Durante l’assemblea dei primati – in corso a Canterbury – Justin Welby ha raccontato: «A 18 anni fu il vigore nella relazione con Cristo che vidi in Kenya a dare una svolta alla mia vita». Parole pronunciate proprio mentre la Comunione anglicana rischia una nuova accentuazione della frattura tra Occidente e chiese del Global South
«È vero, l’Africa Orientale, fu evangelizzata dai missionari, ma fu l’East African Revival a tracciare il cammino verso la santità, verso uno stile di vita vigoroso nel rapporto con Cristo, che impressionarono così tanto un diciottenne che all’epoca prestava servizio alla Kiburu Secondary school (in Kenya ndr). E quello stesso diciottenne di allora poi ha fatto cadere il seme del vangelo in un terreno ben preparato quando tre vescovi ugandesi, guidati da Festo Kivengere, sono venuti in Inghilterra nel 1975. Ed è stato poche settimane dopo che ho deciso di donare la mia vita a Cristo. Così nella mia vita è stata la fede del Kenya e dell’Uganda, attraverso l’esperienza del Revival, a concurmi sulla strada della salvezza. E non lo dimentico».
Con queste parole – lunedì – l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana, ha reso omaggio al contributo dell’Africa all’identità dell’anglicanesimo di oggi. Lo ha fatto partendo dalla sua storia personale: il giovane Welby – a diciott’anni in un periodo delicato della sua vita, dopo la separazione dei genitori – visse un anno sabbatico in una missione della Chiesa anglicana in Kenya tra la fine degli studi superiori e l’inizio dell’università. Ma la storia personale di Welby è anche una dato di fatto più generale in una realtà come la Comunione anglicana di oggi, dove la maggior parte degli 85 milioni di fedeli vive oggi in Africa (con le Chiese della Nigeria, del Kenya e dell’Uganda che da sole contano quasi la metà della popolazione anglicana).
E non è un caso che questo omaggio pubblico Welby abbia deciso di compierlo proprio nel discorso di apertura dell’Assemblea dei primati, in corso fino a sabato a Canterbury. In queste ore si sta infatti consumando un nuovo capitolo del confronto aspro all’interno della Comunione anglicana, in corso ormai da quando nel 2003 la Chiesa episcopaliana degli Stati Uniti ha deciso di procedere all’ordinazione di un vescovo dichiaratamente omosessuale e – insieme alla Chiesa anglicana del Canada – anche alla benedizione delle unioni gay.
Da allora un vasto schieramento di Chiese anglicane del Sud del mondo (soprattutto Africa e America Latina) si sono riunite in un organismo – il Gafcon (Global Anglican Conference) – che non si riconosce più in comunione con le due Chiese anglicane ufficiali del Nord America. La questione del rapporto con l’omosessualità è diventata l’occasione per una forte critica alla discesa a patti con la secolarizzazione, che a loro avviso avrebbe portato le Chiese dell’Occidente lontano dall’«ordine divino». E anche in Nord America ci sono parecchie comunità anglicane che sono uscite dalle Chiese ufficiali e hanno dato vita a un nuovo organismo, l’Anglican Church of Noth America, che fa parte del Gafcon ma non è riconosciuto dalle altre Chiese.
Rimasto irrisolto sotto il mandato di Rowan Williams, il precedente arcivescovo di Canterbury, ora Justin Welby – in carica dal 2013 – sta cercando di mediare per arrivare a trovare una forma che permetta di tenere insieme la Comunione anglicana. Già il fatto dui essere riuscito a radunare per l’Assemblea tutti e 38 i primati anglicani è stato un risultato importante. Ma il clima a Canterbury è comunque teso e c’è il rischio che i primati che si riconoscono nel Gafcon lascino l’Assemblea, come il primate dell’Uganda ha detto apertamente alla vigilia dei lavori.
Da parte sua Welby nel suo intervento introduttivo ha rivolto un nuovo accorato appello all’unità: «Consideriamo le divisioni tra noi come un fatto normale – ha detto ancora – ma di fatto sono un’oscenità, una negazione della chiamata di Cristo e del mandato di Cristo alla sua Chiesa».