Lasciano il lavoro, le amicizie, le proprie certezze per servire gli ultimi: sono i volontari dell’Associazione Laici Pime, presenza “a tempo” eppure incisiva, sempre più importante per l’Istituto
Lasciare il lavoro, le amicizie, le proprie abitudini quotidiane per buttarsi anima e corpo nella missione all’altro capo del mondo. E farlo con la consapevolezza che, dopo qualche anno, bisognerà affrontare un nuovo distacco per tornare, di certo cambiati nel profondo, nel proprio contesto di vita originario.
È la sfida che, da trent’anni, accettano con inesauribile energia i volontari dell’Alp, l’Associazione Laici Pime, nata in seguito all’Assemblea generale del 1989 (il superiore era padre Franco Cagnasso) come risposta all’esigenza di valorizzare “la dimensione laicale del carisma missionario in progetti e presenze significative” a tempo determinato. «Si voleva offrire un’opportunità a chi desiderava servire gli ultimi non attraverso una ong ma con il Pime, secondo tutti i suoi valori, però da laico», traduce Simonetta Redaelli, membro del Direttivo Alp.
Dal 1990, anno dei primi invii, le partenze sono state ottanta: giovani o famiglie, provenienti dai contesti e dagli ambiti professionali più disparati, “prestati” alla missione per tre o cinque anni (c’è poi chi ha rinnovato il suo impegno per un secondo mandato). «Se c’è una cosa che in questi 30 anni non è cambiata è la presenza di persone pronte a lasciare tutto, nonostante le incognite sull’organizzazione della propria vita al rientro», afferma Simonetta, lei stessa per due volte in missione in Camerun, dal 2002 al 2006 e dal 2011 al 2015, in entrambi i casi dopo essersi licenziata da un impiego a tempo indeterminato come educatrice.
«A essere diversa invece è la situazione sociale italiana, caratterizzata oggi da più precarietà sul fronte economico e professionale: per questo mi sembra che la scelta di partire rappresenti una grande testimonianza, anche di fede».
Questi tre decenni, in realtà, hanno anche visto crescere la consapevolezza all’interno dell’Istituto sul ruolo dei volontari laici come protagonisti dell’opera del Pime. «Se all’inizio, e per molto tempo, le partenze erano legate principalmente alla richiesta di un singolo missionario, oggi si tratta di invii fatti dalla Direzione generale a una Regione: quindi è tutto l’Istituto che, localmente, accoglie il laico dell’Alp», spiega ancora Simonetta. «Un segno molto bello è il fatto che di recente la stessa Direzione generale abbia chiesto che i volontari, là dove sono mandati, partecipino alle assemblee regionali insieme ai consacrati, come membri a tutti gli effetti della grande famiglia Pime».
Un passo significativo, conferma padre Pierfrancesco Corti, assistente spirituale dell’Alp con 17 anni di missione in Bangladesh alle spalle: «Per noi era naturale coinvolgere nei momenti di confronto i volontari laici e pian piano sta diventando chiaro che si tratta di un contributo importante al cammino comune».
I missionari dell’Alp, infatti, non partono semplicemente per diventare “manovalanza” di qualche progetto umanitario: «Ciò che chiediamo loro è una testimonianza della propria fede, ognuno attraverso il suo stato, la sua professionalità, le sue scelte», spiega padre Pierfrancesco. «Nella quotidianità, raccontando alle persone il motivo che li ha spinti in mezzo a loro, mostrano i tanti volti diversi dell’essere cristiani».
Un compito grande, che richiede di prepararsi bene. Non a caso il cammino di formazione Alp dura ben due anni. «Sembrano tanti, ma è il tempo necessario per verificare il desiderio di partire e di farlo con il Pime», assicura Simonetta Redaelli. «Ci incontriamo a Busto Arsizio (Va), un fine settimana al mese, e durante questi weekend i volontari hanno modo sia di conoscere i valori dell’Istituto sia di compiere un discernimento sulle motivazioni profonde della propria scelta. I formatori, da parte loro, hanno tempo di approfondire la conoscenza dei singoli e capire in quali contesti potrebbero inserirsi, anche alla luce delle richieste che arrivano dall’estero. Nessuno viene “buttato allo sbaraglio”».
L’attenzione verso il percorso personale di ognuno è fondamentale. «Se è vero che i primi ad avvicinarsi all’Alp sono spesso i giovani che hanno già fatto qualche cammino con il Pime, a contattarci sono anche – e mi sorprende – persone che vengono a sapere di noi attraverso il sito web, Mondo e Missione o il passaparola, e che decidono di approfondire questo desiderio in embrione di mettere la loro vita al servizio della missione», racconta Simonetta. Di solito la fede ha un ruolo chiave in questa scelta, «ma c’è anche chi si riavvicina alla spiritualità proprio attraverso la formazione, o chi vuole rimettere in gioco il suo percorso religioso con un’ottica più missionaria».
Quanto ai contesti di provenienza e alla situazione personale dei volontari, sono i più disparati. Ci sono i single, le coppie, le famiglie. Come Chiara Falco e Andrea Guerra, in Brasile da un anno e mezzo, insieme alla piccola Matilde di quasi tre anni e ora a un fratellino in arrivo. Originari di Cinisello Balsamo (Mi), per i due giovani il Pime era stato da sempre “di casa”: «Fratel Enrico Meregalli, in India dal 1974, viene dalla nostra parrocchia, dove abbiamo avuto vari seminaristi dell’Istituto, mentre nel 2004 il nostro educatore del gruppo giovani ci accompagnò proprio in Brasile, in Amazzonia, dove operavano i padri Giuliano Frigeni, Enrico Uggè, Vincenzo Pavan. Senza contare una parentela di Andrea con padre Mario Ghezzi», racconta Chiara (foto pagina accanto). Proprio in Cambogia, dove era impegnato padre Mario, i due ragazzi hanno vissuto alcune esperienze di servizio e – nel caso di Chiara, ricercatrice in Economia dello sviluppo – di lavoro accademico.
«Fu naturale, quando ci sposammo nel 2013, chiederci: “Vogliamo continuare con queste presenze estemporanee o intendiamo impegnarci in modo più serio?”». Iniziò quindi la ricerca del contesto adatto attraverso cui far crescere il desiderio, ancora in seme, di partire per qualche anno di servizio missionario. «Alla fine scegliemmo l’Alp sia perché garantiva i due anni di formazione, sia per la disponibilità a valorizzare la professionalità dei laici, una dimensione importante per me e Andrea, che è giornalista».
E così dopo che la prima bimba, Matilde, ebbe compiuto un anno, a marzo del 2019 la famiglia Guerra atterrò a San Paolo, in Brasile, dove oggi lavora per la ong Conosco, una grossa realtà nella periferia sud della metropoli gestita da una coppia di laici formati dai padri del Pime. «Conosco possiede diversi centri diurni per bambini e giovani, una struttura per famiglie e una per il recupero di minori segnalati dai servizi sociali, per un totale di 800 ragazzi», racconta Chiara. «Mentre Andrea lavora soprattutto sul fronte della comunicazione, gestendo il sito e le pagine social e tenendo un corso per adolescenti sui media, io sono più coinvolta nella parte amministrativa e nella programmazione pedagogica».
La coppia aveva anche iniziato a fare catechismo in parrocchia, quando la pandemia di Coronavirus si è abbattuta sul Brasile, sconvolgendo, insieme alla vita di tutti, i ritmi quotidiani della famiglia Guerra. «Con il lockdown tanta parte del lavoro si è trasferita on line, mentre ci siamo messi al servizio di padre Bosco Dowkuri, parroco nella favela di Americanopolis, per portare aiuti materiali ai molti bisognosi della sua comunità».
Qual è la forza dell’essere in missione in coppia e con dei figli? «Qui, dove la situazione familiare è pessima – mariti assenti, violenza domestica, problemi di alcol e droga -, cercare di vivere uno stile di rapporti diverso in casa è già una testimonianza preziosa», afferma Chiara. E se l’obiettivo è «condividere con questa gente un pezzo della nostra vita», è più facile se si vive la stessa realtà quotidiana: i figli all’asilo, un lavoro, una casa da gestire. Una vicinanza che suscita domande sulla ragione di una scelta così forte. Perché lasciare tutto non è facile, ancor più in tempi di crisi. «Per me e Andrea è stata dura rinunciare al nostro lavoro. Per questo abbiamo apprezzato che l’Alp ci abbia incoraggiato a mantenere alcuni legami professionali: ci è sembrato un segno concreto di attenzione alle esigenze dei laici».
D’altra parte, spiega Simonetta, «la natura dell’Alp implica che chi parte, fin dall’inizio, operi affiancando le persone locali senza protagonismo, nella consapevolezza che a un certo punto lascerà ciò a cui ha contribuito per tornare a casa. E, qui, sarà chiamato a rimettere in gioco la sua esperienza all’interno della sua comunità, della Chiesa, sul fronte professionale o familiare».
Quello dei laici, dunque, è uno dei volti nuovi della missione, che «è viva e sa sperimentare forme inedite», sottolinea padre Corti. «La nostra scommessa è fare conoscere sempre di più la ricchezza della proposta dell’Alp: sia all’interno del Pime, così che tutti i confratelli si rendano conto del dono prezioso di questi volontari e li accolgano con entusiasmo, sia fuori, per intercettare la disponibilità di servizio che emerge da tante parti, spesso inaspettate». Senza schemi immutabili. Non a caso, il Pime sta valutando di aprire il cammino dell’Alp, con modalità nuove, a volontari disposti a garantire il loro impegno per periodi più brevi, da uno a sei mesi. «Il messaggio uscito dall’Assemblea generale è chiaro: il Pime crede nella missione dei laici e vuole valorizzarla». Il resto sta alla creatività dello Spirito, e a quella di chi cerca di interpretarne il soffio.
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