Nel nome di Tommaso

Nel nome di Tommaso

Fondata in Kerala 50 anni fa, la Società missionaria di san Tommaso è il primo Istituto della Chiesa siro-malabarica esclusivamente missionario, che guarda al Pime come modello e ispirazione

 

Il 22 febbraio 2018 ricorre il 50mo anniversario della fondazione, a Melampara (in Kerala, India), della Società missionaria di san Tommaso apostolo (Mst). Oggi, è una grande realtà di circa 350 sacerdoti con la responsabilità di tre grandi regioni missionarie nel Nord dell’India, e una presenza in altri Paesi del mondo. La Società di san Tommaso è il primo Istituto esclusivamente missionario della Chiesa siro-malabarica, un Istituto di vita apostolica, come lo è il Pime, a cui guarda come modello e ispirazione.

La Chiesa siro-malabarica è una delle più antiche comunità cristiane esistenti al mondo, che ha le sue origini nella predicazione dello stesso apostolo Tommaso. L’aggettivo “siro” esprime l’appartenenza di questa comunità alla famiglia delle antiche Chiese orientali che hanno come lingua liturgica madre il siriaco (una lingua molto vicina all’aramaico, parlato da Gesù). L’aggettivo “malabarico” si riferisce a Malabar, antico nome geografico del Kerala, lo Stato nel Sud dell’India dove questa Chiesa ha avuto inizio ed esiste tuttora. La Chiesa siro-malabarica conta 4,5 milioni di fedeli e mostra una vitalità cristiana impressionante.

I missionari di san Tommaso incarnano la decisione dei “cristiani di san Tommaso” – così sono conosciuti nel mondo i fedeli siro-malabarici – di essere impegnati in pieno nell’attività missionaria ad gentes. Il principale fondatore dell’Istituto fu il vescovo di Pala (Kerala), mar Sebastian Vayalil (mar è l’appellativo dei vescovi della Chiesa siriana). Mar Vayalil fu un uomo con una grande visione ecclesiale e missionaria, consapevole che la Chiesa siro-malabarica era chiamata a una nuova e storica missione: aprirsi all’evangelizzazione ad gentes. Non c’è Chiesa, per quanto antica e prestigiosa, senza missione.

A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, mentre per i missionari occidentali era sempre più difficile ottenere un visto per l’India (e oggi lo è ancora di più), aumentava la consapevolezza missionaria tra i cristiani di san Tommaso. Il numero di giovani della Chiesa siro-malabarica pronti alla missione in India e all’estero ebbe una notevole impennata. Ciò fu dovuto al fatto che la Chiesa siro-malabarica aveva pienamente recuperato la propria autonomia e dignità nella Chiesa universale, dopo alcuni secoli di fortissime e indebite intrusioni e oppressioni da parte del potere ecclesiastico del colonialismo portoghese, che agiva, almeno formalmente, in nome della Chiesa di Roma. Rimanevano alcune incongruenze: ad esempio, i numerosi giovani delle comunità siro-malabariche che volevano diventare missionari dovevano entrare in diocesi, congregazioni o istituti di rito latino, e rinunciare dunque alla loro antichissima tradizione ecclesiale e spirituale.

Mar Vayalil ha intuito che occorreva dotare la sua Chiesa di un nuovo strumento, ovvero di un’associazione che sapesse interpretarne e valorizzarne la rinascita missionaria. Dal 1959 il vescovo Vayalil, in occasione della visita ad limina in Vaticano, iniziò una serie di contatti e consultazioni. I vescovi del Kerala, le autorità ecclesiali in India e a Roma e gli stessi Pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI incoraggiarono il vescovo di Pala a realizzare la sua intuizione. Fu così che si puntò alla fondazione di un Istituto di vita apostolica, come il Pime, dedicato esclusivamente alla missione.

Mar Vayalil coinvolse nella discussione i vescovi della Conferenza episcopale siro-malabarica, suggerendo che l’Istituto appartenesse a tutta la Chiesa siro-malabarica del Kerala, e fosse sottoposto alla sua gerarchia. I vescovi furono disponibili al progetto e coinvolsero in alcune riunioni numerosi sacerdoti, che poterono esprimere pareri e suggerimenti.

Le Missioni estere di Milano – da cui oggi deriva il Pime, dopo la fusione con il Pontificio Seminario dei santi apostoli Pietro e Paolo per le missioni estere, nel 1926, ad opera di Pio XI – , sono nate nello stesso modo, per volontà del vescovo Angelo Ramazzotti, che consultò e coinvolse i vescovi e i sacerdoti della regione lombarda.

Dopo circa un decennio, lo stesso mar Vayalil, il 22 febbraio 1968, dichiarò ufficialmente la nascita dei missionari di san Tommaso, alla presenza del prefetto delle Chiese orientali, il cardinale Maximilien de Fürstenberg, dell’arcivescovo Giuseppe Caprio pro-nunzio in India e dei vescovi del Kerala. Nello stesso giorno fu posta la prima pietra della Casa madre. Il 16 luglio seguente, i primi 18 membri emisero la promessa di appartenenza.

Nel 1972 è entrato nell’Istituto di san Tommaso anche un missionario del Pime, padre Abraham Ayckara, originario di Pala. Ayckara è stato un uomo di grande vita spirituale, che ha fondato nel 1979 e diretto per 12 anni l’ashram cattolico di Dev Matha, a Malikhedi (Bophal, Nord dell’India). Fu successivamente impegnato nel dialogo interreligioso nella diocesi di Ujjain (nello Stato settentrionale di Madhya Pradesh), e fu particolarmente attivo nel corso del Kumbha Mela, la principale festa religiosa indù, del 2004. Ayckara studiò l’impegno missionario della Chiesa siro-malabarica, da cui proveniva, addottorandosi su questo tema presso l’Università Gregoriana nel 1996.

Oggi, a cinquant’anni di distanza, i missionari di san Tommaso guardano alla loro storia con soddisfazione. Nella città di Pala, lo scorso novembre, si è tenuto un convegno di teologia della missione, coordinato dal vicario generale padre Jose Palakeel. È emerso che la Società missionaria di san Tommaso è una realtà ancora giovane e in espansione. Oggi conta 345 membri e 220 seminaristi, di cui un centinaio nel seminario maggiore. Ma è tutta la Chiesa siro-malabarica che è fiorente di candidati al ministero e alla vita religiosa. Pala, la culla dell’Istituto, è la diocesi indiana con il più alto numero di vocazioni. Ma, più in generale, l’India è il Paese che conta oggi il maggior numero di missionari in uscita verso il mondo.

In India esistono altri Istituti missionari: quello di san Francesco Saverio (fondato a Goa) e l’Istituto missionario dell’India, entrambi di rito latino. Non mancano le congregazioni missionarie femminili come le clarisse francescane, nate in Kerala ed espressione della Chiesa siro-malabarica, che contano ben settemila religiose.

Nonostante questa fioritura, i fedeli vivono ogni giorno grandi sfide: il fondamentalismo religioso che perseguita i cristiani; il nazionalismo che vorrebbe marginalizzare e spegnere le Chiese; il confronto quotidiano e il dialogo della vita con credenti di altre fedi. Ma tra i cristiani di san Tommaso, e in genere tra i cattolici dell’India (che rappresentano solo il 2,3% della popolazione), non si notano sfiducia o scoraggiamento di fronte alle gravi difficoltà. Anzi, sono rimasti fedeli alle loro antichissime tradizioni, nonostante innumerevoli opposizioni e incomprensioni, anche da parte – almeno nel passato – della Chiesa “coloniale”.

Secondo il direttore generale dei missionari di san Tommaso, padre Kurian Ammanathukunnel, l’Istituto si propone soprattutto di inviare missionari per l’evangelizzazione dell’India, un subcontinente con molti Stati, lingue e culture diversi. Per i missionari di san Tommaso evangelizzare altre zone dell’India, in particolare nel Nord, è un atto di uscita missionaria vero e proprio. Sono particolarmente orgogliosi della missione aperta nell’estate del 1995 nell’impervia regione del Ladakh, conosciuta come il tetto del mondo, nell’estremo Nord del Paese.

I missionari di san Tommaso si prendono cura dei fedeli della Chiesa siro-malabarica emigrati in altri Stati dell’India e in altre nazioni del mondo. Avendo accolto l’invito dei vescovi locali, oggi operano in 12 Paesi, tra cui Qatar, Tanzania, Nigeria, Brasile, Stati Uniti, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone, Inghilterra, Svezia e Italia.

Sono undici i imissionari di san Tommaso nel nostro Paese. Cinque di loro studiano, gli altri sono impegnati nell’evangelizzazione e nella pastorale, nelle diocesi di Spoleto, Latina e Lanciano-Ortona. Padre Joseph Koren, 40 anni, è parroco a Tollo, uno dei centri più importanti della diocesi abruzzese di Lanciano-Ortona. È in Italia da 9 anni, e si sente pienamente missionario, come lo fu nei cinque anni trascorsi nel Nord dell’India. «In Italia siamo impegnati nella nuova evangelizzazione. Sono contento di essere qui, la gente ci vuole bene. Anzi, ci sembra che dopo il nostro arrivo in questa parrocchia, la vita cristiana abbia più vitalità».

A Ortona opera tuttora anche padre George Kudukkamthadam. La loro è una presenza di grande significato. Il duomo della città, infatti, conserva le reliquie di san Tommaso apostolo, dopo che – secondo una ben attestata tradizione – erano state a Chennai (India), Edessa (nell’antica Mesopotamia del Nord, oggi Turchia) e nell’isola greca di Chios. Una decina d’anni fa, l’allora arcivescovo, il noto biblista Carlo Ghidelli, li invitò a prendere servizio presso la cattedrale di Ortona perché, come figli devoti, i missionari di san Tommaso potessero prendersi cura del loro padre.