Dal seminario teologico di Monza una riflessione di un seminarista sulla comunicazione della fede oggi: «Una fede che non racconta il suo cammino non esiste»
«Gesù: perché ci credi?». Potrebbe essere questa la domanda nascosta del convegno teologico che il seminario del Pime di Monza ha tenuto dal 15 al 17 settembre scorso e che aveva come tema “Rendere ragione della speranza cristiana”. E, si potrebbe aggiungere, all’ora della secolarizzazione. Un’epoca che, più che nei primi tempi della cristianità, ha relegato nel privato il mistero e il culto cristiano, visti oggi come una cosa che annoia, imprigiona l’uomo senza lasciarlo andare verso i vasti prati proposti dalla modernità.
Rendere ragione della speranza è mostrarla a chi non ne ha idea; ma soprattutto, è dirla a chi non ne vede più l’utilità. Tanti cristiani hanno lasciato la fede nel privato del cuore come lo imponevano i modernisti e gli illuministi. Si accontentano di vivere nel segreto, dimenticando questa parte importante della comunicazione. Perché una fede che non parla, che non dice se stessa o che non racconta il suo cammino, il suo oggetto, non esiste. La fede, l’esperienza della fede, per sopravvivere deve essenzialmente comunicarsi, cioè dire se stessa, essere trasmessa al mondo. Se non si racconta più il fatto Gesù, se Gesù non dice più cos’è a questo tempo attraverso la voce dei credenti, come credere ancora? Sarebbe un’eredità del passato, mischiato tra le mille cose della vita. È ovvio che non si tratta di fare pubblicità o di organizzare delle serate di propaganda al nome di Gesù. Però occorre ancora dire la fede cristiana a un mondo che non ne intende più parlare.
Certo, c’è chi sceglie di vivere nella clausura la sua esperienza di fede. Eppure anche così riesce a comunicarla. Un monastero, una vita consacrata è come una luce che illumina una sala; tutti entrano, vedono e si sentono al caldo. Il silenzio della consacrazione parla al mondo. La vita vissuta in un certo modo parla anche se il soggetto sta zito.
La fede è comunicazione. Il suo perché non è dire un dogma o una convenienza; ma un chiarire cos’è che ci sostiene, ci trattiene e ci mantiene così attaccati dopo più di duemila anni di storia.
Ecco perché dobbiamo continuare a chiederci: come arrivare oggi a un Gesù che non sia soltanto un discorso o un’attrazione, ma l’essenziale della vita per i cristiani?