L’esperienza di padre Alberto Caccaro, fra testimonianza, poesia e meditazione, in un nuovo libro che raccoglie le sue lettere dalla Cambogia
«Nel leggere le lettere di padre Alberto non si può non restare colpiti, non dalla “vita”, come frettolosamente sostengono i realisti convinti che i fatti siano più importanti delle parole, ma dall’“esperienza” ch’esse comunicano, e tale esperienza sarebbe certamente rimasta nell’ombra senza certe parole, senza un certo modo di scrivere e raccontare». È il filosofo Silvano Petrosino a inquadrare nella sua prefazione il senso di “Al di là del Mekong” – il libro che raccoglie le lettere del blog di padre Alberto Caccaro, missionario del Pime in Cambogia ed ex direttore del Centro missionario di Milano, che arriva in questi giorni in libreria per i tipi di Fondazione Pime (pp. 176, euro 10).
Non si tratta semplicemente di una raccolta di testi. «Ciò che queste pagine offrono a chi ha orecchi per intendere e occhi per guardare – precisa Petrosino – è molto di più di un’analisi puntuale di determinate situazioni geografiche o di un’accurata interpretazione di certi fenomeni sociali, rivelando piuttosto l’abitare di un uomo di fede nella carne del mondo. E ciò non mi sembra affatto poco, visto che sono ancora molti coloro che sono fermamente convinti che la fede, qualsiasi fede religiosa, non riesca a frequentare altro che i “retro-mondi” affollati, nella migliore delle ipotesi, da pie illusioni e buoni sentimenti».
E, infatti, le lettere di padre Alberto sono spesso spiazzanti, perché pongono questioni che interpellano ciascuno nel profondo. Ci sono certo i racconti di persone, situazioni, miserie e speranze che incontra quotidianamente nella sua vita di missionario e nel suo impegno di educatore nella Prefettura apostolica di Kompong Cham. Ma ci sono anche molte riflessioni, spunti, provocazioni che nascono dalle sue passioni – per il Vangelo innanzitutto, ma anche per la poesia e per alcuni autori di riferimento, da Giussani a Recalcati, da Péguy a Galimberti – e dalle sue interrogazioni: sul senso della vita, la fede, l’incontro, l’amicizia e la trascendenza. E molto altro.
Pure il Covid-19 entra in queste pagine, con il suo carico di sofferenze e di lontananze: «Dopo una simile pandemia, se non fosse per la generosità e la prontezza testimoniate da molti, dubiteremmo anche di Dio», scrive il missionario. Che non si sottrae anche al confronto con la morte (compresa quella delle persone più care): «Vivere la vita e affrontare la morte come parti di una stessa avventura nuziale corrisponde a quanto la Scrittura lascia presagire», riflette padre Alberto, che riporta continuamente il pensiero al suo nucleo più essenziale. E a quello che – ancora oggi, a 25 anni dall’ordinazione sacerdotale – lo riconduce al senso di una scelta che chiede di essere rinnovata sempre: «Quante volte avrei voluto tornare indietro – si confessa -, riavvolgere il nastro della mia vita missionaria, riscriverla di nuovo. Quante volte mi sono messo alla ricerca di quel tempo perduto. Quante volte il senso di colpa mi ha messo fretta e solo l’esperienza della fede mi ha spinto a cercare una porta che fosse per me un accesso pieno al mondo di Dio che è Misericordia. Una misericordia che mi fa amare la vita».
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