La missione tra necessità e dono. Un saggio del teologo Roberto Repole rimette la missione al centro della Chiesa. E non viceversa. Insistendo sui temi suggestivi e fecondi della gratuità, della relazione e della gioia
Sorto nel 1850, in un periodo in cui prevaleva il pensiero della dannazione eterna degli infelici pagani, il Pime inviava nel mondo missionari disposti all’eroismo per salvare il maggior numero di anime. Era questo lo scopo della missione, e per molto tempo «la teologia si è chiesta angosciata quanti, tra la massa dannata, si sarebbero potuti salvare» (K. Rahner). I missionari salvavano le anime e fondavano la Chiesa, nella convinzione che al fuori di essa non c’era salvezza.
Roberto Repole, già presidente dell’Associazione Teologica Italiana, ha scritto un impegnativo saggio in cui tratta, con una visione piuttosto innovativa, la teologia della missione, superando la prospettiva angusta della sua necessità per la salvezza delle anime. Il volume “La Chiesa e il suo dono. La missione fra teologia ed ecclesiologia”, si sofferma sulle comunità cristiane dei Paesi occidentali, ma apre, al contempo, uno sguardo universale. È un volume dai contenuti molto ampi, di cui proponiamo solo alcuni spunti.
È bello che un teologo italiano si confronti con il tema della missione. In molte scuole teologiche questa disciplina non è inclusa nel piano degli studi. Tuttavia non manca, in Italia, la qualità della riflessione teologica, manca piuttosto una consapevolezza ecclesiale diffusa sul significato pervasivo della missione. Con lo studio profondo e appassionato di Repole, si fa un deciso passo in avanti.
Già il Concilio Vaticano II aveva fondato la teologia missionaria su basi nuove. La missione non è reclutamento degli altri per portarli nel proprio gruppo (J. Ratzinger), ma una cosa buona che si diffonde da sé, un bene che va condiviso. L’origine teologica della missione non è l’angoscia per una necessità assoluta, quella di battezzare i pagani per strapparli alla perdizione, ma un dono libero, che ha la sua origine e la sua destinazione nella Trinità.
Il saggio di Repole muove dalle acquisizioni del Concilio, e grazie a uno straordinario approfondimento – filosofico, biblico e teologico – circa il significato di dono, reimposta la teologia della missione proprio su questo suggestivo e fecondo concetto. Un’idea che sta già tutta nel titolo: “La Chiesa e il suo dono”. Dono che è suo, di Dio.
Ma che cosa è in gioco con il dono? La risposta non è scontata. L’autore percorre un itinerario suggestivo poiché il dono ha a che fare con la vita. Se Jacques Derrida ritiene che il dono sia impossibile, in quanto sancirebbe la disuguaglianza tra chi dà e chi riceve, Repole sostiene che il dono è invece possibile, altrimenti l’utilità economica rimarrebbe l’unica regola della realtà. Il dono autentico, del resto, non è economico, è “in-utile”, cioè non utilizzabile. Il dono c’è, e ha la forza di creare relazioni e legami sociali. Proprio la ridondanza, lo squilibrio e l’asimmetria del dono lo rendono libero, impossibile da catalogare in logiche utilitaristiche. Il dono, dunque, non è nell’ordine della necessità, ma della gratuità. Se Dio si dona gratuitamente – e il suo dono è ridondante, squilibrato e asimmetrico (cioè impossibile per noi da uguagliare) – il dono è solo dono, e genera solo la libertà di accoglierlo.
Questo vale anche per la missione. Non è la “necessità” il suo fondamento, ma la gratuità e la libertà del dono ricevuto dalla Trinità. Non è la Chiesa che fa la missione, che salva le anime: «La Chiesa non ha una missione, è la missione ad avere una Chiesa». Il dono che viene da Dio suscita una comunità di fratelli e sorelle che liberamente e gioiosamente lo accolgono.
Repole ha pagine molto belle che descrivono la comunità cristiana come il luogo dove, attraverso la pratica dell’ospitalità, si rilancia gratuitamente il dono ricevuto. L’ospitalità, infatti, non è assimilazione degli altri nel proprio schieramento; rispetta l’alterità, accogliendola fraternamente. Per Repole ospitalità e fratellanza sono le dimensioni fondamentali delle comunità dei discepoli di Gesù: il dono supera la fissazione gerarchica della Chiesa. Non c’è nessuna piramide, neanche rovesciata. Se la vita cristiana è gioia per un dono libero e “in-utile”, i cristiani non hanno motivo di vivere nell’angoscia. Repole si chiede come mai allora ci sono tanto scoraggiamento, stanchezza e abbandono nelle comunità ecclesiali. Forse perché, afferma l’autore, non hanno ancora metabolizzato e accettato ciò di cui molti sociologi hanno acuta consapevolezza: ovvero la fine della cristianità in Italia e nei Paesi occidentali. Cristianità intesa come fondamento pubblico della vita sociale, che si è sgretolata in conseguenza dei fenomeni contemporanei di secolarizzazione, post modernità, globalizzazione e pluralismo religioso.
Repole si spinge a rilevare che i programmi pastorali di nuova evangelizzazione e persino quelli di “Chiesa in uscita” sono carichi di volontarismo incapace di fare conti con la nuova realtà, e cioè con il fatto che la gente non ha più come riferimento la vita di fede organizzata dalla Chiesa. Forse quei piani pastorali tendono a riproporre la fede come “necessità” e non come dono gratuito. Inoltre, secondo Repole, progetti pastorali o missionari fatti soprattutto di grandi eventi e battaglie culturali possono finire con lo scoraggiare le comunità ecclesiali, chiamate a realizzare obiettivi che non hanno successo. Da qui scaturirebbe anche un senso di colpa per il fatto che il mondo è sempre meno cristiano.
Questo, almeno, da una prospettiva occidentale. In molti Paesi, in particolare dell’Asia, il fenomeno della secolarizzazione non è ancora così pervasivo come in Occidente. E il cristianesimo non si è trasformato in “cristianità”: le comunità ecclesiali sono infatti minoranze, qualche volta persino discriminate. Il dialogo interreligioso in Asia (e non solo) non è una novità: da lungo tempo la Chiesa ha accolto, con profonda consapevolezza teologica, il dialogo fra credenti di diverse tradizioni come una via previlegiata della missione. Su questo punto le Chiese asiatiche hanno un’esperienza sul campo e una elaborazione teologica che possono essere un dono per le comunità ecclesiali nel mondo occidentale, diventato solo di recente religiosamente plurale.
Ripensare la missione
R. Repole,
La Chiesa e il suo dono. La missione fra teologia ed ecclesiologia (Queriniana 2019, pp. 432, euro 30).
Una riflessione articolata per uscire da vecchi schemi e assumere fino in fondo la necessità di rileggere la missione ecclesiale dentro un contesto, come quello occidentale, profondamente e visibilmente mutato. A partire da un nuovo paradigma: quello del dono.