Le parole del Superiore generale padre Ferruccio Brambillasca nell’anniversario della fondazione dell’Istituto, celebrata il 30 luglio a Milano: «In tanti contesti dove ci troviamo a lavorare la missione oggi non è facile, ma andiamo avanti con fiducia. Guai se non formassimo missionari che aiutano a discernere ciò che è buono secondo l’insegnamento di Gesù: lasceremmo la gente a mani vuote»
Con una concelebrazione tenuta nella chiesa di San Francesco Saverio a Milano – la chiesa dove è sepolto il fondatore, mons. Angelo Ramazzotti – il Pime ha celebrato anche quest’anno il 30 luglio l’anniversario della sua fondazione, avvenuta 173 anni fa con l’istituzione a Saronno del Seminario Lombardo per le Missioni Estere. La celebrazione è stata l’occasione per pregare e per riflettere sulla vocazione del Pime oggi. A questo proposito proponiamo qui sotto l’omelia pronunciata in questa circostanza dal superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca.
Il nostro Istituto oggi compie 173 anni. È l’Istituto missionario più antico in Italia, ma nonostante questo siamo anche il più piccolo tra gli istituti missionari fondati in Italia, forse perché non ci siamo preoccupati troppo dei numeri… È stato un bene ? È stato un male?
Qui a Milano siamo molto conosciuti, forse meno a Trento o a Palermo… Così come siamo conosciuti ad Hong Kong, a Tokyo, a Dhaka, a s. Paolo a Yaoundé…. Siamo 400 missionari tra vescovi, sacerdoti e laici consacrati. Tutti con caratteri abbastanza particolari e che ci tengono a dire che non siamo dei “frati”, ma siamo missionari liberi. In questi ultimi tempi vorremmo inserire anche dei laici nella nostra organizzazione. Non sempre la cosa, per diversi motivi, risulta facile; ma sicuramente continueremo nel possibile inserimento di laici, preparati e dedicati, nel nostro Istituto
Ma come sta il nostro Istituto dopo 173 di storia? Quale il suo ruolo nella chiesa e nella missione? Quale il futuro del nostro istituto e degli istituti missionari?Provo a condividere con voi la risposta a queste domande prendendo spunto dalle letture che oggi abbiamo ascoltato.
La prima lettura ci dice chiaramente che uno dei più grandi doni che dobbiamo chiedere al Signore è il dono della saggezza, del discernimento, del saper discernere tra il bene e il male, tra ciò che serve e non serve….
Questo, del discernimento, è un dono veramente grande, in una Chiesa e in una società in continuo cambiamento. Sono tornato ieri dagli Stati Uniti dove ho visitato i nostri confratelli che li vi lavorano. Alcuni di loro mi hanno testimoniato la difficoltà e la sofferenza di molti cristiani nel fare delle scelte giuste di fronte a certe posizioni estreme o poco consistenti che la società e la stessa Chiesa a volte propongono.
Compito di noi missionari allora è quello di aiutare la nostra gente, nelle diverse parti del mondo dove ci troviamo a lavorare, a discernere ciò che è buono secondo quanto lo stesso Gesù ci ha continuamente insegnato. L’insegnamento di Gesù, infatti, pur essendo radicale, non è estremo e ha sicuramente una certa consistenza per tutta la durata della nostra vita.
Guai se formassimo dei missionari che non sanno aiutare la gente a discernere o che danno risposte scontate o semplicistiche, che non servono a niente, se non a lasciare la gente a mani vuote o insoddisfatta! Oggi il nostro istituto, la Chiesa intera, ha bisogno di missionari che guidino, che dirigano, che illuminino le persone che non sanno dove andare e non sanno scegliere. Anche questa è carità, anche questa è evangelizzazione!
Passiamo ora al Vangelo di oggi, con le diverse parabole che Gesù ci racconta, che hanno in comune il fatto che abbiamo trovato noi qualcosa di prezioso (tesoro nel campo, perla preziosa, cose nuove….) che dobbiamo cercare in qualsiasi modo di proteggere e di mantenere.
Per noi missionari questa perla preziosa, questo tesoro nel campo, è l’annuncio del Vangelo nelle diverse parti del mondo. È la Missione con la M maiuscola! Noi missionari che dovremmo aver scoperto questo tesoro agli inizi della nostra vocazione, dobbiamo tenerlo stretto a noi perché prende tutto il nostro cuore, la nostra passione, la nostra vita e la nostra gioia.
A volte, come dicevo all’inizio, anche noi missionari siamo ansiosi e affannati per i numeri, per le costruzioni, per l’economia, perché anche noi vogliamo essere sicuri e soddisfatti. Facciamo, per così dire, una ricerca quantitativa più che qualitativa. La riscoperta della Missione invece è ciò che qualifica il nostro istituto all’interno della Chiesa; se manca questa nel nostro istituto, cioè la Missione, possiamo dire che ancora non abbiamo trovato il tesoro o la perla preziosa e quindi non abbiamo futuro!
Com’è allora questa perla preziosa, la missione oggi? In sintesi, soprattutto in certi Paesi oggi, la missione non è affatto facile a causa della persecuzione, dell’indifferenza, degli scandali, della mancanza di personale e di risorse…
Nonostante ciò, come istituto missionario, siamo chiamati ancora a narrare il Vangelo e la vita di Gesù nelle diverse parti del mondo, sempre con molta attenzione, rispetto, semplicità e discrezione; ma, nello stesso tempo, con molto coraggio e fiducia, anche senza poter vedere i risultati del nostro lavoro. Mi fa sempre molta impressione, perché ne rimango edificato, vedere certi nostri missionari che annunciano il Vangelo in condizioni veramente precarie e senza nessun risultato gratificante. Eppure, rimangano in Missione perché questo Rimanere, con la R maiuscola, è la testimonianza più grande che possiamo trasmettere. Infatti, questo è uno Rimanere che trasmette speranza, gioia, fiducia e vita per i nostri fratelli e sorelle che vivono accanto a noi nelle nostre missioni.
Concludo citando una frase del nostro fondatore mons. Angelo Ramazzotti, le cui spoglie si trovano in questa chiesa, una frase che ci ricorda come anche per mons. Ramazzotti il tesoro del nostro istituto fosse la Missione: “Pensate voi cosa sia il dono della fede e riflettete che immense regioni e milioni di anime ne vanno ancora prive. E se questi pensieri vi toccano il cuore, promuovete e abbracciate l’opera di cui parliamo”.