manna dopo la lunga visita alle missioni dell’istituto di cui era Superiore generale (l’attuale Pime). E temerarie potrebbero sembrare anche oggi, come p. Gianni Criveller, nella sua vivace relazione, è riuscito a comunicare facendo eco al pensiero di Manna. Se infatti il centro della proposta evangelica è far conoscere la vita nuova e gioiosa del Cristo, allora tutto ciò che nella vita della Chiesa lo impedisce, va riformato, anche istituzioni ritenute intoccabili. Proporre di utilizzare le lingue locali per la liturgia e la formazione del clero, era cosa impensabile per molti lettori di Manna, ma si è poi rivelata scelta essenziale per la comunicazione del messaggio evangelico. E lo è ancora oggi quando, pur non usando il latino, annunciamo il Vangelo in un linguaggio incomprensibile alla maggior parte dei nostri contemporanei. Da qui altre osservazioni di Manna che ci ricordano che, se abbiamo veramente a cuore la vita di tante comunità cristiane sparse nel mondo, allora dobbiamo ripensare tutte quelle prassi che di fatto escludono dalla missione larga parte del popolo di Dio (come donne e laici) e lo umiliano con logiche di potere mondane, come la ricerca di alleanze politiche e sicurezze economiche. Tutte cose che accadevano ai tempi di Manna e accadono ancora oggi.
Sorprendente. Anche chi ha più famigliarità con il beato Paolo Manna, è rimasto piacevolmente sorpreso dalla attualità della sua figura come è stata presentata durante il Convegno. La sua stessa spiritualità, figlia di un tempo così lontano dal nostro, ha molto da dirci perché va all’essenziale di ogni vita cristiana: la ricerca dell’unica cosa che conta. Lo ha delineato bene sr. Marilena Boracchi, illustrando come p. Manna abbia trovato questo unum necessarium nel Cristo e nel dare a tutti gli uomini la possibilità di conoscere il Vangelo. Qui si è unificata l’esistenza di Manna, …e lo sarebbe anche la nostra, così spesso frammentata dalle mille istanze della vita moderna! Ma dove ha trovato alimento in p. Manna questa passione missionaria? In tre aspetti: nell’intensa relazione con Cristo al punto da identificarsi con lui nel sacrificare tutto per la salvezza degli uomini; nella preghiera, spazio vitale per nutrire tale relazione e per far crescere le “virtù apostoliche”; nella missione come impresa mai individuale ma comunitaria ed ecclesiale.
Ardito, temerario, sorprendente… p. Manna ci ricorda che tutta la Chiesa è chiamata ad essere protagonista per tutto il mondo, e che c’è una missionarietà diffusa nel popolo di Dio da riconoscere e favorire. È questa una delle sfide riprese dalla moderatrice del Convegno, la teologa Giuseppina De Simone, impegnata in prima persona in un cammino sinodale che coinvolge le Chiese del Mediterraneo in profonda continuità con quanto p. Manna aveva sognato.