La parrocchia di Santa Maria del Carmine, nel centro di Milano, è un esempio di ascolto e collaborazione che vede coinvolte diverse donne, impegnate volontariamente a insegnare l’italiano ai connazionali in fuga. E non solo
In una saletta colorata e accogliente, alcuni bambini seduti a ferro di cavallo cercano di ripetere i nomi delle parti del corpo umano. La pronuncia italiana un po’ “sbilenca” suscita qualche risata. Liana mostra la lavagna e scandisce a sua volta le diverse parole: testa, braccia, gambe, cuore… Il clima è sereno, i bambini vivaci. Scrivono sui loro quaderni parole nuove in una lingua che sino a qualche settimana fa non avevano mai sentito. Sono tutti scappati dall’Ucraina, piccoli profughi insieme alle loro mamme. Si sono lasciati alle spalle tutto il loro mondo: padri e familiari, amici, scuola, compagni di classe e di giochi. Alla parrocchia di Santa Maria del Carmine, nel centro di Milano, hanno trovato un luogo bello e ospitale, dove le porte sono sempre aperte. A tutti. È lo stile del parroco, padre René Manenti, scalabriniano, che è anche responsabile della parrocchia personale di San Carlo per le comunità di lingua inglese. La sua congregazione è nata per accompagnare nello spirito del Vangelo la “mobilità umana”: italiani nel mondo all’origine, il mondo in casa oggi.
Con lui c’è Lucia Funicelli dell’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo (Ascs), che promuove progetti e iniziative sia nel centro di Milano che alle frontiere. Frontiere reali come quelle di Ventimiglia e Trieste o simboliche come i luoghi dello sfruttamento di manodopera schiava tipo Borgo Mezzanone, nel Foggiano. E poi ci sono Liana, Marina, Nataliya e tante altre donne ucraine che già da alcuni anni frequentano la parrocchia. Molte di loro fanno parte dell’Associazione Ucraina Più-Milano e al Carmine si ritrovano per praticare le danze tradizionali del loro Paese.
Quando è scoppiata la guerra, Lucia si è messa al telefono: dall’altra parte c’erano appunto queste donne che conosceva bene e che avevano partecipato anche all’iniziativa “Il mondo in casa” che la parrocchia organizza ogni anno coinvolgendo le diverse comunità migranti presenti sul territorio. Insieme hanno condiviso fatiche e dolori con chi era fuggito, la preoccupazione per chi non era riuscito a scappare, l’ansia ogni volta che squillava il telefono, la paura per chi era costretto a rimanere o addirittura a combattere. Ma a unirle c’è stato sin da subito anche il desiderio di fare qualcosa per chi si è ritrovato a Milano e dintorni, con pochi riferimenti e grandi bisogni. «È stato naturale condividere la sofferenza ma anche la voglia di reagire – spiega Lucia – perché c’erano già dei rapporti molto stretti tra di noi. E così, di fronte alla catastrofe della guerra e delle migliaia di persone in fuga, ci siamo confrontati e abbiamo deciso insieme di creare uno spazio sicuro e accogliente e garantire qualche servizio come le lezioni di italiano. Questo ha reso la nostra collaborazione ancora più solida».
Detto, fatto! Padre René ha messo a disposizione gli spazi della parrocchia, anche per l’accoglienza di tre nuclei: due mamme con bambini e una giovane coppia; Lucia ha gestito l’organizzazione; Liana e le altre donne ucraine si sono messe a disposizione come volontarie per l’insegnamento.
«Nel giro di pochissimo – interviene padre René – siamo riusciti a far partire le lezioni di italiano. Al primo incontro si sono presentati in cinquanta. Attualmente abbiamo una novantina di adulti, in grandissima maggioranza donne, e una quarantina di bambini. Una volta di più ci siamo resi conto che le relazioni fanno la differenza!». I corsi si tengono tre volte la settimana grazie all’impegno volontario di tre donne ucraine: Liana, Nataliya, Marina, insieme a Giovanni, Lina e Monica, queste ultime missionarie secolari scalabriniane. «Sono momenti preziosi non solo per l’apprendimento della lingua – precisa Liana – ma anche per stare insieme e vivere spiragli di normalità». Liana ci sa fare con i bambini. Del resto, insegnare è il suo mestiere. Vive in Italia da vent’anni, ma tutta la sua famiglia è in Ucraina. «I miei genitori sono venuti a trovarmi pochi giorni prima che scoppiasse la guerra. Assolutamente per caso. Né io né loro avremmo mai immaginato quello che sarebbe successo». Da allora, non ha un attimo di respiro. È continuamente sollecitata da richieste di aiuto. Con le altre donne dell’Associazione Ucraina Più-Milano si sta impegnando a più livelli, così come con la parrocchia e l’Ascs.
Con il bel tempo primaverile, già si progettano gite per conoscere la città o merende per condividere un gelato, ma anche momenti di gioco con gli altri bambini della parrocchia, per favorire i processi di integrazione. I più piccoli si lasciano facilmente coinvolgere, mentre quelli più grandicelli se ne stanno un po’ in disparte. «Non sono particolarmente interessati a imparare l’italiano – fa notare Liana -. Vorrebbero tornare a casa il prima possibile. E, intanto, chi ne ha la possibilità segue le lezioni a distanza, attraverso la Dad». Sembra quasi un miracolo. Ma nelle regioni o nelle città meno colpite dalla guerra, le scuole si sono organizzate per permettere agli studenti sfollati o profughi di proseguire l’anno scolastico con i loro insegnanti e compagni. E anche se qui si tengono un po’ in disparte, pure questi ragazzi partecipano alle lezioni di italiano, standosene su un divano pieno di cuscini colorati accanto al quale si erge una colonna di cubi con la scritta: “Più ponti, meno muri”. Un messaggio che risuona profetico e dirompente in giorni in cui i muri della propaganda e dell’odio si ergono più alti che mai a ostacolare ogni tipo di dialogo.
Padre René insiste sull’importanza dell’ascolto e della collaborazione: «Solo in questo modo si possono avviare percorsi condivisi e rispondere alle necessità. E creare appunto dei ponti. A cominciare dalle relazioni». «Il legame con la comunità ucraina – fa notare Lucia – è sempre stato forte e lo dimostra il fatto che nel 2021 tra le 251 donne seguite dal progetto Wasi, 62 erano di lingua ucraina». Wasi (che significa “casa” in lingua quechua) è uno spazio di ascolto, confronto e condivisione in varie lingue (inglese, spagnolo, ucraino, russo, portoghese, arabo e tagalog) per donne migranti, che necessitano di un supporto psicologico per superare difficoltà e traumi legati al delicato processo migratorio.
«Con ogni probabilità intensificheremo questo servizio – continua Lucia -. Abbiamo già avuto la disponibilità di due psicologhe ucraine, che però in questo momento sono oberate di richieste. Stiamo pensando di attivare dei percorsi specifici anche per i bambini, sebbene siamo consapevoli che serviranno attenzioni maggiori». Attualmente il progetto Wasi vede coinvolte una quindicina di donne ucraine seguite individualmente e tre gruppi di auto-mutuo-aiuto. Il supporto psicologico in lingua è risultato indispensabile sin dai primi momenti dell’emergenza per affrontare i traumi della guerra e della migrazione in un altro Paese, ma anche l’instabilità familiare. Inoltre, sin dalle prime settimane la disponibilità e la generosità dei volontari e della comunità hanno reso possibile la raccolta e la distribuzione di prodotti per l’igiene personale e di materiali didattici per i bambini, ma anche la distribuzione di voucher per la spesa a 35 famiglie individuate tramite l’Associazione Ucraina Più-Milano. Con la speranza che questa emergenza possa finire al più presto.