L’augurio di Natale del direttore del Centro missionario Pime di Milano: «Non c’è tempo di fermarsi a lamentarsi, c’è un mondo intero da raggiungere con la splendida notizia che Dio si è fatto uomo»
Quando arrivai in Cambogia, nel 2000, nessuno sapeva cosa fosse il Natale. Giravo per la città di Phnom Penh in moto, in camicia aperta per i 40 gradi che regnavano, cercando qualche segno della festa alle porte. Nulla da fare. Me ne tornavo a casa con gli occhi vuoti di Natale, un vuoto fastidioso per me che volevo “vedere” quella festa così importante fin da quando ero piccolo e attendevo Gesù bambino che avrebbe portato i regali nella notte tra il 24 e il 25 dicembre.
Solo pochi anni dopo, i segni del Natale arrivarono anche in Cambogia: festoni, abeti sintetici, luci colorate, Babbi Natale di tutte le fogge, neve finta spruzzata sulle vetrine, ma non un presepe, non un’immagine di Gesù bambino o della Sacra famiglia. I giovani iniziarono poi a celebrare saltando le lezioni all’università per scambiarsi regali. Ma non sapevano perché.
Un giorno andai al mercato per far riparare il cellulare dal rivenditore di fiducia. Era il 23 dicembre. Vidi dietro il bancone tutta la famiglia seduta sulle stuoie che banchettava. Domandai all’uomo: «Che cosa festeggiate?». «Il Natale», mi rispose con convinzione. Dissi: «Ah, ma siete cristiani?». «No». «Ma sapete qual è il significato di questa festa?», chiesi. Rispose: «Non proprio, per noi è solo un’occasione per festeggiare con i famigliari». Me ne andai contento perché pensai: qui abbiamo un sacco di spazio per annunciare la Buona novella di Dio che si fa uomo.
Oggi in Italia incontro cristiani, suore e preti spesso disorientati perché ci troviamo di fronte a una società che vive il Natale con lo sguardo distratto del riparatore di cellulari di Phnom Penh. Si mette l’accento sul fatto che il cristianesimo ha perso terreno, che la gente non va più in chiesa, che i nostri giovani non credono più, e ci si dimentica della cosa più importante: annunciare che Dio si è fatto uomo. Non c’è tempo di fermarsi a lamentarsi, c’è un mondo intero da raggiungere con questa splendida notizia! C’è da camminare lungo le strade delle nostre città come in quelle di Phnom Penh e raccontare alle persone che Gesù nasce uomo per spingere l’uomo stesso oltre la barriera della sua umanità e indicargli la sua vocazione divina. Raccontare che Lui è un Dio che è una profezia continua per ognuno, perché indica sempre un “oltre” che sta proprio nella nostra carne.
La forza del cristiano è la coscienza di quello che l’incarnazione vuol dire per la sua stessa vita e per la vita dell’umanità intera, una coscienza che lo spinge a dire a chiare lettere la bellezza e il fascino di questo mistero.
La notte di Natale, se dovessimo notare la nostra chiesa un po’ più vuota dello scorso anno, non lasciamoci adombrare dallo sconforto ma pensiamo: che bello! Ho un sacco di lavoro da fare, di spazio da riempire con la Buona notizia di Dio che nasce uomo. Uomo proprio come me! “Battezzati e inviati”, ci ha detto Papa Francesco nell’Ottobre missionario, inviati a dire la bellezza dell’incarnazione.