Forte della sua esperienza di “pied-noir” in Algeria e dei suoi studi teologici in Francia, il cardinale Jean-Marc Aveline delinea una nuova prospettiva missionaria
“Il dialogo della salvezza” è il titolo del libro dell’arcivescovo di Marsiglia pubblicato da Libreria Editrice Vaticana (pp. 125, euro 14). Nato e cresciuto in Algeria, costretto con la famiglia a rientrare precipitosamente in Francia dopo l’indipendenza del Paese nordafricano, il cardinale Aveline ha sempre mantenuto un’attenzione particolare sul Mediterraneo e sull’imprescindibile tema del dialogo interreligioso, che emerge anche da questa sua “piccola teologia della missione”. Ve ne proponiamo qui uno stralcio.
La cosa più sorprendente non è che i cammini degli uomini verso Dio siano molteplici, ma piuttosto che i cammini di Dio verso l’umanità siano sempre adattati alla situazione culturale, sociale, religiosa, irreligiosa, non-religiosa o atea di ogni persona umana. […] È ormai impossibile, per vivere la missione della Chiesa, non tenere conto del contributo degli altri alla Missio Dei, cioè delle loro risposte alla chiamata di Dio, chiamata che è per tutti e che era già prefigurata dalla promessa fatta ad Abramo per la salvezza del mondo. Anche se i cristiani professano che questa salvezza è già ottenuta e offerta a tutti nel mistero pasquale della morte e risurrezione di Gesù Cristo, ciò non li esonera dal dover cercare le tracce della chiamata di Dio e del desiderio di salvezza in ogni esistenza umana poiché sono convinti, come li invita a essere la Gaudium et spes, che lo Spirito dà «a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale». Nella gioia di questa missione ad gentes, la Chiesa può inoltre, secondo il saggio consiglio di Moses Mendelssohn, ringraziare Dio per aver voluto arricchire l’unità della famiglia umana con tante differenze.
Ma questa unità non è, agli occhi della fede cristiana, una realtà legata solo alla creazione. È anche una realtà escatologica alla quale, afferma la Lumen gentium, «tutti gli uomini» sono invitati perché universalmente chiamati «alla salvezza». Il mandato missionario dato da Cristo ai suoi discepoli si colloca nell’orizzonte della promessa fatta ad Abramo, ma procede dalla vita trinitaria: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,21-22). Dobbiamo prendere atto della novità rappresentata dalla rivelazione da parte di Cristo di un Dio che è Trinità per comprendere l’espressione conciliare di «nuovo Popolo di Dio»: un popolo che lo Spirito integra gradualmente alla comunità dei credenti, «espandendola» prima ancora di ogni sforzo o strategia missionaria secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, per poi spingerla «in uscita» ad gentes, verso tutti i popoli del mondo, affinché questa comunità cooperi con lo Spirito per radunare insieme nell’unità i figli di Dio dispersi (cfr. Gv 11,52).
L’esortazione dei Padri conciliari su questo tema, nella Lumen gentium, è davvero insuperabile per la sua chiarezza: «Siccome dunque il regno di Cristo non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), la Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva» (13).
Questa è la “cattolicità” della Chiesa. Composta da ebrei e pagani sotto l’egida dello Spirito, la Chiesa accompagna il cammino di Dio verso i popoli del mondo fino ai «confini della terra», pronta a entrare in un dialogo di salvezza con tutti gli uomini «di buona volontà». Alla scuola della Vergine Maria, Madre della Chiesa, si tratta di imparare a «generare nello Spirito e nella fede nuovi figli e figlie di Dio», come ce lo ricorda Papa Francesco, attraverso la contemplazione e l’ascolto della Paro-la, attraverso la preghiera e il servizio alle sorelle e ai fratelli. […]
Del resto, quando rileggiamo la storia, non possiamo non stupirci per il posto prioritario e decisivo del servizio ai poveri nell’azione missionaria della Chiesa, come se fosse la bussola infallibile che guida il pellegrinaggio terreno dei discepoli di Cristo. I passi più significativi nell’evoluzione della teologia missionaria sono stati compiuti quando l’attenzione per i più poveri ha costretto la Chiesa a diventare più libera, audace, evangelica, disposta a convertirsi al modo in cui Dio ama l’umanità e ci chiama a viverla come fratelli. […]
Riprendendo il messaggio che Giovanni Paolo II, trentaquattro anni prima, aveva rivolto ai cristiani del Marocco, Papa Francesco, parlando ai sacerdoti e alle persone consacrate riuniti nella cattedrale di Rabat il 31 marzo 2019, ha commentato la parabola del lievito: «Gesù non ci ha scelti e mandati perché diventassimo i più numerosi! Ci ha chiamati per una missione. Ci ha messo nella società come quella piccola quantità di lievito: il lievito delle beatitudini e dell’amore fraterno. […] Quindi il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo – questo è il problema! – o una luce che non illumina più niente (cfr. Mt 5,13-15). […] Il cristiano, in queste terre, impara ad essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. […] Così, quando la Chiesa, fedele alla missione ricevuta dal Signore, “entra in dialogo con il mondo e si fa colloquio” (Ecclesiam Suam, 67), essa partecipa all’avvento della fraternità, che ha la sua sorgente profonda non in noi, ma nella Paternità di Dio».
Auspico che questo programma possa rinnovare dall’interno la Chiesa affinché sia sale della terra e luce del mondo, non secondo vanagloria mondana, ma dando corpo, con discrezione e umiltà, al lievito delle beatitudini e dell’amore fraterno.