Su Tv2000 i missionari in presa diretta raccontati dall’ex “Iena” Max Laudadio. Che ci anticipa l’incontro con loro e il suo personale cammino di fede
«Prima di realizzare “Missione possibile” non avevo un’idea precisa di cosa facessero realmente i missionari e di quale fosse la spinta che li animava. Li vedevo come supereroi, gente che aveva fatto una scelta di vita certamente coraggiosa, ma tutto sommato riservata a pochi. Arrivato sul campo ho incontrato persone normali e, tuttavia, differenti da tutti gli altri per una cosa: hanno capito che in qualsiasi situazione, nonostante difficoltà e problemi di ogni genere, c’è comunque la possibilità, che Dio assicura a chi crede, di portare almeno una briciola di speranza e di bene».
A parlare così è una persona che non t’aspetti: Max Laudadio, 46 anni, conduttore radiofonico e inviato per le reti Mediaset. Già nella squadra delle “Iene”, da alcuni anni lavora per “Striscia la notizia” e gira l’Italia per denunciare ingiustizie, malasanità, abusi di potere… Dal primo ottobre lo vedremo su Tv2000 in un programma nuovo, presentato al Festival di Venezia lo scorso 8 settembre: “Missione possibile”, appunto, che racconterà, in una serie di puntate, la storia, la vocazione e l’attività di alcuni missionari sparsi in angoli “difficili” del pianeta: la baraccopoli di Waf Jeremie ad Haiti, Madaba in Giordania, i villaggi più remoti del Benin e gli slum della periferia di Bangkok.
Spiega Laudadio: «Quando Paolo Ruffini (direttore di Tv2000), con il quale erano aperti da tempo dei contatti, mi ha proposto questo progetto, al momento mi sono sentito quasi “dequalificato”. Poi ho capito che poteva essere un’occasione per raccontare la missione in modo diverso, con un linguaggio televisivo innovativo, poco sperimentato. E così è stato. Non vedo l’ora che vada in onda!».
L’esperienza in missione ha toccato nel profondo Max: «In contesti estremi come Haiti – confessa – ti scontri con una realtà talmente drammatica da pensare “Qui non cambierà mai nulla”. Di più, ti nasce in cuore l’idea opposta: “Ma qui Dio dov’è?”. In realtà, proprio grazie a suor Marcella Catozza, una missionaria francescana lombarda che da anni vive a Waf Jeremie – una baraccopoli così pericolosa dove nemmeno il personale dell’Onu riesce a entrare – ho capito che quelle realtà così negative non esprimono l’assenza di Dio, ma sono frutto di sciagurate scelte umane. Se Haiti è un Paese devastato è perché, trattandosi di un posto dove la cocaina passa per essere smerciata in tutto il mondo, a molti fa comodo che rimanga un inferno».
Conclude Laudadio: «Per poter resistere emotivamente all’impatto con situazioni così degradate e per condividere nel profondo la vita dei missionari, non abbiamo potuto non assumere i loro stessi ritmi di preghiera».
Lui, sin qui, non l’ha sbandierato. Ma da un paio di anni, si è avvicinato alla fede. «Devo molto al Sermig, fondamentale nella mia conversione. Sono capitato all’Arsenale della pace, a Torino, un lunedì di due anni fa, dopo aver letteralmente divorato “Per una Chiesa scalza” di Ernesto Olivero. Il mio parroco l’aveva regalato a Bianca, mia figlia. Mi sono fiondato a Torino per incontrare Ernesto. Mi ha subito trasmesso un’energia incredibile: è una persona che mi ha fatto cancellare dal vocabolario la parola “utopia”. Siamo stati insieme per lunghe ore, con una grande sintonia spirituale. E ne sono uscito trasformato».
Ma il Sermig è stato la tappa decisiva di un cammino che era già iniziato e aveva conosciuto una serie di “dio-incidenze”. «Chiamo così – rubando il neologismo a un amico, Francesco Lorenzi, leader dei “The Sun” – quei fatti della vita che ci paiono casuali, ma che sono invece segni della Provvidenza», spiega. Una “dio-incidenza” che Max ricorda in modo particolare è stata la richiesta di Bianca di poter seguire la catechesi per la prima comunione (fino a quel momento lui e la moglie Loredana avevano pensato di fargliela fare più avanti). «Importante è stato anche l’incontro con don Silvano: un sacerdote che, pur anziano, sa radunare attorno a sé centinaia di bambini e ragazzi».
Continua il giornalista: «Tempo fa ho conosciuto Francesco Lorenzi a un concerto di beneficenza per Exodus a Verona. In quell’occasione mi aveva regalato “La strada del sole”, che narra la storia della sua conversione. “Cosa mai avrò da imparare – pensavo, sbagliando – da un trentenne che ha la pretesa di scrivere la sua biografia?”. In realtà, leggendo quelle pagine, mi sono accorto che molte delle emozioni e dei pensieri lì descritti erano anche i miei. E tutto questo ha contribuito a farmi continuare nella mia ricerca».
Da allora qualcosa è scattato. Niente folgorazioni, nessuna eclatante “caduta da cavallo”… «Continuo a fare il lavoro di sempre, ma è cambiato radicalmente l’obiettivo della mia vita. Un aiuto fondamentale mi viene dalla lettura del Vangelo – conclude Laudadio -. Non so se i miei colleghi si siano accorti o meno del mio cammino: di certo, a me interessa essere la stessa persona al lavoro e in famiglia. Ma, detto questo, non mi sento migliore degli altri».