Il matrimonio celebrato pochi giorni fa, tra Mien e Srey Pech, è stato un dono speciale per questo Natale. Mi rendo conto che senza il Mistero dell’Incarnazione di Gesù non avrei mai potuto sostenere e annunciare la puerile certezza che Dio avrà cura del loro amore
«Tutti noi siamo qui per il “si” di una donna, …
“l’apice della creazione, la rugiada dell’Altissimo”» R. Benigni (1)
Il matrimonio celebrato pochi giorni fa, tra Mien e Srey Pech, è stato un dono speciale per questo Natale. Mien è un giovane cattolico rimasto orfano di entrambi i genitori, non perché sono morti, ma perché lo hanno abbandonato quando era ancora bambino. Cresciuto con il fratello maggiore, è rimasto di corporatura minuta, esile ma tenace, con una dignità fatta di silenzio e ritrosia piuttosto che di parola e di forza. Quanto a sua moglie invece… dovreste vederla… sembra ancor più scricciola di lui! Ebbene, per l’occasione, Mien è riuscito a rintracciare suo padre e ad averlo con sé per la celebrazione delle nozze.
La storia è cominciata cinque anni fa quando Mien ha chiesto di ricevere il Battesimo, convinto che «con Dio accanto nessuno è più orfano». Dopo la celebrazione del matrimonio, mi ha chiesto il permesso di diffondere le immagini del rito, «perché anche altri amici possano vedere la liturgia del Matrimonio cristiano e chiedere il Battesimo»! Ora è contento, non conserva rancori, né acredine. È proprio vero che la statura di un uomo non dipende dai suoi centimetri. Molto probabilmente, con la moglie, si prenderà cura della piccola chiesa di Memot, sua città di origine vicina al confine con il Vietnam. Per loro, l’inizio della vita come famiglia e la custodia della piccola comunità cattolica, saranno un unico impegno, un medesimo progetto nuziale.
Attratto dall’imminente Natale, mi rendo conto che senza il Mistero dell’Incarnazione di Gesù, di fronte a Mien e Srey Pech novelli sposi, non avrei mai potuto sostenere e annunciare la puerile certezza che Dio avrà cura del loro amore. Solo perché Gesù è nato e ha dato un corpo all’alleanza nuziale fra la natura dell’uomo e quella di Dio, ho potuto consapevolmente dire ai novelli sposi che vi è un legame, una cura divina per la loro storia umana. Per la loro nuova casa e per quell’unica carne che sono diventati. Solo perché Gesù è nato. Da Betlemme in poi, dunque, la natura umana e quella divina vanno a nozze! Riescono a pensarsi insieme, come un’unica carne, come un unico destino.
A volte mi chiedo, che ne sarebbe della storia del mondo senza il Cristo. Senza la Sua nascita, le Sue meravigliose beatitudini, la Sua passione e morte, i Suoi dogmi. Scomodi e resistenti a qualsiasi ideologia. Che ne sarebbe di noi, dei nostri amori e dolori, senza questo destino nuziale, umano e divino, inaugurato dal “si” benedetto di Maria. Che meraviglia, che anche Dio si sia trovato da queste parti per il “si” di una donna. «Tutti noi siamo qui per il “si” di una donna – dice Roberto Benigni – e anche l’Onnipotente ha avuto bisogno che una donna gli dicesse “si”»!
C’è però in questa storia qualcosa che non quadra. Si fatica a pensare Dio da così in basso, vincolato al “si” di una creatura. L’Assoluto-divino, se è tale, non può essere riferito ad «alcuna realtà finita, sia pure l’esistenza umana del Figlio-di-Dio-fatto-uomo» (2). Seguitemi per favore, perché salto dalle nozze di Memot alle questioni più complesse della teologia. Devo farlo! Urge dentro di me lo stupore della fede come convocazione d’ogni istante alle nozze con Lui.
Ebbene qui non è a tema solo l’assolutezza di Gesù, vero rompicapo dei teologi, ma la strada per arrivarci! Se sia davvero Lui il Salvatore assoluto o costitutivo, dopo essere stato detronizzato dal peso della Sua carne, rimane questione ancora aperta, rimessa alla libertà e allo sguardo di ciascuno. Come per il centurione (Mc. 15,39) che pur estraneo a Gesù, «avendolo visto spirare in quel modo, disse: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Quello che invece mi è più chiaro è che dopo l’Incarnazione del Figlio di Dio, l’assoluto o l’assolutezza interessano a Dio nella misura in cui hanno a che fare con la «realtà finita». Con l’«uomo concreto (…) sprofondato nella sua carnalità: lui e nessun altro è la mira di Dio, con lui Egli vuole diventare una cosa sola, anzi realmente una sola carne» (3). Questo mi importa. Che ogni «libbra di carne» (4) possa essere assunta, benedetta, impreziosita dallo sguardo di Dio. Dopo l’Incarnazione l’assolutezza di Cristo non ci spinge a tra-scendere il reale, ma a scendere-tra, deviando il cammino di Dio verso la storia di ogni uomo (5), verso le nozze di Mien e Srey Pech, il loro mettere su casa e, speriamo, generare figli. Queste cose sono «la mira di Dio», il Suo assoluto rovesciato, il vertice che Lui cerca, nascosto nel frammento di una «libbra di carne».
- https://www.youtube.com/watch?v=tU2A3PcFvJk
- J. DUPUIS, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Brescia 1997, 381. La questione di Gesù Salvatore assoluto o relativo o costitutivo, è al centro della riflessione di Dupuis circa la presenza e il ruolo delle diverse religioni nel mondo. Riflessione tutt’altro che conclusa e meritevole di essere portata avanti.
- H.U. VON BALTHASAR, Teologica, II, Verità di Dio, Milano 2002, 191-192.
- R. GABOARDI, «Un Dio a parte». Che altro? Jacques Lacan e la teologia, Milano 2016, 476.
- Su questa particolare “deviazione” del cammino, tratto originale della fede cristiana, si veda S. PETROSINO, Il sacrificio sospeso. Lettera ad un amico, Milano 2000, 55 e ss.